Antibiotici, l’intestino perde l’equilibrio? La soluzione è nel piatto
La salute del microbiota è un pilastro dell’equilibrio metabolico e immunitario, ma non serve ricorrere a misure estreme per rimetterlo in sesto dopo gli antibiotici. Una nuova ricerca su Nature dimostra che la risposta più potente è nel piatto, non nella provetta.
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Il microbiota intestinale è un vero organo diffuso: contribuisce alla digestione delle fibre, produce vitamine, regola la barriera intestinale e tiene a bada infiammazione e patogeni. Quando assumiamo antibiotici, però, la loro azione “a tappeto” non distingue amico da nemico: insieme ai batteri nocivi crollano anche le specie utili. La perdita di diversità batterica non è un dettaglio cosmetico; può tradursi in diarrea da antibiotici, infezioni opportunistiche (come Clostridioides difficile), calo dell’immunità e disfunzioni metaboliche. Da qui l’interesse crescente per strategie – dai probiotici al trapianto fecale – che promettono di ripopolare l’intestino dopo la terapia. Ma quale approccio funziona davvero?

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Perdita di diversità batterica: cosa fare?
In uno studio recentemente pubblicato su Nature, Kennedy e colleghi hanno somministrato un ciclo di antibiotici a due gruppi di topi: uno alimentato con dieta chow standard ricca di fibre e l’altro con una Western?diet (dieta standard americana) povera di fibre e ricca di grassi. A fine terapia, i percorsi di recupero sono andati in direzioni opposte.
Nei topi a dieta ricca di fibre il microbiota, pur decimato, ha innescato una rapida successione ecologica: i primi colonizzatori hanno “mangiato” i polisaccaridi indigeriti e rilasciato metaboliti che hanno permesso alle specie più esigenti di ricolonizzare il colon in pochi giorni. Nei topi Western, invece, una singola specie dominante ha monopolizzato gli zuccheri semplici senza produrre sottoprodotti utili agli altri. Il risultato è stato un deserto microbico stabile, incapace di tornare all’equilibrio originario.
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Testati due interventi
Il team ha poi testato due interventi. Primo: invertire le diete dopo gli antibiotici. Passare dal regime Western al chow ha riattivato la successione batterica e restaurato la diversità; operare l’inverso ha congelato la ripresa. Secondo: tentare un faecal microbiota transplant (FMT) da donatori sani. La dieta Western ha vanificato l’attecchimento: i nuovi batteri non trovavano nutrienti né spazio. Inoltre, i topi rimasti in disbiosi su dieta Western sono diventati vulnerabili a Salmonella Typhimurium, mentre quelli che avevano recuperato il microbiota ricco di fibre erano protetti.
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Il messaggio giusto
Il messaggio è semplice: senza il “terreno” giusto, neppure un trapianto di batteri vivi può rifare un ecosistema. Fibre, polifenoli e carboidrati complessi sono l’humus da cui rinasce una comunità microbica resiliente; solo dopo, se serve, si potrà discutere di FMT.
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Ref:
https://heart.bmj.com/content/early/2025/04/10/heartjnl-2024-325004
Aureliano Stingi, dottore in biologia molecolare, lavora nell’ambito dell’oncologia di precisione e longevità
Instagram: Aureliano _Stingi X: @AurelianoStingi
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