Il sogno di Putin e Xi Jinping: si può vivere fino a 150 anni?

In occasione della parata militare per gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalla sconfitta del Giappone ha fatto discutere lo scambio di battute tra Vladimir Putin e Xi Jinping, centrato su biotecnologie, trapianti e persino sull’idea di spingere la longevità umana fino a 150 anni. Le informazioni disponibili su questo dialogo restano scarse e, come osservato da alcune cronache, potrebbero riflettere più un gioco di equilibri geopolitici che reali anticipazioni scientifiche. In ogni caso, l’enfasi posta su concetti come “immortalità” o “vita estrema” rischia, se isolata dal contesto, di generare aspettative fuorvianti. La ricerca biomedica procede, infatti, con passi importanti, ma ancora sperimentali e lontani da simili traguardi.

I trapianti d’organo

Oggi i trapianti d’organo rappresentano una conquista straordinaria della medicina, in grado di salvare vite e migliorare radicalmente la qualità della vita dei pazienti. Tuttavia, non vanno confusi con un processo di “ringiovanimento”: sostituire un organo malato non significa fermare l’invecchiamento globale dell’organismo, che coinvolge muscoli, sistema nervoso, sistema immunitario e metabolismo. Anche in futuro, con organi bio-ingegnerizzati o xenotrapianti, si potranno trattare meglio malattie terminali, ma non risolvere da soli la questione dell’invecchiamento sistemico.

L’immortalità biologica

Il tema dell’immortalità biologica è ancora più complesso. Più che una possibilità concreta, rappresenta oggi una narrativa filosofica o fantascientifica. La biologia ci mostra chiaramente i limiti: accumulo di mutazioni, senescenza cellulare, instabilità genomica, alterazioni epigenetiche. Per questo la ricerca punta non tanto all’immortalità, quanto all’estensione della “healthspan”, cioè degli anni vissuti in salute, riducendo la disabilità e le malattie croniche dell’età avanzata.

Quanto all’aspettativa di vita di 150 anni, va detto che le proiezioni demografiche realistiche restano molto più caute: in condizioni ottimali, nei Paesi avanzati, si ipotizza una media che possa arrivare intorno ai 90–100 anni. Superare quella soglia richiederebbe progressi straordinari: prevenzione totale delle principali malattie croniche (cardiovascolari, oncologiche, neurodegenerative), capacità di rigenerare i tessuti su larga scala e forse interventi di editing genetico. Tutto questo non è impossibile in linea teorica, ma certo non è un obiettivo a breve termine.

La riprogrammazione cellulare

C’è però una novità che ha cambiato la discussione: il “cellular reprogramming” in vivo. Esperimenti recenti su modelli animali hanno mostrato che, modulando attentamente i fattori di riprogrammazione cellulare (per esempio quelli scoperti dal Premio Nobel Shinya Yamanaka), è possibile ringiovanire tessuti e organi già esistenti, senza cancellare del tutto la loro identità. Sono state documentate, ad esempio, rigenerazioni parziali del nervo ottico e miglioramenti funzionali di organi come il pancreas nei topi. Si tratta di risultati che aprono alla prospettiva delle “rejuvenation therapies”, cioè terapie in grado di ridurre i segni biologici dell’invecchiamento, più che di sostituire gli organi.

Naturalmente i limiti restano enormi: se il “reprogramming” è attivato in modo eccessivo o incontrollato, il rischio è quello di indurre tumori o perdita di funzione. La sfida scientifica è trovare protocolli che permettano di stimolare solo parzialmente i “programmi giovanili” nelle cellule, in modo mirato e sicuro.

I progressi e le prospettive

Se però in futuro questi ostacoli saranno superati, la prospettiva cambierebbe radicalmente. Non ci si limiterebbe più a trapiantare organi nuovi, ma si potrebbe ringiovanire gli organi esistenti, contrastando l’usura dell’età. Questo non significa ottenere l’immortalità, ma potrebbe portare a una radicale estensione del cosiddetto “healthspan”, potenzialmente ben oltre i 100 anni.

In questo scenario, vivere fino a 120–150 anni non sarebbe più fantascienza pura, ma un obiettivo scientificamente pensabile — sebbene ancora lontano dall’essere provato o applicabile all’uomo.

In conclusione: il dialogo originale funziona bene come provocazione filosofica, ma è scientificamente impreciso. Con i progressi della medicina rigenerativa e soprattutto del “reprogramming” in vivo, l’orizzonte si sposta: non si tratta di promettere immortalità, ma di immaginare un futuro in cui l’essere umano possa vivere molto più a lungo e in buona salute, con anni aggiuntivi di vita di qualità piuttosto che semplicemente “più anni”.

*Primario dell’Unità Operativa di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e associato di endocrinologia all’Università Vita-Salute San Raffaele.

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