Nardella: “Nelle Marche sconfitta netta ma nessun processo, serve più pragmatismo”

È stata una sconfitta netta, non si può negare», ragiona sul post Marche Dario Nardella. «Come non si può negare la delusione: Matteo Ricci era il miglior candidato. Nonostante la difficoltà di una sfida con un presidente al primo mandato e un governo nazionale schierato, io ci avevo sperato», aggiunge l’eurodeputato dem. «Non avrebbe senso minimizzare», avverte.

Nel Pd è già iniziato il processo alla segretaria?

«Voglio essere molto chiaro: nessun processo. Davanti abbiamo altre cinque regionali, qualunque valutazione politica non può che essere fatta alla fine della corsa. Lasciarsi andare ora a una critica generalizzata sarebbe sbagliato, oltre che controproducente: da qui a novembre siamo tutti impegnati a conseguire i migliori risultati, oggi più che mai i nostri elettori hanno bisogno di essere motivati».

Forse però qualche valutazione sulle ragioni della sconfitta si potrà pur fare: perché, nonostante l’alleanza extralarge, avete perso?

«Primo: un progetto così complesso ha bisogno di tempo per maturare. Secondo: occorre ancora individuare un programma e dei messaggi quanto più unitari e concreti possibili, nei quali si possano riconoscere elettorati diversi e distanti come sono quello moderato e quelli di Avs e 5S. Mi ha colpito l’analisi del Cattaneo, secondo cui una parte del mondo centrista e liberale ha scelto il candidato di FdI e una parte di voto più radicale ha disertato le urne».

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E questo cosa significa?

«Per il futuro sarà indispensabile concentrarsi su proposte trasversali e pragmatiche. Innanzitutto la sanità, la scuola e i salari: non sono bastati nelle Marche, ma sono stati vincenti in Umbria. Occorrerà individuarne altre, trovando il coraggio di declinare in modo nuovo temi apparentemente non di sinistra, ma sentiti dai cittadini».

Per esempio?

«Sicurezza e immigrazione, su cui la destra specula senza offrire soluzioni se non la repressione. L’hanno fatto i socialisti in Spagna e Nord Europa, dobbiamo provarci anche noi. Il campo largo non può limitarsi a una formula o, peggio, a una somma algebrica, ha bisogno di essere annaffiato con idee e temi coerenti, legati alla realtà».

Puntare su Gaza per mobilitare i marchigiani è stato un errore?

«Gaza è un’enorme questione nazionale e internazionale sulla quale il Pd ha giustamente costruito una posizione politica insieme agli alleati. Ma se guardo alle regionali, penso che i cittadini preferiscano concentrarsi su argomenti più local come i servizi, le infrastrutture, l’economia del territorio».

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Schlein si è fatta troppo abbagliare dalla sfida con Meloni?

«No. Trovo naturale che a sfidare la premier sia la segretaria del partito più in salute delle opposizioni. Ma credo pure che la forza del Pd sia, rispetto alle destre, la presenza di una classe dirigente credibile e diffusa nel Paese. Dobbiamo affiancare alle battaglie nazionali quelle altrettanto incisive che riguardano la quotidianità dei cittadini. Non esiste una politica di serie A e una di serie B».

Detto ciò, le Marche sono l’ennesima prova che quando il candidato presidente non è 5S gli elettori di Conte disertano le urne.

«Contano molto i messaggi che arrivano dalle forze politiche. Domenica il Pd farà il massimo per un candidato non del Pd. È importante che i 5S facciano lo stesso in Puglia e in Toscana».

È colpa di Conte il flop di Ricci?

«Quando il candidato non è espresso dal suo partito, il leader di quel partito deve spendersi il doppio. E questo vale per tutti».

È mancato pure il voto moderato, al campo progressista serve una gamba centrista?

«Servono idee, innanzitutto. Che attraggano anche l’elettorato moderato e civico, sospeso fra astensione e partecipazione. Che poi venga da una gamba nuova, si vedrà. L’obiettivo ora è combattere la disaffezione al voto, conquistare chi non ci crede più, non quale ceto politico mettere in campo».

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