Giovani e cancro, una sitcom racconta la “Terra di mezzo”

“Abbiamo preso un granchio” dice Andrea, 19 anni. “Ma abbiamo trovato una storia da raccontare”. Una storia di coraggio e speranza che verrà proiettata per la prima volta nella sua interezza martedì, 17 giugno – in occasione dell’evento “Cercando la traiettoria giusta, nella Terra di Mezzo” – all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Sì, perché Andrea è uno di quelli che in oncologia sono chiamati “Aya”: l’acronimo sta per “Adolescenti e giovani adulti”, sono le persone che vengono colpite da un tumore in una fascia della vita (tra 15 e 39 anni) che non dovrebbe proprio prevedere il confrontarsi con quella parola terribile.

La storia che verrà proiettata domani è la loro, ed è un unicum sorprendente, lodato anche da un recente articolo scientifico sulla rivista americana Pediatric Blood and Cancer: si tratta della sitcom “Ho preso un granchio”, scritta e interpretata dai ragazzi del Progetto Giovani, iniziativa nata 15 anni fa nel reparto Pediatria dell’Istituto Nazionale dei Tumori diretta dalla dottoressa Maura Massimino. Il progetto è ideato e coordinato dal professor Andrea Ferrari. “Prendersi cura di un adolescente non significa solo somministrare farmaci” spiega Ferrari. “Significa accompagnarlo mentre cerca di capire chi è, anche dentro l’esperienza traumatica della malattia. La creatività e l’arte, in questo, possono essere strumenti potentissimi, attraverso i quali i ragazzi si raccontano e ci aprono il loro mondo interiore”.

Sette temi per sette puntate

Il Progetto Giovani ha inserito la creatività e l’espressione del sé nell’orizzonte terapeutico, con progetti che in questi anni hanno toccato la fotografia, la musica e la moda. Per la sitcom è stato coinvolto un team composto dal professor Ferrari, dall’educatore Matteo Silva, dalla psicologa Elena Pagani, dalla fotografa Alice Patriccioli, dalla sceneggiatrice Federica Di Rosa e dal regista Davide Stecconi, con le stanze dell’istituto diventate set. Ognuna delle sette puntate realizzate grazie al supporto della Fondazione Bianca Garavaglia, affronta una tema diverso: dall’arrivo di una ragazza snob che pensava che il reparto fosse un albergo a 5 stelle, alle schermaglie sentimentali tra pazienti, al problema di una ragazza appassionata di teatro alle prese con un provino ostacolato dalla perdita dei capelli dovuta alle cure. In due degli episodi compaiono come ospiti speciali Aldo, Giovanni e Giacomo.

Sempre più giovani pazienti oncologici

La “Terra di mezzo” che dà il nome all’evento del 17 giugno è quella dei giovani pazienti oncologici. In Italia i nuovi casi sono circa 11.000 all’anno, e purtroppo questo, negli ultimi vent’anni, è un trend in crescita, soprattutto per i tumori al seno, alla trachea, al polmone, allo stomaco e al colon-retto. Perché “Terra di mezzo”? Perché prima dei 15 anni si è trattati in oncologia pediatrica, e dopo i 40 anni si è trattati nei reparti di oncologia con i classici protocolli di cura riservati agli adulti, ma nella fascia intermedia si finisce in una delicata terra di mezzo dove si intrecciano modelli di cura differenti e così si rischia di non ricevere la cura ideale proprio in anni in cui si dovrebbe pensare a tutt’altro: a rendersi indipendenti, a costruire la propria vita.

Proprio per la necessità di un salto di qualità in questo senso nel panorama medico italiano, durante l’evento del 17 giugno verrà presentato anche il primo Corso di Perfezionamento Universitario in oncologia dell’adolescente e del giovane adulto, promosso dal Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università Statale di Milano, con la direzione scientifica del professor Gianluca Vago e la coordinazione di Andrea Ferrari, in collaborazione con il dottor Fedro Peccatori dell’Istituto Europeo di Oncologia. Ferrari e Peccatori sono anche autori (insieme al giornalista Edoardo Rosati) del saggio Nella terra di mezzo: storie di giovani malati di tumore (Piemme, pp. 272, euro 13).

