In Italia aumentano i casi di scabbia, la malattia della pelle che sembrava dimenticata

Aumentano in Italia i casi di scabbia, anche se non ci sono dati ma solo stime. In alcune aree del paese i casi salgono del 750%. A lanciare l’allarme sul ritorno di questa malattia della pelle gli esperti della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST) che, in vista del Congresso Nazionale SIDeMaST Special Edition 2025 – organizzato nell’ambito del XIV International Congress of Dermatology (Roma 18-21 giugno) – invitano a non sottovalutare questi segnali e a intervenire tempestivamente per contrastare la patoogia che, nella quasi totalità dei casi, ha una trasmissione da uomo a uomo.

La scabbia, infestazione della pelle causata da un piccolo parassita, l’acaro Sarcoptes scabiei, è storicamente considerata una malattia legata a condizioni di povertà e scarsa igiene. Oggi torna a far parlare di sé: RSA, scuole, ospedali e famiglie numerose sono sempre più colpiti, anche in Paesi sviluppati come l’Italia.

Nel nostro Paese, in numerose regioni, si sta registrando un aumento di casi di scabbia, anche se ancora non ci sono dati precisi su larga scala e il fenomeno rimane quindi sottostimato. Paradigmatici in particolare due studi italiani, relativi alle regioni Emilia-Romagna e Lazio, che forniscono numeri critici sull’espansione del fenomeno.

Una recente analisi pubblicata su Sexually Transmitted Infections (Zengarini et al., 2025), evidenzia infatti come tra il 2020 e il 2023 i casi di scabbia siano aumentati vertiginosamente nella città di Bologna; mentre un altro studio apparso su Infectious Diseases of Poverty (Spaziante et al., 2025) ha lanciato l’allarme per una nuova ondata di casi post-Covid nella regione Lazio, definendola una “emergente minaccia di salute pubblica”. L’incremento è stato particolarmente marcato nelle strutture di lungodegenza, con un aumento del 750% dei focolai tra il 2020 e il 2023.

Il post Covid e il turismo di massa

Perché sta succedendo? Le cause dell’esplosione di casi Lockdown e isolamento, spesso in condizioni igienico-sanitarie precarie, turismo di massa con l’aumento dei viaggi dopo la pandemia da COVID, che hanno facilitato la diffusione in ambienti condivisi come hotel, campeggi e ostelli, hanno favorito l’impennata di casi di scabbia. Ma anche il turnover negli ospedali e la resistenza ai farmaci hanno contribuito alla diffusione di questa parassitosi: “Durante la pandemia, molte persone hanno vissuto a lungo in ambienti chiusi e sovraffollati, condizioni ideali per la trasmissione del parassita e anche il frequente ricambio di pazienti nelle strutture sanitarie ha favorito il contagio. Ma pare avere giocato un ruolo importante anche una ‘possibile’ resistenza ai farmaci: in particolare alla permetrina, il trattamento topico fino a poco tempo fa più utilizzato nel nostro Paese”, spiega la dottoressa Michela Magnano, membro SIDeMaST e Dirigente Medico presso UOC di Dermatologia, Ospedale Versilia, Lido di Camaiore (LU).

La resistenza alla terapia

Diversi studi scientifici, tra cui quelli pubblicati su Journal of the European Academy of Dermatology and Venereology, segnalano un fenomeno crescente di mancata risposta dell’acaro della scabbia al trattamento con permetrina, la molecola più comunemente utilizzata. I primi segnali sono arrivati dalla Germania nel 2017-2018, ma oggi i casi sono documentati anche in Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito. Secondo gli autori, si tratterebbe di una resistenza vera e propria dovuta a mutazioni dell’acaro, che riesce a neutralizzare il principio attivo del farmaco.

La pelle sotto attacco per il cambiamento climatico e lo smog

“I fallimenti alla permetrina – spiega Magnano – sembrerebbero poter essere attribuiti a un’effettiva resistenza alla terapia, dato che i trattamenti topici utilizzati in seconda linea (come il benzoato di benzile) sono stati efficaci, escludendo pertanto fattori legati alla non corretta applicazione della crema. Tuttavia, se si stia effettivamente assistendo a una vera e propria resistenza a tale principio attivo, o quantomeno a una ‘tolleranza’ al trattamento, è ancora dibattuto. Esistono lavori che dimostrerebbero come alterazioni enzimatiche e proteiche dell’acaro possano mediare tali meccanismi di resistenza”.

All’origine del fenomeno del fallimento delle terapie potrebbero concorrere anche altre cause, prosegue l’esperta, “come l’uso non corretto della terapia topica od orale in termini di quantità di principio attivo e/o modalità e/o tempi di somministrazioni, la mancata o errata messa in atto di misure igienico-ambientali e le reinfestazioni dovute al mancato trattamento dei contatti stretti. Di certo, allo stato attuale, è indispensabile in caso di prurito persistente soprattutto notturno, escludere la diagnosi di scabbia. Se invece la diagnosi fosse confermata, è opportuno iniziare tempestivamente una terapia adeguata, tenendo conto dell’attuale ed evidente scarsa risposta alla permetrina, ma anche trattare tutti i possibili contatti stretti”.

Chi è più a rischio e i segnali da non ignorare

Ma chi è più a rischio di ammalarsi? E quali sono i primi segnali da osservare per capire se ci troviamo davanti a un caso di scabbia o meno? “Le categorie più vulnerabili – spiega il professor Giuseppe Argenziano, Presidente SIDeMaST – sono sicuramente bambini e adolescenti tra i 5 e i 18 anni, anche a causa della frequentazione di ambienti comunitari come scuole e palestre. A questi si aggiungono gli anziani, in particolar modo quelli ricoverati nelle RSA e persone con fragilità sociali o sanitarie. Tra questi i senzatetto, i migranti e chi vive in condizioni di sovraffollamento o precarie condizioni igieniche”.

Le indicazioni da seguire

Il sintomo principale è un prurito intenso e persistente, spesso più accentuato durante la notte: “Se associato a piccole papule o a lesioni cutanee tra le dita, ai polsi, all’ombelico o ai genitali, può trattarsi di scabbia” prosegue l’esperto. Cosa fare.

1. Consultare tempestivamente il medico o un dermatologo in caso di prurito persistente in più membri dello stesso nucleo familiare e/o prurito non responsivo alle terapie.

2. Evitare il “fai da te”: una diagnosi errata può prolungare l’infestazione e facilitare il contagio;

3. In caso di diagnosi accertata di scabbia, trattare tutti i contatti stretti, anche se asintomatici;

4. Lavare ad alta temperatura gli indumenti e le lenzuola.

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