Aviaria: bimbo muore in Cambogia, prima pecora infettata in Inghilterra. Ue in allarme

Un bambino ucciso dal virus in Cambogia; il primo caso di una pecora infettata nel nord dell’Inghilterra: l’influenza aviaria H5N1, con le sue ultime mutazioni, fa scattare l’allerta nella Ue. Secondo gli esperti, assume sempre più i contorni della futura pandemia, tanto da far dire il commissario per la Salute, Oliver Varhely, nella risposta all’interrogazione parlamentare in cui si chiede come l’Ue intenda reagire al rischio di nuove pandemia: “La Commissione si prepara alla minaccia rappresentata dai virus H5N1 in circolazione nei mammiferi”. Che il virus possa colpire, anche duramente, lo dimostra, appunto, il fatto che in Cambogia, ha ucciso un bambino di 3 anni. Lo ha reso noto il 24 marzo il ministero della Salute del Paese asiatico. Dall’inizio dell’anno sono stati registrati tre casi; tutti fatali. Il bambino era giunto in ospedale la scorsa settimana in condizioni critiche: febbre alta, tosse, difficoltà respiratorie.

La pecora in Inghilterra

Il secondo allarme arriva dall’individuazione dell’aviaria in una pecora nel nord dell’Inghilterra, il primo caso conosciuto di questo tipo nel mondo, ha detto il governo britannico, aggiungendosi alla lista crescente di mammiferi infettati dalla malattia e alimentando i timori di una pandemia. Cosa che fa dire all’infettivologo Matteo Bassetti: “È sempre più alto il rischio di contagio da uomo a uomo”.

Intanto, proprio per bloccare nuove pandemie all’orizzonte, l’Italia affina un modello di riferimento. A firmare lo studio pubblicato su Nature è il team del professor Massimo Ciccozzi, professore di Epidemiologia e Statistica medica al Policlinico universitario Campus Bio-Medico di Roma, formato da Francesco Branda, Giancarlo Ceccarelli e Fabio Scarpa.

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L’Europa: “Una minaccia”

Negli Stati Uniti, il ministro della Sanità Robert F. Kennedy Jr., per affrontare l’epidemia di aviaria che devasta gli allevamenti di pollame, ha lanciato un invito bersagliato da contestazioni degli scienziati: “lasciare che il virus si diffonda liberamente”. In sostanza, ha riportato il New York Times, Kennedy ha detto che “invece di abbattere gli animali infetti, gli allevatori dovrebbero considerare la possibilità di lasciarlo correre per identificare e preservare gli esemplari immuni”.

Tornando all’Europa, la minaccia che le istituzioni a Bruxelles avvertono quando si parla di aviaria, è proprio l’esempio degli Stati Uniti a inquietare. Perciò, la versione mutata del virus H5N1 che negli Usa è già passata dagli animali all’uomo, ha attivato l’esecutivo comunitario e le agenzie di sicurezza che si occupando dell’argomento.

“La Commissione si prepara alla minaccia”, dice Varhely nella risposta all’interrogazione parlamentare in cui si chiede come l’Ue intenda reagire al rischio di nuove pandemie. Con una premessa: allo stato attuale il virus dell’influenza aviaria in circolazione negli Stati Uniti “non è stato rilevato negli esseri umani o nei bovini nell’Ue“. Ma ciò non è sufficiente a tranquillizzare gli animi. Infatti il team di Ursula von der Leyen ha chiesto all’Autorità per la sicurezza alimentare (Efsa), al Laboratorio di riferimento dell’Unione europea (Eurl, ossia l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie), di “valutare il rischio di infezione delle mucche da latte nell’Ue con il virus in circolazione negli Stati Uniti per esplorare azioni negli animali”.

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Lo scenario da evitare

Ai due organismi è stato inoltre chiesto, assieme al Centro di controllo e prevenzione delle malattie (Ecdc), di monitorare da vicino la situazione da un punto di vista epidemiologico: contagi, evoluzione della malattia, dunque mutazioni e varianti. Se l’Unione europea si attiva, altrettanto e ancor più devono fare gli Stati. Varhely ricorda che “il programma Ue per la sorveglianza dell’influenza aviaria, lascia alle autorità nazionali il compito di effettuare la sorveglianza sui mammiferi selvatici o di allevamento quando la situazione epidemiologica indica che potrebbero costituire un rischio per la salute degli animali e degli esseri umani”. In sostanza l’Ue inizia a prepararsi ad uno scenario che vorrebbe evitare, per non ripetere crisi come quella del 2015 o l’ondata del 2021.

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Lo studio italiano

Ed è proprio attorno al punto su come proteggersi da una nuova pandemia in arrivo che ruota lo studio italiano del team di Ciccozzi. “In un mondo in cui le minacce emergenti per la salute stanno diventando più frequenti e imprevedibili, la capacità di prevenire e contenere le epidemie è fondamentale per qualsiasi nazione”, premettono i ricercatori. Che si rifanno “all’esperienza del Ruanda nell’affrontare il virus di Marburg nel 2024” come “esempio di preparazione, collaborazione e investimenti continui nelle infrastrutture sanitarie in rado di fare la differenza”.

“Tuttavia, questo dovrebbe essere inteso non solo come caso isolato, ma come punto di partenza per una riflessione più ampia sul futuro della preparazione globale alle emergenze sanitarie”, proseguono. Ed entrano nel merito: “Il virus Marburg, simile all’Ebola per letalità e modalità di trasmissione, è uno dei patogeni più temibili al mondo – sottolineano -. La sua capacità di causare febbri emorragiche e alti tassi di mortalità, in assenza di vaccini o trattamenti specifici, rende imperativa una risposta rapida e coordinata. Il Ruanda è stato in grado di trasformare la minaccia in un’opportunità attraverso un efficiente sistema di sorveglianza, una risposta tempestiva e una forte cultura di comunicazione e collaborazione della comunità. La sua esperienza dimostra che, investendo in sistemi di monitoraggio, formazione del personale e tecnologia diagnostica, è possibile anticipare la diffusione dell’infezione e implementare efficaci misure di contenimento”.

