Infarto, ictus e aritmie: organoidi, terapia genica e AI. Come la ricerca salverà il cuore
Avanza la terapia genica, almeno per le malattie rare del cuore. Crescono le opportunità offerte dalle terapie cellulari per “rimpiazzare” le cellule del miocardio uccise dall’ischemia. Si punta a pacemaker sempre più miniaturizzati, per esempio costruiti con cellule dello stesso organismo e pronti a “sciogliersi”. E a valvole cardiache che durino sempre di più nel tempo. Il tutto, con una sorta di ombrello pervasivo, legato all’impiego della bioingegneria e dell’Intelligenza Artificiale, oltre che allo sviluppo di organoidi. Grazie agli avatar, infatti, si potranno sviluppare nuove strategie terapeutiche, in attesa di creare il classico “cuore di riserva”.
La sfida futura alle malattie cardiovascolari, prima causa di morte in Italia e in Europa, parte dalla prevenzione. E mira ad arrivare a quella che può sembrare fantascienza. Ma non lo è. Basta pensare alle terapie biologiche con effetti diretti sul cuore. «La terapia genica e quella cellulare stanno conoscendo un periodo di gestazione più lungo, in parte dovuto alle barriere biologiche e meccaniche intrinseche a questo organo meraviglioso e così resistente.
Tra staminali e terapia genica, le vie del futuro per curare il cuore malato
Le strade della genetica
“Ma – spiega Giulio Pompilio, direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino Irccs e ordinario di Cardiochirurgia all’Università di Milano – grazie ai progressi tecnologici ci sono segnali che finalmente stiamo imboccando la strada giusta, soprattutto per quanto riguarda la terapia genica di malattie cardiache ereditarie, di cui conosciamo sempre meglio i geni mutati che ne sono responsabili”. Non solo. Le armi per veicolare i geni corretti sono sempre più sofisticate: si va dai vettori virali capaci di trasportare il gene curativo nelle cellule a nanoparticelle specializzate, fino ai progressi dell’ingegneria genetica, tra i quali il “bisturi genetico” Crispr/Cas è il più noto. “Sono in atto sperimentazioni cliniche per alcune di queste cardiopatie genetiche, tra cui le cardiomiopatie aritmogena e ipertrofica, oppure l’amiloidosi cardiaca e la cardiomiopatia distrofica – fa sapere Pompilio. Ritengo che entro il prossimo decennio alcune di queste terapie saranno parte della pratica clinica. Inoltre, seppure in fase clinica più precoce, si sono affacciate terapie geniche per il trattamento dello scompenso cardiaco, sia dovuto a cause genetiche sia nelle forme ad ampio spettro. Qui l’asticella è ancora più alta, ma l’interesse della comunità scientifica, e dell’industria, è forte. Ultimo aspetto: penso che il “de profundis” decretato da molti addetti ai lavori per la terapia cellulare cardiaca, che non ha raggiunto i risultati sperati nella cura dell’infarto del miocardio, sia forse prematuro: ci sono sperimentazioni che sembrano offrire una nuova possibilità terapeutica per sottogruppi di pazienti con cardiopatia ischemica avanzata e scompenso cardiaco con forte componente infiammatoria”.
Infarto, ictus e aritmie, con il gemello digitale del cuore umano prevenzione e cure su misura
Ingegneria per le 5 P
La chiave del successo, insomma, si chiama ricerca. Ma, se gli specialisti saranno alla base dell’appropriatezza dei trattamenti, sempre più a misura di persona, l’ingegneria guida e guiderà la rivoluzione in atto. Perché grazie a tecniche mutuate dall’elettronica e dall’ottica si andrà incontro ad approcci mirati. “L’elettroceutica e la biofotonica stanno dando vita, rispettivamente, a nuovi paradigmi di stimolazione elettrica (pensate a Neuralink) con la miniaturizzazione di stimolatori senza cavi (per esempio, per stimolare il nervo vago in caso di scompenso cardiaco) e ad analisi per monitorare ossigenazione, glucosio e colesterolo in tempo reale – ha spiegato Filippo Molinari, ordinario di Bioingegneria al Politecnico di Torino, in occasione del convegno “Change in Cardiology 2025”. Ma non basta.
La rivoluzione sarà nella possibilità di duplicare organi o creare gemelli digitali per mettere a punto trattamenti personalizzati. “Per ora la biostampa si limita a creare tessuti e mini-organi (organ-on-a-chip) per facilitare la ricerca farmacologica, ma si lavora per stampare organi interi, cuore compreso. Il tutto – sottolinea l’esperto – in un panorama che vede gli studi puntare verso la creazione di gemelli digitali o biologici per la personalizzazione delle cure e la medicina di precisione: saranno impiegati per la generazione e la rigenerazione a partire da cellule del singolo paziente, oltre che per simulare il cuore di un soggetto e prevedere il rischio di aritmie, infarti o altro. A fare da cornice a questi sforzi ci sarà l’Intelligenza Artificiale, che ci porterà a una medicina 5P: Predittiva, Preventiva, Personalizzata, Partecipativa, Psicosociale. Il tutto con l’integrazione dei dati clinici e genetici e delle informazioni derivanti da sensori indossabili”.
Un Avatar ci rivelerà che cosa succede al nostro cuore se ha un infarto
Pacemaker sempre più piccoli
Tra presente e futuro, in ogni caso, la tecnologia è destinata a spalancare nuovi approcci, anche nelle patologie più comuni. Per esempio, sotto forma di pacemaker sempre più intelligenti e miniaturizzati. “La rivoluzione potrebbe essere l’utilizzo di cellule del cuore trasformate in cellule pacemaker, come fa sperare una sperimentazione presentata su Science Translational Medicine – ipotizza Giulio Molon, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia Irccs Sacro Cuore di Negrar (Verona). Il risultato è stato ottenuto iniettando un gene trasportato da virus modificati: ha riprogrammato alcune cellule cardiache e queste sono riuscite a generare e condurre stimoli elettrici. Se si realizzasse questa prospettiva, si potrebbe arrivare ai pacemaker di nuova generazione”. Ma attenzione: questo non significa che nel frattempo non si stia provvedendo a rendere sempre più efficienti i “segnapassi” oggi in uso. Per esempio, agendo sulla batteria, che con il tempo ha bisogno di essere sostituita, o sui fili che collegano il pacemaker al cuore. Questi, talora, vanno incontro a vere e proprie rotture e si possono anche infettare.
“Si lavora per disporre di pacemaker senza rischio di infezioni, sempre più piccoli, senza fili, con batteria possibilmente inesauribile. In questo senso, su Nature – commenta Molon – è stato presentato un pacemaker con spessore di un millimetro e lunghezza di 3,5 che si applica direttamente sul cuore e si alimenta attraverso un meccanismo che sfrutta una cella galvanica per convertire l’energia dei fluidi corporei. Il dispositivo, inoltre, potrebbe essere in grado di autodissolversi e scomparire, quando non è più necessario”.
Il pacemaker “inesauribile”: si ricarica con l’ossigeno del corpo
Valvole su misura
Diminuire le dimensioni e aumentare la biocompatibilità da parte dell’organismo del ricevente è anche l’imperativo per la ricerca sulle valvole cardiache. “Le valvole aortiche e i dispositivi utilizzati per il loro impianto, come i cateteri (attualmente di dimensioni paragonabili a un dito), saranno progressivamente miniaturizzati, con un conseguente aumento della tollerabilità – indica Giuseppe Musumeci, direttore della Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano di Torino. L’impianto avverrà sempre più frequentemente attraverso l’arteria radiale del braccio per minimizzare l’impatto dell’intervento e appare destinato ad aumentare la tollerabilità biologica da parte dell’organismo. In futuro, poi, i materiali saranno progettati per una maggiore longevità della protesi. In particolare, per quanto riguarda le valvole atrioventricolari, differenti da quelle aortiche per posizione anatomica, struttura e funzione, si punta a ridurre, o potenzialmente a eliminare, la necessità di interventi correttivi: sono quelli attualmente impiegati per contrastare il deterioramento funzionale legato all’invecchiamento”.
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