Quarant’anni di Lega tra nostalgia di Bossi e assedio a Salvini. “La festa non è qui”
Questa è la storia di un partito che ha paura di festeggiare il suo compleanno. La Lega, la più antica forza politica italiana oggi in campo, sta per compiere 40 anni. Sì, ma quale Lega? Quella di Matteo Salvini, stravolta e ribattezzata pochi anni fa a immagine e somiglianza del suo leader? O quella di Umberto Bossi, della quale ormai non si vede quasi più traccia nel Carroccio salvinizzato e spostato all’estrema destra? Evidente quale sia la grana che un tempo, con abusato gioco di parole, si sarebbe detta padana: chi ha voglia di festeggiare l’anniversario, cioè i bossiani e i nostalgici della Lega nord, vuol cogliere l’occasione per rimarcare l’abisso che separa il vecchio partito dall’attuale. Che è appunto il motivo per cui non hanno voglia di celebrazioni Salvini e i suoi, tanto che al momento, e manca meno di un mese alla data, non è prevista alcuna iniziativa ufficiale, tanto meno una festa.
Varese, pomeriggio del 12 aprile 1984. Il quarantaduenne Umberto Bossi da Cassano Magnago entra nello studio del notaio Franca Bellorini insieme a: Marino Moroni, rappresentante di commercio; Pierangelo Brivio, commerciante; Giuseppe Leoni, architetto; Emilio Sogliaghi, dentista; Manuela Marrone, sua moglie. Per i curiosi: sull’atto notarile, alla voce professione, Bossi è “editore”, e tecnicamente non fa una grinza. Dal marzo 1982 pubblica in proprio “Lombardia autonomista”, un giornale di poche pagine stampate con il ciclostile, macchinario caro a ogni militante di qualsiasi orientamento che superi i 60 anni, sul cui primo numero è scritto così: “Non importa che lavoro fate e di che tendenza politica siete, quello che importa è che siete, e siamo, tutti lombardi”. Il dentista Sogliaghi, tra i presenti quel giorno, non è nemmeno un militante leghista, solo un amico di Leoni chiamato per fare numero legale. Sono loro i fondatori ufficiali della Lega autonomista lombarda, che diventerà Lega lombarda nel 1986. Dallo statuto allegato all’atto: “Scopo della Lega è il raggiungimento della autonomia amministrativa e culturale della Lombardia”.
Bellorini, notaia di tendenze progressiste, coinvolta perché lo studio di architettura di Leoni era tra i suoi clienti, pensava in effetti di aver patrocinato la fondazione di una specie di associazione culturale. Avrà modo più volte nel corso della vita di mostrare un’oncia di pentimento per aver contribuito alla nascita di un partito così distante dalle sue idee, al quale non avrebbe certo mai pronosticato, quel 12 aprile davanti a una così strampalata compagnia, tanta strada e tanto successo.
Mancano pochi mesi alle elezioni europee del 1984, perfetta coincidenza con l’attualità, dove Bossi si presenterà per la prima volta con la sua creatura al giudizio dell’elettorato nazionale, alleato con gli indipendentisti della Liga Veneta che hanno già clamorosamente eletto due parlamentari alle Politiche del 1983. La lista si chiama: Liga veneta – Unione per l’Europa federalista. Il risultato sarà un trascurabile 0,47 per cento. Ma è la prima scintilla di un grande incendio. Soprattutto, a dispetto dei rapporti di forza iniziali, non saranno i veneti a inglobare i lombardi, bensì molto presto il contrario. Oggi sono di nuovo i veneti guidare la rivolta verso i lombardi. Anzi, un lombardo: Salvini.
L’europarlamentare ed ex segretario della Lega veneta Gianantonio Da Re, espulso una settimana fa per aver definito “cretino” Salvini in una intervista a Repubblica, non è portatore di un parere isolato tra gli indigeni. Il presidente della Regione Luca Zaia, strattonato dalla contesa nella maggioranza di governo sul terzo mandato, è su posizioni molto distanti da Salvini e da qualche tempo non fa più molto per nasconderlo. Su un punto molti militanti veneti sono in assoluta sintonia con i compagni lombardi: la Lega per Salvini premier è un partito che ha tradito lo spirito e la missione politica del partito che fu di Bossi, un partito che ha svenduto il federalismo per un nazionalismo di risulta, ha sostituito l’industrialismo con la lotta al gender, l’antifascismo bossiano con un criptofascismo alla Vannacci, la cui probabile candidatura alle Europee nelle liste della Lega provoca itterizia nella vecchia base nordista. Insomma, una succursale della Fiamma missina, che per giunta, a differenza del Carroccio, arde di salute e voti. Ancora oggi Bossi racconta spesso con orgoglio la storia di sua nonna Celesta, socialista e torturata dai fascisti perché custodiva in casa una foto di Giacomo Matteotti: fu portata in uno scantinato di Busto Arsizio, legata su una specie di cyclette e costretta a pedalare a tutta fino a quando non si ruppe le rotule. Anche per questo il Senatur non nasconde il ribrezzo per il fatto che la sua creatura vada a braccetto con quella che lui, quando era già un affermato leader nazionale, chiamava “canaglia fascista”.
Dopo la disfatta in Sardegna, un misero 3 per cento, l’ex deputato Paolo Grimoldi, animatore della fronda Comitato Nord e molto vicino a Bossi, ha chiesto di togliere il nome di Salvini dal simbolo: “Serve a evitare una debacle alle Europee”, ha spiegato. A domanda sul Ponte sullo Stretto, il nuovo Graal salviniano, Grimoldi risponde fantozzianamente: “Una cagata pazzesca”. Pochi giorni fa, dal palco di una festa del partito in provincia di Bergamo, Grimoldi ha chiesto “un passo di lato” di Salvini. La notizia è che parte del pubblico ha risposto con scroscianti applausi.
I rapporti tra il Capitano e il Senatur, è cosa nota, sono pessimi. Ad aggravare la situazione c’è che la Lega ha deciso di non farsi più carico del pagamento di un nuovo accompagnatore per Bossi dopo che l’ultimo è andato in pensione, cosa che ha reso ancora più rare le sortite romane del fondatore della Lega. Il quale, però, seppur costretto nello storico domicilio di Gemonio non rinuncia a pizzicare il successore: “Salvini? Ha le sue idee. Bisogna vedere se funzionano”, è l’ultima stilettata. Nella Lega il clima interno è pesante, tanto che al confronto persino il litigioso Pd pare una confraternita zen. I bossiani rimproverano di aver giustificato la mancata assunzione di un nuovo accompagnatore per Bossi spargendo voci, infondate, di un grave peggioramento del suo stato di salute. Si dice che la moglie di un importante colonnello salviniano, impegnata nella stesura di un libro sulla storia della Lega, abbia chiesto a Bossi di scriverne la prefazione. Risposta: non se ne parla. Capite bene perché non sia aria di festeggiamenti condivisi per l’anniversario. Anche se la differenza con Forza Italia, che il mese scorso ha celebrato in pompa magna a Roma il trentennale della scesa in campo di Berlusconi, è lampante come il rischio del sorpasso postumo del berlusconismo alle Europee.
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