Dopo il cancro al seno, il rischio di altri tumori resta basso
Un tarlo nella mente. Un dubbio che può nascere o meno, ma che quando emerge spesso resta senza risposta: “Se in passato ho avuto un tumore al seno in stadio iniziale, sono più a rischio degli altri di avere altri tumori? E di quanto?”. Negli anni, diversi studi epidemiologici hanno fornito evidenze contraddittorie. Non stupisce, perché i fattori che possono influenzare le statistiche sono diversi. Ora ne arriva un altro di studio, ampio, e dice che un aumento del rischio c’è ma è molto basso: circa il 2-3% in più, in generale, rispetto a chi non si è mai ammalata.
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Un rischio spesso sovrastimato
La buona notizia è riportata oggi sul British Medical Journal in uno studio condotto dall’Università di Oxford, ed è accompagnata da un editoriale firmato anche da due pazienti che riportano il loro punto di vista: “Quando ci è stato diagnosticato il tumore al seno, la nostra prima preoccupazione era la sopravvivenza – scrivono Mairead MacKenzie e Hilary Stobart dell’associazione londinese Independent Cancer Patients’ Voice – Ma, con il passare del tempo, la possibilità di sviluppare un secondo tumore ha cominciato a preoccuparci sempre di più. Secondo la nostra esperienza, molte pazienti con tumore al seno ritengono che il rischio di sviluppare un secondo tumore è molto più alto di quanto non sia in realtà”.
Per chi aumenta il rischio di un secondo tumore
Di quanto aumenta il rischio di altri tumori?
Tenendo presente che la probabilità individuale di sviluppare nuovi tumori primari andrebbe sempre valutata caso per caso – perché può essere influenzata dalla genetica, dalla storia familiare, dallo stile di vita e, non in ultimo, dalle terapie per il carcinoma mammario – veniamo ai risultati della ricerca.
Gli studiosi hanno analizzato le informazioni di 476.373 donne tra 20 e 75 anni operate per un tumore al seno in stadio iniziale in Inghilterra dal gennaio del 1993 al dicembre del 2016, seguite poi fino al 2021. Ciò significa che per molte di queste pazienti il follow up è stato di oltre 20 anni. In questo periodo di tempo, 64.767 hanno sviluppato un nuovo tumore primario (con questo termine si intende un tumore diverso dal precedente, che non è quindi una recidiva): il 13,6% ha avuto un tumore in altre parti del corpo – soprattutto all’utero, al polmone e all’intestino – circa il 2% in più di quanto atteso per la popolazione generale – e 5,6% ha avuto un nuovo tumore nell’altro seno (controlaterale) – circa il 3% in più della norma.
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Età e tipo di trattamento influenzano la probabilità
Differenze emergono quando si analizzano i dati per fasce di età: in particolare, l’eccesso di rischio di un secondo tumore al seno controlaterale appare lievemente più alto nelle donne più giovani. Andiamo a vedere i numeri nello specifico. Per donne che hanno avuto la diagnosi di un primo carcinoma mammario a 60 anni, il rischio di una neoplasia diversa entro gli 80 anni è stato del 17%, e quello di un nuovo cancro al seno del 5%, rispetto al 15% e al 3% della popolazione femminile generale della stessa età. Se, invece, l’età alla prima diagnosi era di 40 anni, il rischio di nuove neoplasie entro i 60 anni è risultato essere del 6% (sia in altri organi, sia nel seno controlaterale), comparato al 4% e al 2%, rispettivamente, della popolazione femminile generale della stessa età.
Per quanto riguarda i trattamenti adiuvanti ricevuti dopo l’intervento (fondamentali e necessari per ridurre al minimo il rischio di recidive del cancro al seno), la radioterapia è stata associata a un lieve aumento dei tassi di tumori al seno controlaterali e del polmone, le terapie anti-ormonali (o, più propriamente, endocrine) a un lieve aumento dei tassi di tumore dell’utero ma anche a una riduzione dei tumori al seno controlaterale, mentre la chemioterapia a un lieve aumento dei casi di leucemia acuta. Complessivamente, si tratterebbe di un eccesso di rischio del 7%, ma gli autori dello studio sottolineano che “i benefici dei trattamenti per proteggere le pazienti dalla recidiva del carcinoma mammario superano di gran lunga i potenziali svantaggi”.
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Un’informazione rassicurante
Va detto che, come sempre, la ricerca presenta dei limiti, perché i registri dei tumori possono riportare informazioni incomplete. Inoltre, lo studio non considera la storia familiare, l’eventuale predisposizione genetica e le abitudini legate allo stile di vita, come il consumo di alcolici e il fumo, il sovrappeso, la scarsa attività fisica. Detto questo, i risultati possono fornire informazioni affidabili e rassicuranti alle pazienti, ai medici e ai decisori politici per la programmazione sanitaria.
Non tutte le pazienti – scrivono i ricercatori – desiderano conoscere nel dettaglio il loro rischio ma le informazioni dovrebbero essere facilmente reperibili per coloro che le cercano, subito o in seguito. “I risultati sono rassicuranti per le pazienti e dovrebbero essere ampiamente condivisi – concludono le pazienti rappresentanti di Independent Cancer Patients’ Voice –
Questo studio mette anche in prospettiva i rischi a lungo termine dei trattamenti: per esempio, credevo che la radioterapia avrebbe aumentato il mio rischio di cancro ai polmoni, ma questo rischio è in realtà inferiore all’1% […] Tali informazioni dovrebbero essere disponibili e offerte dai medici nel momento in cui si discutono le terapie adiuvanti”.
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