Terzo mandato, il divieto della Consulta subito vincolante per tutte le regioni a statuto ordinario
Ha stoppato Vincenzo De Luca, ma vale da subito per tutti, a scanso di equivoci (più o meno veneti). Il divieto di terzo mandato per i governatori, insomma, così come confermano oggi le motivazioni appena depositate dalla Corte costituzionale, è operativo per i presidenti delle regioni a statuto ordinario, e non necessita di alcuna normativa ulteriore dei singoli enti territoriali, perché si tratta di una previsione in materia di elettorato passivo “di competenza del legislatore statale”.
Dopo la sentenza emessa dalla Consulta il 9 aprile scorso, con il ricorso del governo che ha spento il progetto di candidatura ter per il presidente pd della Campania, il giudice delle leggi spiega che il divieto del terzo mandato consecutivo è “un principio fondamentale della materia elettorale ai sensi dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione”. Un argine che obbliga i legislatori regionali a far data dall’adozione delle prime leggi in materia elettorale successive alla sua entrata in vigore.
Quindi non vale, né avrebbe potuto in sede di incidente costituzionale, l’obiezione che in altre regioni si è abilmente aggirato o legiferato per ottenere di fatto un terzo mandato, senza che il governo abbia mosso alcuna obiezione, tantomeno un’impugnazione.
“Nessun rilievo può essere attribuito alla circostanza – scrive la Corte – che analoghe leggi regionali volte a impedire l’operatività del principio del terzo mandato consecutivo non sono state impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri, fermo restando che la loro eventuale illegittimità costituzionale ben può essere fatta valere, nei modi previsti dall’ordinamento, in via incidentale”.
Con la sentenza numero 64, la Corte stabilisce l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della normativa della Regione Campania (la numero 16 del 2024), con cui il presidente uscente De Luca violava l’articolo 122 della Costituzione, sul divieto del terzo mandato consecutivo. Una legge introdotta dal governatore per gabbare, era la tesi del governo, un principio teso a evitare personalismi e a tutelare del principio di democraticità, per “fisiologico ricambio” della leadership. La sentenza della Corte va oltre e spiega che le Regioni non possono decidere autonomamente come ‘congelare’ la legge.
“L’obbligatorietà di un principio fondamentale e la sua applicazione non possono essere condizionate dal suo espresso recepimento da parte delle leggi regionali – esamina la Consulta, innanzitutto in senso generale – perché in questo modo si attribuirebbe ai consigli regionali il potere di impedirne l’operatività, anche per lunghi periodi di tempo”.
Quest’ultimo esito sarebbe in netto contrasto con la funzione di quelle norme fondamentali: ovvero, “assicurare un adeguato livello di omogeneità delle normative regionali in ragione di sottese istanze unitarie e che, nel caso in esame, sarebbe ancora più intollerabile perché il divieto del terzo mandato consecutivo è configurato dalla legge come il “contraltare” dell’elezione diretta” .
Quel divieto infatti, senza confliggere con l’autonomia statutaria delle regioni ordinarie – che non contempla la materia elettorale in senso lato – esprime un precetto in sé specifico, che per essere applicabile non necessita di alcuna integrazione da parte del legislatore regionale, al quale, pur tuttavia, restano degli spazi ”interstiziali” di regolazione.
In particolare, poi, per il caso Campania, che il governo Meloni ha voluto impugnare dinanzi alla Corte, il recepimento del principio inderogabile era già avvenuto: “è diventato operativo con l’entrata in vigore della legge della Regione Campania n. 4 del 2009” (piena era di Bassolino regnante , che per i casi beffardi della vita è stato anche il vecchio rivale politico di De Luca). Quella norma varata nel palazzo del Centro direzionale a Napoli, sottolineano i giudici, “non solo non reca alcuna disposizione che a esso deroghi (né avrebbe potuto prevederla, perché sarebbe stata altrimenti costituzionalmente illegittima per violazione del più volte richiamato principio fondamentale)”, ma anzi contiene espressamente il rinvio “alle disposizioni statali”.
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