A qualcuno piace freddo. Anzi, più che freddo

La terapia del freddo è da tempo uscita dai ristretti ambienti dello sport d’élite, dove viene già usata per ridurre l’infiammazione e il dolore muscolare dopo l’esercizio fisico. La pratica di bagni e docce fredde ha guadagnato ampia popolarità anche tra gli amatori che, un cappello di lana e un costume, si immergono felici in acque gelide noncuranti della stagione.

Ad aver contribuito a tanta celebrità c’è il guru della crioterapia Wim Hof, detto Iceman, che combina tecniche di respiro, meditazione e varie attività estreme sulla neve e sui ghiacci. Ma non serve arrivare a tanto, basta anche solo immergere i piedi in un torrente, assicura Andrea Bianchi, esperto italiano di terapia del freddo e autore di La via del freddo alla felicità (2020), dal 29 agosto in libreria con Cold Therapy, sempre per Vallardi, dove illustra tante altre piccole pratiche quotidiane per avvicinarsi a un nuovo modo di vivere l’ambiente circostante.

Sonno, ghiaccio e galleggiamento: così i campioni recuperano la fatica

“Il freddo, da temuta minaccia, può diventare il nostro migliore amico e maestro” scrive Bianchi, i cui corsi annuali e campus sono frequentati da un pubblico crescente e molto eterogeneo: “Sono insegnanti di yoga, psicologi, guide ambientali, di ogni età, da trentenni a ultraottantenni” racconta. “Il mio metodo si avvicina allo yoga, si basa su un profondo rilassamento indotto dalla respirazione proprio nel momento dell’esperienza del freddo, rendendola gestibile. Così, chi lo pratica arriva a restare anche dieci minuti immerso a 12 gradi centigradi senza soffrire e senza pensare soltanto di voler uscire. Insegnare alle persone a rilassarsi è quanto mai utile in una quotidianità di stress cronico”. L’ambiente naturale gioca un ruolo importante nel benessere riportato da tutti gli appassionati: “La natura, come le immersioni in laghi o torrenti alpini, fa da amplificatore al benessere regalato dal freddo ma anche le docce fredde vanno benissimo”.

La fisiologia del freddo

La fisiologia dell’esposizione al freddo, inizialmente studiata in ambito militare, suggerisce che le basse temperature attivano il sistema nervoso simpatico, stimolano il rilascio di ormoni dello stress come il cortisolo e la noradrenalina, e possono modulare la risposta immunitaria e infiammatoria dell’organismo. Le prima risposte in acuto sono la vasocostrizione periferica e i tremori, come spiega Ilaria Rivolta, associata in Fisiologia all’Università Milano Bicocca: “Per contrastare un’eccessiva riduzione della temperatura nell’organismo, si verifica una vasocostrizione periferica, il sangue viene trattenuto negli organi interni. Infatti, le estremità come mani e piedi sono le più vulnerabili, ma per evitare eventuali danni da freddo, come la necrosi, alla vasocostrizione iniziale seguono pulsi di vasodilatazione, la cosiddetta reazione di Lewis o hunting reaction”.

Il freddo estremo potrebbe accelerare il declino cognitivo negli over65

Una sorta di ginnastica vascolare come quella del percorso Kneipp. Con la riduzione del letto vascolare, il battito cardiaco accelera e la pressione arteriosa aumenta rapidamente: per questo le persone con problemi cardiaci devono prestare molta attenzione. In secondo luogo, “compaiono brividi da freddo” continua la fisiologa “la contrazione involontaria dei muscoli tipica dei tremori genera calore che compensa quello perso per convenzione e conduzione. La capacità termica dell’acqua è superiore a quella dell’aria, per cui a parità di temperatura quando siamo immersi dissipiamo più calore”.

