L’odissea dei parlamentari del centrosinistra verso Rafah. Il viaggio interminabile nel Sinai blindato
Ci sono 314 chilometri di strada percorrere tra il Cairo e Al Arish, l’ultima città prima del valico. Ma nel Sinai blindato da una serie interminabile di check point è periplo che dura otto ore abbondanti, fra controlli incrociati di passaporti e bus che devono transitare attraverso gli scanner, scorte di polizia che passano il testimone all’esercito e viceversa.
A precedere il pullman giallo su cui la delegazione dei parlamentari di Pd, Avs e M5S che su richiesta della rete di ong Aoi, Arci e Assopace sta attraversando il Sinai, diretta a Rafah c’è l’auto del console. Ma neanche la sua presenza basta a evitare attese interminabili quasi ad ogni posto di blocco. A Ismaila i controlli durano più di due ore. Da quando la primavera araba ha infiammato l’area con le sue rivoluzioni poi accartocciatesi su se stesse, nel Sinai è così. La strada è una lingua d’asfalto quasi innaturale in mezzo al deserto su cui transita di tutto. Auto blindate con a bordo sheikh, furgoncini stracarichi, taxi collettivi, qualche carretto. E camion. A centinaia. Molti sono giganteschi auto-articolati carichi di provviste diretti a Gaza. E le colonne di aiuti fermi iniziano a vedersi appena si lascia Il Cairo. Ci sono quelli con la bandiera turca e palestinese spediti da Erdogan, quelli che mostrano le insegne delle agenzie delle Nazioni Unite, quelli delle ong. Tutti fermi, tutti in fila. Tutti in attesa. “Sono almeno 1.500 quelli che aspettano di entrare. A Gaza dopo le bombe si muore di fame”, dice il deputato di Avs, Angelo Bonelli. “Spesso i camion vengono respinti perché c’è un generatore, considerato un articolo non autorizzato. Il problema è tutto politico, non di accessibilità logistica”, attacca la deputata dem Laura Boldrini. “In questo momento – sottolinea il leader di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni – 24 ospedali su 36 non sono operativi. Non è più tempo delle parole, bisogna agire”.
Che la situazione umanitaria nella Striscia sia “semplicemente intollerabile” lo dice anche il Dipartimento di Stato americano, che assicura che “gli Stati Uniti stanno lavorando per aumentare gli aiuti a sostegno di Gaza attraverso tutti i canali possibili”. Secondo il portavoce Matthew Miller a breve potrebbe essere aperto anche un canale via mare. “Siamo ottimisti”, ha dichiarato. Le trattative sono in corso. Da qualche giorno sono cominciati i lanci aerei, altri Paesi, Italia inclusa, potrebbero usare lo stesso metodo per far avere alla popolazione stremata beni di prima necessità. È l’unico modo per evitare l’imbuto dei valichi, dove un camion rischia di attendere anche un mese prima di essere autorizzato ad entrare. A breve, ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, verrà convocato un tavolo a Roma con le agenzie Onu e internazionali per accelerare l’invio di aiuti umanitari a Gaza. “Il primo atto che il governo italiano deve compiere è revocare la decisione di bloccare i finanziamenti all’Unrwa. E chiediamo che il mondo solidale delle ong italiane venga chiamato a partecipare”, dice Alfio Nicotra di Aoi dal pullman che attraversa il Sinai, dove alcuni parlamentari non nascondono la soddisfazione. “Forse la nostra presenza qui inizia a provocare qualche effetto”.
Via via che si va verso il confine, la strada diventa più stretta e accidentata. Le gigantesche infrastrutture, come l’avveniristico ponte sul canale di Suez così alto da fornire una visuale fin troppo ampia su un asset strategico e per questo interdetto ai più, lasciano spazio a villaggi sempre più piccoli, più dimessi. E gli autogrill via via che si va verso la Striscia vengono sostituiti da baracchini in cui si vende un po’ di tutto. Il pullman prosegue ma lungo la strada il clima è tutto fuorché quello di una gita. Yousuf Hadouna, uno degli storici operatori di Aoi, è uscito dalla Striscia solo qualche giorno prima del 7 ottobre. Dentro ha lasciato tutta la famiglia. Riesce a sentirli solo di tanto in tanto, con la paura di scoprire una nuova piccola tragedia, grande quotidiana. «Qualche giorno fa – racconta mentre la strada scorre ai lati – mio fratello ha avuto un pezzo di pane. Non era abbastanza per tutta la famiglia. L’ha mangiato di nascosto anche dai suoi figli. Me l’ha raccontato piangendo». Quando ormai è sera si arriva ad Al Arish, ultima tappa prima del valico. Una volta era una nota località turistica, le sue spiagge erano frequentate. Da quando il Sinai si è blindato, alberghi e strutture sono state progressivamente abbandonate. Adesso sono quartier generale per il personale delle agenzie internazionali che lavorano nella Striscia e i team di operatori in ingresso o in uscita. Rafah dista poco più di 50 chilometri, giù lungo la costa. Dal mare si dovrebbero intravedere le luci delle città sulla costa. Ma a Gaza le centrali sono spente da mesi, la Striscia è al buio, se c’è corrente lo si deve a pannelli solari e generatori. Guardando verso Sud si vede solo una macchia nera.
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