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Il caso Ruanda e le nuove epidemie

“Ma perché è così importante guardare oltre il singolo caso ruandese?”, si chiedono gli esperti guidati da Ciccozzi. “La risposta sta nella natura globale delle epidemie – spiegano -. Oggi, la salute di ogni individuo è strettamente legata alla salute degli altri. In un’epoca di viaggi internazionali e interconnessione economica e sociale, un focolaio in un angolo del mondo può rapidamente trasformarsi in una crisi globale. Pertanto, la preparazione alle epidemie non dovrebbe essere vista come una questione locale o nazionale, ma come una responsabilità globale condivisa. Il modello ruandese ci offre diversi utili insegnamenti. Innanzitutto, la diagnosi precoce e l’uso di tecnologie moderne sono essenziali. La capacità di identificare i segnali di infezione in una fase precoce consente di attivare protocolli di emergenza e di isolare rapidamente i casi sospetti, riducendo al minimo il rischio di diffusione. Questa strategia, basata sulla prevenzione piuttosto che sulla reazione, è un paradigma fondamentale per qualsiasi nazione che voglia essere preparata a nuove minacce”.

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Vespignani: “Possiamo mappare i virus”

Parla invece di “mappare i virus, per seguirne in tempo reale l’evoluzione” Alessandro Vespignani, presidente di ISI Foundation, fisico italiano noto per il suo lavoro sulle reti complesse, sulla teoria delle reti applicata ai modelli matematici in epidemiologia e sulle applicazioni dell’epidemiologia computazionale. Vespignani evidenzia: “Oltre alla pandemia di Covid, negli ultimi anni abbiamo assistito all’emergere di nuovi allarmi legati a patogeni trasmissibili in modo sempre più rapido. Le informazioni iniziali su questi eventi sono spesso frammentate e tardive, ma i virus non aspettano i nostri tempi: serve dunque un approccio attivo, basato su strumenti analitici avanzati, tecnologie di frontiera e piattaforme di raccolta dati moderne”. E assicura: “Oggi possiamo combinare la scienza dei dati, i modelli computazionali e l’intelligenza artificiale, con strumenti straordinari come il sequenziamento genomico. Questo ci permette non solo di mappare in tempo reale l’evoluzione dei virus, ma anche di monitorarne la loro diffusione e circolazione”.

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Il controllo delle acque reflue

Vespignani fa un esempio chiaro: “l’uso delle acque reflue, anche quelle degli aerei, come sistema sentinella”. Chiarisce: “Analizzando il materiale genetico presente in queste acque, possiamo trovare le tracce della circolazione di nuovi patogeni prima ancora che emergano nei sistemi clinici tradizionali. Per esempio, le tecniche computazionali possono essere utilizzate per ottimizzare una rete di sorveglianza genomica attiva in una ventina di aeroporti strategicamente distribuiti a livello globale”.

“Analizzando il materiale genetico contenuto nei campioni provenienti dai voli internazionali, questa rete è in grado di monitorare in modo estremamente efficiente l’emergere e la diffusione di nuove minacce pandemiche – prosegue -. Questi aeroporti agiscono come nodi centrali della rete globale di mobilità, e rappresentano quindi punti ideali per monitorare l’introduzione di agenti patogeni. Questo tipo di sorveglianza, integrata con modelli predittivi, può evitare che ci troviamo ‘blindsided’, colti di sorpresa da una nuova pandemia”.

“L’integrazione di questi approcci con modelli computazionali e sistemi di intelligenza artificiale ci permette non solo di vedere prima, ma anche di anticipare scenari di diffusione e di impatto – conclude Vespignani -. La sfida è di trasformare queste capacità scientifiche in infrastrutture operative permanenti, capaci di rendere le società meno vulnerabili nel caso di future pandemie”.

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Lopalco: “Il virus dell’aviaria è l’indiziato principale”

Sull’argomento interviene anche l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco. Che premette: “Senza dubbio il virus dell’influenza H5N1 al momento è l’indiziato principale per il suo potenziale di diffusione internazionale”. E spiega: “Il rischio è legato a due fattori: il primo è la larga diffusione in tutto il Nord America; il secondo è il salto di specie, già avvenuto da uccelli a mammiferi (i bovini). Proprio le mutazioni che il virus potrebbe avere fra i bovini sono oggi particolarmente sotto la lente d’ingrandimento degli esperti. Basterebbe poco, infatti, perché dai ceppi bovini possa emergerne uno efficiente per la trasmissione umana. Questo potrebbe accadere ancora più facilmente in una situazione in cui le azioni di contenimento e controllo venissero meno. Ecco perché oggi, gli esperti sono così preoccupati per le esternazioni di kennedy che propone di ‘lasciar correre il virus’ secondo la sua evoluzione naturale. La sua evoluzione naturale potrebbe appunto significare una nuova pandemia influenzale”.

Lopalco conclude: “La Ue, per questo, ha ancor di più il dovere di tenere alta la guardia e mettere in campo tutto il suo potenziale di esperienza e tecnologia per arginare questo rischio. Al momento i cittadini non hanno motivi di preoccupazione. La situazione non comporta alcun rischio concreto per la salute umana. Almeno finché le autorità sanitarie nazionali e internazionali faranno quello che sono deputate a fare”.

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