Privacy, il garante valutò una società esterna per cercare la talpa

ROMA – Il collegio del Garante aveva chiesto al segretario generale di indagare «sulla fuga di notizie». Di più: era stato ipotizzato anche l’intervento di una società esterna, da pagare extra budget, per verificare se qualcuno avesse passato le informazioni interne a Report e ai giornali. «Ma non potevamo immaginare che alla nostra richiesta il segretario rispondesse con un atto contro la legge, come quello che ha fatto».

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Ventiquattro ore dopo le dimissioni del segretario generale Angelo Fanizza, il collegio del Garante della privacy si difende: spiega a Repubblica il consigliere Agostino Ghiglia, «a titolo personale ma penso di parlare anche per gli altri colleghi», che non c’è alcuna intenzione di dimettersi, «perché se siamo indipendenti dalla politica non possiamo certo cedere a nessun tipo di pressione». E contestualmente scarica il segretario Fanizza, sostenendo di essere venuti a conoscenza del carteggio con il dirigente nel quale chiedeva la copia di tutte le e-mail dei dipendenti soltanto giovedì, nel corso della riunione con i dipendenti.

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Lo fa attraverso una nota formale, al termine di un lunghissimo collegio nel quale si procede alla nomina anche del nuovo segretario generale, Luigi Montuori, dirigente dell’Autorità. Una ricostruzione precisa, nella quale il collegio prova a difendersi. Ma nella quale non può fare a meno di ammettere che erano stati loro ad affidare a Fanizza l’incarico di «verificare eventuali fughe di informazioni riservate». «Ma nessuno poteva immaginare che lo facesse come è stato fatto: cioè in maniera illegale». Fanizza aveva infatti chiesto al dirigente che si occupa di IT di copiare tutte le e-mail dei dipendenti, le cartelle condivise, i documenti. E persino di «evitare che si verifichi la sovrascrittura dei log su tutti i sistemi». Praticamente avrebbe dovuto bloccare l’intera rete interna. Un «paradossale atto di violazione di norme emanate dallo stesso Garante», con un «danno reputazionale immenso», aveva risposto il dirigente. «Nessuno nel collegio era stato informato di questa iniziativa di Fanizza», dicono però oggi i membri del collegio. Sostenendo che le comunicazioni tra il segretario generale e il dirigente dei sistemi informatici, avvenute tramite protocolli riservati, non sarebbero infatti mai arrivate ai componenti. Secondo quanto riferito, il collegio sarebbe stato messo al corrente dell’esistenza della richiesta di accesso alle e-mail solo il 13 novembre, in forma verbale. In quella sede — insistono — sarebbe stata subito segnalata a Fanizza la natura «sproporzionata e illecita» dell’atto. La conferma materiale dei documenti, però, sarebbe arrivata soltanto giovedì, quando sono stati mostrati durante l’assemblea del personale.

Dal Garante omettono di dire però che lo stesso Fanizza ha raccontato in queste ore, per spiegare quello che era accaduto: e cioè che aveva persino immaginato, con documenti ufficiali, di chiamare un consulente esterno, con fondi extra, per verificare le modalità con cui alcune notizie (nello specifico un verbale del collegio sul Fatto Quotidiano) erano state veicolate fuori dall’Autorità. «Obiettivo era capire se erano stati violati i perimetri della nostra rete». Tradotto: controllare i computer per dare la caccia alla fonte. «Ma» insiste Ghiglia, «una cosa è tutelare un nostro diritto. Un’altra è commettere un atto illegittimo. Che tra l’altro mai avrebbero potuto commetterlo: il dirigente era stato chiaro». Non basta ai sindacati, che chiedono le dimissioni immediate del collegio. «Vogliamo tornare ai tempi di Stefano Rodotà» dice, quasi con la voce rotta dalla commozione, il sindacalista della Fisac Cgil, Alessandro Bartolozzi.

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