Artrite reumatoide, infarto e ictus: i sei marcatori che indicano un maggior rischio

Chi fa i conti con l’artrite reumatoide, come accade anche per altre malattie reumatologiche infiammatorie croniche, può rischiare di più l’infarto. E quindi deve prestare particolare attenzione ai fattori che mettono in pericolo l’apparato circolatorio. Ma c’è un problema: in questa popolazione è più complesso identificare chi ha maggiori probabilità di sviluppare una patologia ischemica, visto che i classici parametri come colesterolo LDL, età e fumo tendono comunque a portare ad una sottostima dei potenziali rischi.

Una speranza per capire meglio su chi concentrare la massima cura in chiave di prevenzione di infarti ed ictus viene ora da una ricerca americana, coordinata da esperti del Massachussetts General Hospital e del Brigham and Women’s Hospital, apparsa sul Journal of American Heart Association. Lo studio (primo autore Daniel H. Solomon) identifica sei specifici parametri, ottenibili dagli specialisti con esami del sangue, capaci di definire con maggior precisione chi, tra quanti soffrono di artrite reumatoide, deve stare più attento al rischio cardiovascolare. Siamo solo all’inizio ed ulteriori indagini dovranno confermare l’impatto previsionale di questa batteria di test. Ma la strada appare interessante.

Cuore a rischio per chi soffre di artrite reumatoide o lupus

Come si è giunti a identificare questi parametri

L’analisi che ha portato a individuare i sei potenziali indicatori di un più elevato rischio cardiovascolare, oltre quindi ai classici elementi di pericolo per cuore ed arterie, viene dallo studio TARGET (Treatments Against RA and Effect on FDG PET/CT).

La ricerca è stata condotta per valutare l’impatto delle terapie per la malattia reumatologica sulla salute di cuore ed arterie. In questo senso, otre a test molto specifici, sono stati individuati 24 marcatori che si sono valutati all’inizio dello studio e dopo circa sei mesi nei pazienti, (109 in tutto, per oltre l’80% donne) inseriti nella ricerca.

Da questo “screening” di potenziali marcatori, si è giunti ad indentificare i sei parametri che appaiono associati a mutamenti nel profilo di rischio cardiovascolare: l’amiloide sierica A, la proteina C-reattiva, il recettore solubile del fattore di necrosi tumorale 1, l’adiponectina, l’YKL-40 (un parametro d’infiammazione) e l’osteoprotegerina, che entra in gioco nel metabolismo osseo.

Sia chiaro. siamo all’inizio. Sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se i biomarcatori possono risultare sicuramente associati a eventi cardiovascolari come infarto o ictus, visto anche il limitato numero di soggetti studiati.

Le malattie autoimmuni possono mettere in pericolo il cuore

Occhi puntati sull’infiammazione

“L’infiammazione può prevedere il rischio futuro di malattie cardiovascolari – è il commento riportato in una nota dell’ospedale di Ahmed Tawakol, del Massachusetts General Hospital”. Per questo i biomarcatori potrebbero diventare, almeno in parte, mezzi di monitoraggio di routine per la salute cardiovascolare nei pazienti con malattie reumatologiche. Perché quanto più sale l’infiammazione (da valutare anche con test di altro tipo), maggiore è la probabilità che la persona possa andare incontro ad un’evoluzione verso ictus e/o infarto.

Proprio la condizione infiammatoria è il “link” che riunisce l’aterosclerosi e la malattia reumatologica. Per questo nei soggetti ad elevato rischio gli obiettivi di prevenzione vanno perseguiti con il massimo impegno.

Ipertesi, attenzione ai farmaci che fanno salire la pressione

Come comportarsi?

“L’artrite reumatoide è una patologia caratterizzata da infiammazione delle articolazioni e sistemica – spiega Roberto Caporali, ordinario di reumatologia all’Università di Milano e Direttore del dipartimento reumatologia e scienze mediche, Asst Gaetano Pini Cto. È noto da anni che le malattie cardiovascolari sono più frequenti in questi pazienti rispetto alla popolazione generale rappresentino un problema serio in questi pazienti, potendo anche essere correlate ad un aumento della mortalità. L’artrite reumatoide rappresenta di per sé un fattore di rischio cardiovascolare, che si aggiunge ad eventuali fattori di rischio “classici””.

A ricordarlo, peraltro, ci sono anche le indicazioni di molte società scientifiche (tra cui la SIR – Società Italiana di Reumatologia) che consigliano nei pazienti con artrite reumatoide di moltiplicare il rischio cardiovascolare calcolato con i classici score per 1,5. Fondamentale è quindi inquadrare il paziente e proporre una terapia su misura per il singolo caso. “Il controllo dell’infiammazione e il raggiungimento della remissione in questi pazienti il più rapidamente possibile permette di ridurre in maniera drammatica il rischio cardiovascolare legato alla malattia e quindi di ridurre la mortalità – conclude Caporali”.

L’allergia a latticini e arachidi (e non solo) potrebbe aumentare il rischio di infarto

Condividi questo contenuto: