Depressione, un pacemaker nel cervello per sconfiggere i casi più gravi

Una sorta di pacemaker nel cervello potrebbe aiutare milioni di persone con depressione grave resistente ai trattamenti. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Cambridge (Regno Unito), dell’Università Jiao Tong di Shanghai e dell’Università Fudan (Cina) ha dimostrato che la stimolazione cerebrale profonda può portare a miglioramenti clinici laddove hanno fallito le terapie standard. Gli scienziati, inoltre, hanno individuato una “firma cerebrale” oggettiva in grado di prevedere quali pazienti risponderanno meglio a questo nuovo approccio terapeutico. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, apre la strada a un nuovo trattamento efficace e personalizzato contro le forme più gravi della depressione.

Depressione resistente

Il disturbo depressivo maggiore è uno dei problemi di salute mentale invalidanti più comuni al mondo. Sebbene gli antidepressivi e le terapie cognitive siano efficaci per molti pazienti, i tassi di resistenza al trattamento sono elevati. “La depressione resistente riguarda fino al 30% dei pazienti”, spiega Guido Di Sciascio, presidente nazionale della Società italiana di Psichiatria e direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL Bari. “Troppo spesso – osserva Di Sciascio – di fronte alla mancata risposta ci si limita a cambiare farmaco, senza rivedere il modello di cura. Oggi sappiamo che servono strategie integrate, personalizzate e più coraggiose: strategie di augmenting, interventi psicoterapici integrati e nuove tecniche di neuromodulazione possono offrire risposte efficaci a pazienti che un tempo avremmo considerato refrattari ai trattamenti”. La stimolazione cerebrale profonda potrebbe rappresentare una nuova opportunità di cura.

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Lo studio

Non si tratta di un approccio nuovo. La stimolazione cerebrale profonda viene già utilizzata con successo per il morbo di Parkinson. Consiste nell’impianto di sottili elettrodi in profondità nel cervello, che agiscono come un vero e proprio “pacemaker” cerebrale, erogando una lieve stimolazione elettrica per correggere l’attività neurale anomala legata al disturbo. Nello studio i ricercatori hanno sperimentato questa tecnica su 26 pazienti reclutati dal Ruijin Hospital della Facoltà di Medicina dell’Università Jiaotong di Shanghai in Cina, tutti affetti da depressione resistente al trattamento. Lo studio era “in aperto”, il che significa che sia i ricercatori che i pazienti erano consapevoli della somministrazione della stimolazione cerebrale profonda.

Il team ha applicato la stimolazione a due aree del cervello: il nucleo centrale della stria terminale (BNST), un’estensione dell’amigdala coinvolta nella regolazione di stress, ansia, paura e comportamenti sociali; e il nucleo accumbens, coinvolto nel modo in cui il cervello elabora le ricompense ed è un’area chiave per la motivazione, il piacere e il rinforzo. Metà dei pazienti (13 su 26) ha riscontrato miglioramenti significativi relativi sia ai sintomi correlati a depressione e ansia che sul fronte della qualità della vita. Nove di questi pazienti (il 35% della coorte dello studio) hanno raggiunto la remissione, ovvero la quasi completa eliminazione dei sintomi.

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Firma cerebrale

La vera svolta dello studio, tuttavia, risiede nell’identificazione di una “firma” oggettiva di attività cerebrale in grado di prevedere quali pazienti risponderanno meglio al trattamento. Questa “firma” neurale è una specifica configurazione di onde cerebrali ritmiche che si manifesta in una particolare frequenza e area del cervello prima ancora che inizi la terapia. Questa attività anomala è stata misurata in una delle aree bersaglio della stimolazione, in particolare il nucleo centrale della stria terminale. La firma è caratterizzata da oscillazioni ad alta frequenza che i ricercatori hanno scoperto essere eccessivamente sincronizzate in modo specifico nei pazienti che, in seguito, risponderanno bene alla stimolazione cerebrale profonda. In termini semplici, il cervello dei futuri “risponditori” mostrava un’attività elettrica particolarmente caotica o sregolata in quel’’area, rispetto ai “non-risponditori”. La stimolazione cerebrale profonda mira a “resettare” o “normalizzare” questa attività elettrica sregolata.

Stimolazione personalizzata

La scoperta suggerisce che se il cervello del paziente mostra questa specifica attività eccessivamente sincronizzata nel nucleo centrale della stria terminale, significa che la loro depressione è strettamente legata a questa specifica disfunzione del circuito. In questi casi, la stimolazione elettrica applicata è esattamente il tipo di correzione di cui quel circuito ha bisogno per tornare a funzionare correttamente. Nei pazienti che non presentano questa firma neurale, è probabile che la depressione sia guidata da disfunzioni in circuiti o regioni cerebrali differenti. Di conseguenza, stimolare il nucleo centrale della stria terminale non sarà efficace.

“Abbiamo scoperto – spiega Linbin Wang del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Cambridge, tra gli autori dello studio – che l’attività cerebrale a una particolare frequenza – le onde cerebrali theta – potrebbe indicarci quali pazienti avrebbero la migliore risposta al trattamento con la stimolazione cerebrale profonda nel nucleo centrale della stria terminale. Questo potrebbe aiutarci a personalizzare il trattamento per i singoli pazienti in futuro”.

Parallelamente a questa ricerca, i ricercatori hanno condotto uno studio clinico randomizzato, controllato e in doppio cieco sulla stimolazione cerebrale profonda per la depressione resistente al trattamento. Questi studi sono considerati il ‘gold standard’, poiché né i ricercatori né i pazienti sono a conoscenza del trattamento somministrato, escludendo la possibilità di un effetto placebo. I risultati saranno pubblicati a breve.

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