In coppia, ma a casa di mamma: cosa succede quando le coppie di ventenni convivono con i genitori

Succede sempre più spesso: giovani coppie di 18enni o ventenni, magari appena nate, decidono di “accasarsi” non in un appartamento tutto loro, ma nella casa dei genitori di uno dei due. A volte è una scelta per necessità economica, altre per comodità. Ma in molti casi si tratta di figli di genitori separati, che tornano a casa con il nuovo partner. Così si formano convivenze a tre (o a quattro) dove la quotidianità diventa un campo minato di conflitti, fra privacy negate, ruoli ambigui e tensioni silenziose.

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Secondo i dati Istat, nel 2025 il 63,3% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori, un valore in crescita rispetto al 2010. Questa situazione riflette le difficoltà economiche e occupazionali che molti giovani affrontano nel tentativo di raggiungere l’indipendenza. Inoltre, alcune famiglie italiane stanno adottando un approccio più aperto, accogliendo i partner dei figli nelle proprie abitazioni. La presenza quotidiana in casa di compagni di scuola dei figli ha creato famiglie allargate che poi si trovano ad accogliere con naturalezza anche i loro fidanzati.

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Il rischio di conflitti

Chi ne soffre di più? Spesso, paradossalmente, proprio i genitori che ospitano. E anche se la scelta nasce dalle buone intenzioni – aiutare, accogliere, sostenere – il risultato è spesso il caos. “È come se mancassero i prerequisiti della coppia amorosa adulta, quella che si costruisce come un ‘noi’ nuovo, separato dalle famiglie d’origine”, spiega lo psicoterapeuta e scrittore Alberto Pellai. “La prima convivenza è anche il primo terreno dove nascono i conflitti di coppia ed è giusto che sia così: si passa dall’io al noi. Ma se tutto questo avviene dentro la casa dei genitori, si crea un corto circuito relazionale dove spesso i rapporti si deteriorano”.

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Simbiosi o maturità?

Anche la psicoterapeuta Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza. conferma: “Sono sempre più numerose le coppie di adolescenti e giovani adulti che vivono relazioni molto simbiotiche, spesso descritte dai genitori con frasi come ‘sono inseparabili’, ‘non si staccano mai’”. Ma, avverte, “non si tratta necessariamente di una scelta matura, quanto piuttosto di un passaggio di comodo, facilitato dalla disponibilità di uno spazio già pronto e dalla tolleranza dell’adulto”. In molti casi si anticipano modalità da coppia adulta senza basi emotive e identitarie consolidate. “Vivere ogni momento insieme può sembrare intenso, ma spesso riduce l’autonomia individuale e confonde la simbiosi con l’intimità”.

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Giovani troppo presto… o troppo tardi?

Ma a 18-20 anni si è pronti per una convivenza stabile, anche se solo ‘ospitata’? Non è troppo presto visto che i giovani non sono ancora indipendenti? Secondo Pellai, la risposta è complessa: “Oggi uscire fuori nel mondo è molto più difficile rispetto al passato. Non solo per ragioni economiche, ma anche psicologiche: i legami familiari sono diventati più protettivi e i ragazzi meno esplorativi, meno desiderosi di indipendenza e autonomia”. La prova? “Negli ultimi dieci anni si è dimezzato il numero dei 18enni che vogliono la patente. È il segnale che stiamo rinunciando ai tre movimenti fondamentali dell’adultità: andare da dentro a fuori, passare dalla protezione all’esplorazione, e dalla dipendenza all’autonomia”.

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Una generazione cresciuta in cameretta

Pellai parla di una vera e propria ‘mutazione antropologica’: “I ragazzi della Generazione Z sono cresciuti in un tempo di deprivazione sociale. Al di fuori della scuola – unico spazio di socialità ‘obbligata’ – hanno vissuto molto tempo in cameretta. Uno spazio che, una volta era punizione, oggi è rifugio”. Il risultato? “Non sono allenati alla socio-relazionalità, e quando si innamorano, si chiudono in dinamiche di coppia esclusive. Escono poco, si isolano, e a volte tutto questo succede… a casa di mamma”. La voglia di convivere, di per sé, è un segnale di crescita. Ma – precisa Pellai – “la convivenza dovrebbe rappresentare una transizione dalla casa dei genitori a quella dove mi costruisco come adulto. Oggi, invece, molti fanno questo passo dentro casa, rimanendo inglobati nello spazio che li ha cresciuti”.

Famiglie invischianti, ruoli confusi

Quando due giovani convivono a casa di uno dei genitori, chi comanda? Chi stabilisce le regole? Come si costruisce una nuova intimità? La risposta è che spesso non si costruisce nulla di stabile. “Il rischio – avverte Pellai – è di creare convivenze ‘invadenti’, dove i confini tra generazioni si sfumano e dove i figli finiscono per vivere un’adultità basata sulle aspettative dei genitori, non su ciò che vogliono davvero”. Non è raro che le tensioni aumentino. “I conflitti tra coppie giovani che vivono in casa con i genitori sono molto frequenti”, dice Pellai. “E questo accade anche quando vivono da soli, ma la presenza costante – anche solo psicologica – della famiglia d’origine amplifica tutto”. Anziché lavorare sul proprio equilibrio, le giovani coppie devono gestire anche quello della famiglia che le ospita. “Invece di costruire un ‘noi’ nuovo, devono fare i conti con un ‘noi allargato’ che include anche mamma, papà, magari fratelli e sorelle. È molto difficile reggere”.

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Controllo o crescita?

Rispetto al passato, oggi gli adolescenti hanno molte più occasioni di vivere la propria intimità in casa. Non solo con il partner, ma anche con amici. “I genitori spesso preferiscono che i figli stiano in casa, convinti di poterli così controllare. Ma se non ci sono limiti chiari, si rischiano abitudini relazionali poco equilibrate e ruoli genitoriali confusi”, avverte Manca. A volte, la famiglia si trasforma in un ostello affettivo dove il partner dei figli diventa quasi un coinquilino. “Si arriva persino a portarli in vacanza, a condividere tutto, senza più intimità né regole”.

Il valore della distanza

E poi queste convivenze rischiano anche di togliere qualche tappa utile al fidanzamento.“In passato per vedersi bisognava chiedere, attendere, organizzarsi. Nulla era scontato”, ricorda Manca. Oggi, invece, si vive nella disponibilità continua dell’altro. “Questo riduce la tolleranza alla distanza e la capacità di stare soli”. Eppure, è proprio lì che si gioca la crescita emotiva. “L’adulto ha la responsabilità di insegnare che è sano avere spazi propri, tempi distinti, momenti di solitudine. Solo così si evita di trasformare l’altro in una presenza costante e necessaria, e si sviluppa una vera autonomia”.

Crescere è anche separarsi

Per entrambi gli esperti, la parola chiave è confine. “I genitori non dovrebbero accogliere a tempo indeterminato”, dice Pellai. “Meglio offrire un aiuto pratico, ma a termine. Accompagnarli verso l’autonomia, non diventare parte della loro convivenza”. E Manca conclude: “Quando tutto è troppo facile, si perde il valore della conquista. L’amore, come la crescita, ha bisogno anche di assenza, attesa e distanza. Solo così si costruisce davvero un legame che arricchisce, invece di imprigionare”.

Salute Amore – l’archivio

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