Meloni gioca in difesa: non è una catastrofe rivedere patto di stabilità

Roma – Alle otto di sera, davanti alle telecamere del Tg1, Giorgia Meloni prova a smorzare i marosi scatenati sui mercati dai dazi firmati Trump. Ammette la premier che sì, la scelta del presidente americano «è sbagliata, ma non è una catastrofe». Sostiene che l’Italia continuerà a esportare oltreoceano, anche se questo «è un altro problema da risolvere». Soprattutto, Meloni parla a Bruxelles per mandare messaggi a Washington, chiarendo che per il governo italiano sarebbe un errore se l’Ue «rispondesse ai dazi con altri dazi, perché l’impatto potrebbe essere maggiore sulla nostra economia». Dunque con gli Usa, per Meloni, va avviata una «discussione franca, per rimuovere i dazi, non per moltiplicarli». All’Unione, la premier anticipa un pacchetto di proposte, già in parte annunciate di pomeriggio in Senato dal ministro Adolfo Urso, nel segno della «deregulation». Quattro richieste: smantellare «le regole ideologiche del Green Deal sull’automotive». Una semplificazione normativa per le imprese, «perché siamo soffocati dalle regole». E più specificatamente sull’«energia». La richiesta più forte arriva in coda: per Meloni è necessaria «una revisione del patto di stabilità». Intervento che non piace a diversi Stati Ue, la premier lo sa bene, tanto da ammettere: «È possibile che» queste misure «non siano perfettamente sovrapponibili con i partner ma abbiamo il dovere di farle».

Un decreto per le imprese e una lista per l’Europa: “Non colpire whisky e moto”

La leader di FdI lavora al dossier dazi dalla mattina. Cancellati tutti gli appuntamenti in agenda. Intorno a mezzogiorno riunisce una task force di ministri: Francesco Lollobrigida per l’agricoltura, Tommaso Foti per gli affari Ue, Giancarlo Giorgetti dell’economia, Adolfo Urso per le imprese. Più Matteo Salvini e Antonio Tajani, collegato da Bruxelles, dove ha incontrato il commissario Ue al commercio estero, Maroš Šef?ovi?, lo slovacco che tratterà con gli Stati Uniti per l’Europa.

A Šef?ovi?, Tajani ha consegnato una lista con 30 categorie merceologiche che Roma vuole tutelare, spuntare dalla lista dei possibili contro-dazi. Dopo il vertice, il vice forzista si dice convinto che la reazione dell’Ue «sarà meno dura della scelta americana, un messaggio contro l’escalation». Il ministro degli esteri invia segnali anche a Washington, sul capitolo che più interessa all’amministrazione Usa: l’Italia è «pronta ad arrivare al 2%» del Pil nelle spese militari, ma «se si chiede di arrivare al 5% e contemporaneamente si pongono i dazi, diventa difficile». Mentre da FI vengono a galla malumori sul presidente americano (per Flavio Tosi si sta mostrando «poco intelligente e aggressivo»), Tajani anche da Bruxelles ribadisce che sui dazi non si possono inseguire trattative a tu per tu con Washington: «La competenza esclusiva è dell’Unione europea». Pure per il ministro meloniano Foti «la prima risposta la deve dare l’Ue».

Problema a destra: la Lega la pensa all’opposto. Ed è pronta a chiedere un negoziato diretto con gli Usa nella mozione congressuale che domani e domenica incoronerà Matteo Salvini per la terza volta segretario della Lega a Firenze, congresso con un mucchio di big sovranisti come Viktor Orbàn, un filmato di Marine Le Pen, un sempre più probabile video-saluto di Elon Musk. E con il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. Il vicepremier ha discusso di dazi ieri con il “gruppo economia” del Carroccio, da Giorgetti a Claudio Durigon, da Armando Siri a Edoardo Rixi. Il vicesegretario Andrea Crippa, dopo una critica alle sanzioni alla Russia, conferma la linea: «La soluzione è trattare Italia-Stati Uniti». Dai salviniani non arriva mezza critica a The Donald: «Trump fa gli interessi degli Usa, il problema dell’Italia è l’Europa». Per la Lega, i contro-dazi «sarebbero un suicidio». Il senatore Claudio Borghi addirittura attacca il presidente della Repubblica: «Chi non vuole trattative bilaterali che potrebbero esentare l’Italia dai dazi? La risposta è semplice: Mattarella». Oltre alla strategia con Ue e Usa, Meloni deve gestire anche una coalizione sempre più bizzosa. Proprio Urso ieri in Senato ha rilanciato il «buy european», inviso al Carroccio. «Nessun leghista era presente ad ascoltarlo in Senato», punge il dem Filippo Sensi.

Dall’opposizione, attacca la leader del Pd, Elly Schlein: «I dazi di Trump sono una mazzata per imprese e lavoratori. È incredibile che il governo resti fermo». Dal canto suo Giuseppe Conte si distingue con un giudizio più morbido sul presidente Usa: «La sua — dice il leader 5S — non è una costruzione eccentrica. Ci sono molti economisti che sostengono che in prospettiva migliorerà l’economia americana».

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