Disturbi alimentari in crescita, ma la Regione Lazio taglia le cure

Victoria Beckham si racconta senza filtri. Nella nuova docuserie Netflix, dedicata alla sua vita, l’ex Spice Girl rompe il silenzio sulla battaglia nascosta che ha combattuto per anni: un disturbo alimentare nato sotto il peso del giudizio mediatico e coltivato in solitudine, perfino all’insaputa dei suoi genitori. “Cercavo di controllare il mio corpo in modi incredibilmente malsani”, dice oggi, a 51 anni, con la voce rotta ma lucida. Il suo racconto ha fatto il giro del mondo. Ha riaperto una ferita ancora aperta per milioni di donne – e uomini – che convivono con un disagio profondo, spesso invisibile, spesso negato.

In Italia, però, mentre le storie di dolore e rinascita come quella di Victoria arrivano sugli schermi, la politica sanitaria sembra andare nella direzione opposta: tagliare, ridurre, ignorare. “Proprio ora che i disturbi alimentari sono in crescita esponenziale tra gli adolescenti – denuncia la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione, Coordinatrice Rete DCA Regione Umbria e Docente Università Campus Bio-Medico di Roma – la Regione Lazio approva un decreto che limita a soli 90 giorni i ricoveri nelle strutture residenziali. Passato quel termine, i pazienti vengono dimessi o le famiglie devono pagare una quota insostenibile: il 40% della retta, circa 3.000 euro al mese”.

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Un’emergenza sanitaria invisibile

Negli ultimi anni i disturbi del comportamento alimentare sono esplosi tra le fasce più giovani della popolazione. I numeri parlano chiaro: oggi un adolescente su tre manifesta sintomi di disordine alimentare. L’età di esordio si è abbassata drasticamente: le richieste di aiuto arrivano già dagli 11-12 anni. E i casi gravi sono sempre più frequenti. I Disturbi del comportamento alimentare sono patologie psichiatriche severe, sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali, con un tasso di suicidio e autolesionismo molto alto. “I ricoveri residenziali non sono un lusso – spiega la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione, da oltre vent’anni in prima linea nella cura dei DCA – ma una necessità per pazienti in pericolo di vita. Serve tempo, pazienza, équipe multidisciplinari. In media, un percorso efficace richiede dai 6 ai 12 mesi di trattamento intensivo”.

Il decreto dell’estate: 90 giorni o fuori

In piena estate, senza alcun confronto con esperti, famiglie o clinici, la Regione Lazio ha approvato un decreto che stabilisce un limite massimo di 90 giorni per i ricoveri nelle strutture residenziali per DCA. Dal 91° giorno, due le opzioni: il paziente viene dimesso, indipendentemente dalla sua condizione clinica, oppure la famiglia deve pagare il 40% della retta, ovvero circa 3.000 euro al mese. “Una misura insensata, miope e pericolosa – denuncia Dalla Ragione – che contrasta con tutta l’evidenza clinica e scientifica. I pazienti con DCA non si ‘guariscono’ in tre mesi. Anzi, il rischio è che tornino a casa più fragili di prima, senza aver completato un percorso terapeutico strutturato”.

Un risparmio che costa carissimo

Il decreto nasce da logiche di contenimento della spesa sanitaria. Ma a quale prezzo? “Tagliare i ricoveri non significa curare meno, ma abbandonare i più fragili. Sappiamo bene che un disturbo alimentare non trattato adeguatamente può portare a ricadute, ospedalizzazioni continue, cronicizzazione, o nei casi peggiori, morte. È un’emergenza psichiatrica, non un disagio passeggero”. Inoltre, far pagare migliaia di euro alle famiglie significa creare un sistema sanitario a doppia velocità: chi ha i mezzi continua il trattamento, chi non li ha si ferma. “È una violazione del diritto alla salute. E colpisce i più giovani, i più vulnerabili, le madri e i padri già allo stremo”.

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Una decisione presa senza ascolto

A colpire ancora di più è il metodo: nessuna consultazione, nessun confronto con i centri specialistici, con le associazioni dei familiari, con chi ogni giorno lavora accanto a questi pazienti. “Abbiamo appreso tutto a cose fatte. Non ci è stato chiesto un parere, non sono stati ascoltati i professionisti, né le famiglie. Nessuno ha valutato l’impatto di questa scelta sulla tenuta dei percorsi di cura. È un modo di governare la salute pubblica che respingiamo con forza”.

La situazione nelle altre Regioni

La decisione della Regione Lazio di porre un limite amministrativo rigido di 90 giorni ai ricoveri residenziali per i DCA è un caso unico? “In tutta Italia, le Regioni regolano i ricoveri ospedalieri attraverso i DRG (Diagnosis Related Groups), che servono a delimitare la fase acuta e salvavita del trattamento”, risponde Dalla Ragione che continua: “Ma la fase riabilitativa, che richiede tempi lunghi, attività terapeutiche complesse e ambienti non ospedalieri, non ha – e non dovrebbe avere – una scadenza preimpostata. Ogni Regione ha tariffe e requisiti specifici per le strutture dedicate ai disturbi alimentari ma nessuna ha mai imposto un limite temporale amministrativo alla riabilitazione. La durata del trattamento deve essere una decisione clinica, non un calcolo contabile”.

Alcune Regioni, anzi, rappresentano modelli virtuosi: Veneto, Toscana, Umbria, Emilia-Romagna, Lombardia hanno attivato reti complete di assistenza, con Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali (PDTA) ben definiti e articolati su tutti i livelli previsti dal Ministero della Salute: ambulatoriale, semiresidenziale, residenziale e ospedaliero.

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Il Fondo nazionale per i Dca

Ma in altre Regioni la situazione è molto frammentata, e questo ostacola la diagnosi precoce e l’accesso tempestivo alle cure. “Per capire meglio le disparità territoriali – aggiunge Dalla Ragione – basta consultare la piattaforma dell’Istituto Superiore di Sanità (piattaformadisturbialimentari.iss.it), che fotografa in tempo reale lo stato dell’assistenza regione per regione”. Negli ultimi anni si è fatto qualche passo avanti, grazie anche al Fondo Nazionale per i DCA, che ha consentito di potenziare l’assistenza ambulatoriale.

Che cosa si chiede alla Regione Lazio

Laura Dalla Ragione chiede con urgenza il ritiro o la revisione del decreto: “Serve una moratoria immediata di questa norma. E soprattutto, va aperto un tavolo tecnico con esperti, clinici e associazioni per scrivere regole che abbiano senso, che rispettino la scienza e proteggano davvero i pazienti”. In un momento storico in cui i disturbi alimentari stanno diventando una delle prime cause di sofferenza mentale tra giovani e adolescenti, la risposta non può essere il taglio, ma l’investimento. “Servono più risorse, non meno. Più strutture, non meno. Più ascolto, non silenzi”.

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