Come adattarsi al freddo

Molti fattori, analizzati in una revisione della letteratura apparsa sulla rivista scientifica Autonomic Neuroscience: Basic and Clinical, intervengono nel determinare la variabilità interindividuale: “Sono differenze nelle dimensioni e nella composizione corporea, cui sono da ricondurre anche quelle legate al sesso e all’età, che possono spiegare gran parte della variabilità tra gli individui nella loro reazione al freddo”. Le risposte fisiologiche possono, tuttavia, essere in parte modificate tramite l’acclimatamento, che conferisce un vantaggio nella termoregolazione: “L’esposizione a uno stimolo ripetuto nel tempo riduce la risposta dell’organismo” spiega la fisiologa. L’organismo “impara” ad aumentare la termogenesi e a conservare il calore corporeo. Rivolta conclude: “Non è possibile al momento stabilire, per mancanza di studi controllati sugli effetti a lungo termine, la magnitudo e la durata dei benefici vantati dagli appassionati di queste pratiche”.

Allenarsi all’aperto fa sempre bene ma se fa freddo è anche meglio

Gli studi sono in corso. Un’altra revisione, apparsa su Plos One e che ha considerato i dati di 11 lavori per un totale di 3177 partecipanti e analizzato vari aspetti psicologici, cognitivi e fisiologici, mostra che l’immersione in acqua fredda può ridurre lo stress, migliorare la qualità del sonno e la qualità della vita. “Abbiamo osservato una serie di risultati dipendenti dal tempo. Ad esempio, abbiamo scoperto che l’immersione in acqua fredda può ridurre i livelli di stress, ma solo per circa 12 ore dopo l’esposizione” ha affermato Tara Cain, prima autrice del lavoro. “Anche le docce fredde possono avere effetti benefici: uno studio ha riportato una riduzione del 29% delle assenze per malattia in chi le fa regolarmente”.

I risultati della risonanza magnetica

I benefici sull’umore e sulla lucidità mentale sono stati fino a poco tempo fa solo aneddotici. I meccanismi neurali alla base delle sferzate di vitalità che regalano le nuotate in un lago montano o l’immersione in un freddo torrente alpino rimangono in gran parte sconosciuti. Uno studio di risonanza magnetica dell’Università di Portsmouth e di Bournemouth nel Regno Unito ha cercato di individuare eventuali cambiamenti di attivazioni neurali dopo un’immersione di cinque minuti in acqua a 20 gradi celsius, che determinava nei partecipanti netti miglioramenti nell’umore e un aumento di sentimenti positivi. Sono emersi cambiamenti nella connettività tra parti specifiche del cervello, in particolare la corteccia prefrontale mediale e la corteccia parietale, aree coinvolte nell’elaborazione delle emozioni e nei processi decisionali.

Chi comincia, continua

“Chi si avvicina a questa pratica, difficilmente l’abbandona” spiega Bianchi che, molto concretamente, esorta: “dovremmo dismettere l’atteggiamento difensivo verso il freddo, che affrontiamo coprendoci il più possibile o richiudendoci in stanze riscaldate. Se avessimo più dimestichezza con l’outdoor, sapremmo che il corpo produce calore e che siamo in grado di affrontare la natura con molti meno indumenti di quelli che usiamo”. Tutti gli studi concordano nel sostenere che un dialogo intimo con la natura è di beneficio al benessere generale dell’individuo. “La ri-connessione profonda con il mondo naturale per me è scattata togliendo le scarpe, con la pratica del cammino scalzo sulla neve” dice Bianchi che, nella sua ultima opera, scrive: “Fare l’esperienza del freddo dà l’opportunità di lasciare la nostra zona di comfort per allenare resilienza e fiducia nelle nostre capacità”. Il freddo è accessibile a tutti, fatte salve alcune condizioni di salute. “Praticare con gradualità è un modo per affacciarsi sul limite, vivere una situazione sfidante, rimanendo comunque in controllo. La metà dei miei corsisti finisce per cambiare proprio lo stile di vita e il freddo, dico sempre loro scherzando ma non troppo, è un antiossidante, un antiossidante anche mentale”.

Condividi questo contenuto: