Infarto e placche delle coronarie, l’Intelligenza Artificiale dirà chi rischia di più
Ipertensione, colesterolo LDL elevato, sovrappeso, fumo, diabete, sedentarietà. Il tutto condito da una spruzzata da predisposizione genetica, stress e stili di vita. Oltre ovviamente all’età. Quando occorre definire il reale rischio di andare incontro ad una patologia delle arterie coronariche e conseguente ischemia del miocardio, bisogna combinare tutte queste informazioni per porre gli obiettivi specifici di prevenzione per quella determinata persona. E non bisogna sbagliare di tanto nella definizione dei pericoli, visto che anche le cure eventuali vanno definite con appropriatezza. Caso per caso.
Per essere ancor più aderente alla realtà ed ai bisogni terapeutici del singolo, considerando tutte le variabili, in futuro il medico potrebbe puntare su uno strumento di apprendimento automatico appositamente studiato per valutare il rischio di sindrome coronarica e di di infarto negli anni a venire. A proporre questa soluzione basata sull’Intelligenza Artificiale è una ricerca condotta dagli esperti dello Scripps Research Translational Institute apparsa su Nature Medicine e coordinata da Ali Torkamani (primo autore Shang-Fu “Shaun” Chen).
Arrivare prima, in chiave preventiva, è fondamentale. La coronaropatia è causata dalla formazione e dal conseguente sviluppo della placca aterosclerotica nei casi che irrorano il cuore: questa nel tempo può bloccare l’afflusso di sangue. Molte persone non si rendono conto del quadro fino a quando non hanno un infarto. Sarebbe invece importante sapere di essere a rischio già prima, per influire sull’evoluzione di una condizione che si sviluppa nel tempo con interventi su misura. Caso per caso.
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Oltre 50 parametri chiave
Attualmente, il profilo del soggetto integra i dati relativi ai fattori di rischio con l’età. Il nuovo modello di AI va oltre nella personalizzazione, integrando nel calcolo anche fattori come la genetica, lo stile di vita e l’anamnesi, consentendo ai medici di fornire ai pazienti consigli e trattamenti preventivi personalizzati in base alle loro esigenze individuali.
Nella ricerca sono stati impiegati i dati della UK Biobank, che hanno addestrato un modello di apprendimento automatico nell’ottica del riconoscimento dei fattori associati alla coronaropatia. Poi questo sistema è stato testato su dati da altre popolazioni di individui presenti nella banca dati in questione, per valutare se fosse in grado di predire il loro rischio di sviluppare malattia coronarica nei dieci anni successivi. Inizialmente sono state prese in esame quasi 2.000 potenziali variabili predittive che potevano influenzare il rischio di patologie, ma poi si è arrivati a “scremare” 53 fattori di rischio come misurazioni fisiche, biomarcatori del sangue, anamnesi familiare, malattie mentali, durata del sonno e presenza di specifiche varianti genetiche.
Risultato: rispetto al modello clinico standard il sistema di AI ha permesso di prevedere un numero doppio di eventi coronarici. Dopo 10 anni di monitoraggio, si sono osservate condizioni di patologie delle coronarie (quindi potenzialmente quadri come angina o infarto) nel 62,9% dei soggetti identificati dal sistema come ad alto rischio, rispetto allo 0,3% degli individui nel gruppo classificato dal modello a più basso rischio.
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Prevenzione su misura anche per i giovani
In una nota del centro, Chen ricorda come rispetto agli strumenti clinici tradizionali, il nuovo modello abbia migliorato la classificazione del rischio per circa un individuo su quattro, “contribuendo a identificare meglio coloro che sono realmente a rischio ed evitando inutili preoccupazioni per coloro che non lo sono”. Insomma, grazie all’AI si va verso la prevenzione su misura, con sempre miglior appropriatezza. Anche e soprattutto nei soggetti che per età o genere tendono ad essere sottovalutati nell’ambito del rischio di infarto ed ictus, come accade per i giovani e le donne.
“Il nostro modello è in grado di individuare individui che sarebbero considerati a basso rischio di patologie coronariche considerando l’età, ma che in realtà sono ad alto rischio a causa della loro predisposizione genetica – è il commento di Torkamani”. Proprio quanto è scritto nel patrimonio genetico di ognuno, stando all’indagine, farebbe poi da variabile fondamentale nella definizione del rischio soggettivo.
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Il peso della predisposizione
Pur considerando molti fattori diversi, infatti, lo studio ha rilevato come il peso del DNA rappresenti il più forte predittore del rischio di malattia coronarica e quindi di eventi cardiaci su base vascolare, considerando non solo la predisposizione alla patologia stessa ma anche allo sviluppo dei fattori di rischio come ipertensione, colesterolo alto e diabete. Il che significa che anche gli obiettivi da raggiungere in termini di valori dei lipidi, pressione ed emoglobina glicata vanno studiati caso per caso.
“Maggiore è il rischio genetico per una di queste caratteristiche – livelli elevati di colesterolo, pressione alta o elevato rischio di diabete – maggiore è il beneficio che si ottiene intervenendo su quel particolare aspetto attraverso farmaci o cambiamenti nello stile di vita – ha fatto sapere Torkamani”. L’ipotesi di lavoro prevede ora di valutare se e come informare i pazienti sul loro rischio cardiovascolare possa modificare la traiettoria del profilo di rischio. In sintesi, si punta a misurare il peso della consapevolezza per il singolo delle probabilità di malattie cardiovascolari. Il tutto, partendo dalla previsione del rischio che una persona sviluppi una coronaropatia.
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