L’oncologia pediatrica e quella degli adulti si ‘parlano’ poco

“Nei primi anni del 2000 si iniziò a capire a livello internazionale che i pazienti di 15,20,25 anni avevano meno probabilità di guarire dal tumore rispetto a un bambino o a un adulto” spiega Fedro Peccatori. “Tra le ragioni il fatto che il mondo dell’oncologia pediatrica e quella degli adulti non erano capaci di dialogare efficacemente: poteva esserci un diciassettenne affetto da un tumore tipicamente pediatrico che però non arrivava negli ospedali pediatrici, che avevano il limite di età a 16 anni, o al contrario si potevano avere tredicenni con melanoma, ovvero un tumore dell’adulto, che sempre per via dell’età non potevano essere curati con i protocolli dell’adulto”. Con un impatto negativo sulle possibilità di sopravvivenza: per i pazienti “Aya” le percentuali di arruolamento nei protocolli clinici più appropriati variano – a seconda del tipo di tumore – dal 5% al 34%, mentre nei bambini variano tra il 70% e il 90%.

“In Italia abbiamo iniziato io come referente dell’oncologia pediatrica, e Fedro Peccatori per quella adulta, a fondare – coinvolgendo le nostre associazioni scientifiche, l’AIEOP e l’AIOM – un gruppo che lavora con protocolli di ricerca, e gruppi interdisciplinari, dedicati specificamente ai pazienti “Aya”” ricorda Andrea Ferrari. “Oltre al cruciale aspetto terapeutico che garantisce le cure più appropriate ai tumori in questa fascia d’età così delicata, con il Progetto Giovani creiamo delle sinergie incredibili tra ragazzi che magari hanno 23-24 anni e 15-16 anni, e che quindi teoricamente avrebbero poco da condividere, che si ritrovano e riconoscono da una cicatrice, da un modo di vedere le cose, da una luce che hanno negli occhi che è diversa dagli altri. E socializzano diventando più resilienti”. L’ospedale può essere un luogo che produce amicizia e cultura: “Un esempio è il video musicale “Palle di Natale” realizzato qualche anno fa, che è diventato virale con oltre 20 milioni di visualizzazioni” spiega Ferrari. “È una canzone dove tanti ragazzi in chemioterapia cantano, si abbracciano e sorridono mostrando a tutti che alla fine anche le prove più dure della vita si possono affrontare e superare”.

Sdrammatizzare la cura può migliorare la qualità della vita dei pazienti

Ancora più utile per i giovani colpiti da tumore è stata la serie di video “Tumorial” realizzati dal Progetto Giovani. “Sono dei video dove i ragazzi raccontano gli aspetti più delicati – vita affettiva compresa – del loro percorso di cura” spiega Ferrari. “Un’altra iniziativa, che lanciamo ogni anno in ottobre, è la Winners Cup: un torneo di calcio, organizzato con l’Inter, dove giocano 250 ragazzi pazienti oncologici che vengono da tutta Europa”. Sdrammatizzare la cura è un passo importante per la qualità della vita dei pazienti: “Se prima, ogni volta che mi recavo in ospedale per le terapie e i controlli, provavo ansia e agitazione” racconta un giovane paziente “Dopo, quell’ambiente è diventato un posto normale, perché lì trovavo i miei amici e sentivo di appartenere a un progetto importante”. “Dopo la diagnosi di cancro mi sentivo persa, svuotata, non avevo alcuna voglia di lottare” confessa un’altra paziente. “Ma un giorno ho visto tre ragazzi che uscivano ridendo dalla stanza del Progetto Giovani. Erano mesi che non ridevo più. E allora ho deciso che volevo essere come loro, e tornare a sorridere alla vita”.

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