Aritmie gravi del ventricolo, anche la radioterapia potrebbe aiutare nei casi più seri
Anche se non se ne parla spesso, la tachicardia ventricolare è uno dei disturbi più pericolosi del ritmo cardiaco. Oltre a pesare molto sulla salute di chi ne soffre, nelle forme più serie mette a rischio la vita. Così per controllare un cuore che tende a battere all’impazzata occorre spesso puntare su farmaci ad alte dosi (con conseguenti possibili effetti collaterali), o su defibrillatori impiantabili capaci di erogare uno stimolo elettrico tale da correggere i battiti. Il tutto, con necessità di frequenti ricoveri in ospedale, stress e qualità della vita ridotta.
Per controllare la situazione al meglio, se i farmaci o i primi tentativi di ablazione (in pratica lo “spegnimento” del punto da cui parte l’aritmia) non bastano, occorre comunque rispondere ai bisogni dei pazienti, pur se refrattari alle terapie. In questo senso una radioterapia stereotassica, mirando all’obiettivo da colpire, potrebbe risultare comunque utile e con minor rischio legato all’intervento rispetto ad una nuova ablazione.
A far trapelare questa possibilità sono i risultati di un’analisi presentati al congresso dell’American Society for Radiation Oncology (ASTRO) e pubblicati sull’International Journal of Radiation Oncology, Biology, Physics.
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Una possibile alternativa
L’ablazione transcatetere, il trattamento standard per l’aritmia ventricolare che non risponde ai farmaci, richiede l’anestesia e l’inserimento di un piccolo tubo nel cuore attraverso una vena della gamba per distruggere il tessuto cardiaco anomalo. Ovviamente, pur essendo il trattamento efficace, ripetendo più volte le procedure aumentano i rischi legati a questa tecnica. Dallo studio emerge quindi che la radioterapia potrebbe offrire un’alternativa comparabile e potenzialmente più sicura alla ripetizione dell’ablazione transcatetere per i pazienti con gravi anomalie del ritmo cardiaco, non controllabili con i farmaci.
Negli ultimi anni, la radioterapia stereotassica per aritmie (nota anche come STAR) si è affermata come una nuova alternativa non invasiva. Erogando fasci di radiazioni precisi sul tessuto cicatriziale che determina l’aritmia cardiaca, mira a raggiungere lo stesso obiettivo dell’ablazione: riportare il cuore al ritmo normale, senza cateteri o anestesia.
La ricerca presentata al congresso, coordinata da Shannon Jang della Washington University di Saint Louis, apre quindi la strada per nuovi approcci. “È il primo studio a confrontare direttamente i risultati della radioterapia cardiaca con quelli dell’ablazione transcatetere standard – commenta l’esperta in una nota. Per i pazienti che non rispondono alle terapie tradizionali e sono ad alto rischio di complicanze, la radioterapia non invasiva può rappresentare un’alternativa più sicura alla ripetizione di una procedura invasiva di ablazione transcatetere”.
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Ricerche anche in Italia
“La STAR, o radioterapia stereotassica per aritmie, rappresenta un approccio molto promettente per risolvere aritmie ventricolari minacciose – commenta Giulio Molon, direttore della Cardiologia presso l’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Non è invasiva e quindi senza esposizione a rischio di effetti collaterali e si esegue in pochi minuti, è molto precisa ed è già consolidata nel trattamento di molte neoplasie. I risultati di questo studio, in ambito cardiologico, sono molto incoraggianti a tal proposito”.
Da alcuni anni, va detto, questa modalità d’intervento è in fase di valutazione. Sono già stati pubblicati i risultati dei primi studi, molto promettenti. In questo senso, basti ricordare lo studio ENCORE-VT, precedentemente pubblicato dal team della Washington University, che ha dimostrato come la radioterapia cardiaca sia stata in grado di ridurre gli episodi di tachicardia ventricolare e l’uso di farmaci antiaritmici.
“Nel nostro centro abbiamo iniziato questa procedura nel 2020, lavorando con il consorzio europeo STOPSTORM, finanziato dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea; stiamo trattando pazienti con defibrillatore impiantato e cardiopatia strutturale che abbiano tachicardie ventricolari ricorrenti – conclude Molon. I risultati preliminari sembrano promettenti e, assieme alle altre ricerche condotte attualmente, potremo definire che ruolo avrà questa strategia come alternativa alla ablazione tramite cateteri”.
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