Batteri nelle spugne per lavare i piatti: quando serve cambiarle

Le spugne da cucina sono tra gli oggetti più contaminati delle nostre abitazioni, eppure raramente ci si sofferma a valutarne il rischio igienico. A sollevare l’allarme è il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, che in un recente video pubblicato sui social ha mostrato la differenza tra una spugna nuova e una usata, sottolineando quanto quest’ultima possa diventare un vero e proprio ricettacolo di batteri.

Una notizia che trae spunto da uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports e che subito ha catturato l’attenzione dei followers anche perché tutti utilizziamo ogni giorno spugnette e panni in microfibra nelle nostre cucine, oggetti che possono essere considerati veri e propri hot spot microbici dove proliferano miliardi di batteri, inclusi patogeni.

Lo studio

Secondo Bassetti, le spugnette da cucina sono “nidi di batteri” e la loro pericolosità è spesso sottovalutata. Il medico fa riferimento a uno studio condotto da un gruppo di microbiologi tedeschi, che ha analizzato 14 spugne domestiche prelevate da diverse famiglie. I ricercatori hanno identificato ben 362 ceppi batterici, tra cui Moraxella, Acinetobacter e Serratia, alcuni dei quali appartenenti al gruppo 2 di rischio sanitario, ovvero potenzialmente patogeni. Le colonie batteriche rilevate erano così dense da raggiungere livelli paragonabili a quelli riscontrabili nelle feci. Lo conferma anche un’analisi della Clemson University che segnala che dopo due settimane d’uso una spugna può ospitare milioni di batteri, inclusi coliformi, ed è consigliato un ciclo di sanificazione settimanale o cambi frequenti.

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Miliardi di batteri sulle spugne da cucina

“Sapete quanti batteri ci sono in una spugna usata? Miliardi. Quasi dieci volte la popolazione mondiale”, afferma Bassetti sui social. Una concentrazione tale da risultare sorprendente anche per chi si occupa di microbiologia. Lo stesso “odore di refrescume” (cioè l’odore sgradevole spesso associato a stoviglie mal lavate, ndr) che spesso emettono le spugne vecchie, secondo il medico, è un chiaro segnale dell’altissima carica batterica presente. I metodi domestici di sanificazione possono ridurli, ma spesso selezionano ceppi resistenti. Un cambio regolare, insieme all’uso di spazzole che si asciugano velocemente, rappresenta la strategia più efficace per ridurre il rischio di contaminazione crociata in cucina.

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Nessun allarme, solo buon senso

Abbiamo chiesto di commentare la notizia anche ad Enrico Di Rosa, presidente della Società Italiana d’Igiene. “Il professor Bassetti ha ragione a sottolineare quanto le spugne da cucina possano ospitare enormi popolazioni batteriche, grazie alla loro struttura porosa e al ristagno d’umido. Tuttavia, cariche elevate di batteri non equivalgono a un pericolo immediato. La nostra bocca contiene trilioni di batteri, molti dei quali sono innocui o addirittura benefici. Allo stesso modo, molte specie trovate nelle spugne (es. Acinetobacter, Moraxella) sono comuni nell’ambiente, non patogene in condizioni ordinarie”. Insomma, nessun allarme per la nostra salute? “Francamente è difficile quantificare il rischio effettivo”, risponde Di Rosa.

“Non esistono dati certi che le spugne contaminino effettivamente le persone o causino malattie. La probabilità di ammalarsi dipende da vari fattori come, per esempio, il tipo di batteri, la modalità d’uso, la pulizia delle mani e delle superfici e anche il sistema immunitario individuale. Quindi sì, la notizia data dal professor Bassetti è fondata, ma con un giusto equilibrio tra informazione e allarmismo. Meglio sensibilizzare sulle buone pratiche di igiene piuttosto che puntare sul terrore dei batteri”.

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L’igienizzazione domestica funziona?

Il punto cruciale sollevato dall’infettivologo Bassetti riguarda anche l’inefficacia dei comuni metodi di igienizzazione. Secondo l’infettivologo, bollire o disinfettare le spugne non è sufficiente: “I batteri restano comunque al loro interno, annidati in profondità tra le fibre”. Questo rende inutili anche i metodi più diffusi come il microonde o l’ammollo in candeggina. La raccomandazione dell’esperto è quindi una sola: cambiare la spugna da cucina ogni settimana. Solo così si può limitare l’esposizione a colonie microbiche potenzialmente dannose e ridurre concretamente il rischio di contaminazione nella preparazione degli alimenti.

Le spazzole sono più igieniche?

Ci sono alternative più igieniche? “Alcuni studi – risponde Di Rosa – suggeriscono l’uso di spazzole da cucina in plastica dura, che tendono a trattenere meno umidità e si asciugano più rapidamente, ostacolando la proliferazione batterica. Anche i panni in microfibra tendono a restare più asciutti e meno permeabili. Tuttavia, anche questi strumenti devono essere sostituiti o igienizzati regolarmente”.

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Gli oggetti della cucina più contaminati (oltre alle spugne)

Ma le spugne non sono gli unici oggetti contaminati nelle nostre case. In cucina esistono diversi utensili e superfici che, se trascurati, possono diventare veri e propri focolai di batteri. L’umidità, il calore e i residui organici creano l’ambiente ideale per la proliferazione microbica. Per esempio, i taglieri, soprattutto quelli in legno, sono spesso segnati da solchi lasciati dai coltelli. In queste fessure possono annidarsi residui di cibo e umidità, favorendo la crescita di batteri come Salmonella, E. coli e Listeria. Per questo motivo è raccomandato usarne di diversi a seconda degli alimenti (crudi, cotti, verdure) e lavarli con cura, disinfettandoli regolarmente.

Utensili in legno e panni multiuso

Mestoli e spatole in legno, pur essendo molto diffusi, tendono ad assorbire liquidi e odori. Questo li rende un terreno fertile per i batteri, soprattutto se non vengono asciugati bene dopo l’uso. È consigliabile preferire utensili in silicone o acciaio per le preparazioni a maggior rischio e sostituire quelli in legno appena iniziano a deteriorarsi. Attenzione anche a strofinacci e panni multiuso. Spesso utilizzati indistintamente per asciugare mani, superfici e stoviglie, accumulano rapidamente cariche batteriche elevate, comprese tracce fecali. Il rischio è ancora maggiore se restano umidi a lungo. La soluzione è lavarli ad alte temperature con frequenza (ogni 1-2 giorni) e tenerli sempre ben asciutti.

Le regole d’igiene

Oltre a cambiare ogni 1-2 settimane le spugne o a preferire le spazzole rigide che si asciugano più in fretta e limitano la sopravvivenza dei batteri, bisogna seguire alcune regole di igiene: “Mai utilizzare la stessa spugna per lavare i piatti, pulire le superfici o peggio ancora i bagni”, avverte Di Rosa che aggiunge: “Dopo ogni utilizzo la spugna va risciacquata accuratamente, strizzata e lasciata asciugare se possibile al sole o in un porta-spugne areato. In questo modo si contribuisce ad eliminare l’umidità favorevole ai batteri. Quando compaiono cattivi odori o scolorimenti, è il momento di cambiarla”.

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