Infezioni da Hpv e tumori testa-collo: verso un test per la diagnosi precoce
Rilevare in modo efficace e affidabile i livelli del papillomavirus umano (Hpv) nella saliva e nel sangue, per anticipare le diagnosi dei tumori del distretto testa-collo. Vanno in questa direzione due nuovi studi italiani, pubblicati su Journal of Medical Virology e su European Archives of Oto-Rhino-Laryngology, in cui sono stati messi alla prova test per identificare il Dna virale. L’infezione da Hpv è infatti uno dei fattori di rischio principali per i tumori della testa e del collo, insieme al fumo e al consumo di alcolici. Da quanto emerge, inoltre, la persistenza del virus dopo la rimozione del tumore può costituire un campanello d’allarme per l’eventuale comparsa di recidive.
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Tumori testa-collo in calo, eccetto quelli correlati all’Hpv
Nel 2024, in Italia, sono state stimate poco meno di 6mila nuove diagnosi di tumori della testa e del collo (faringe, laringe e cavo orale), un’incidenza che per la prima volta risulta più bassa rispetto a quella degli anni precedenti (nel 2022 erano circa 9.750). Tuttavia, questo calo non riguarda i tumori Hpv-correlati. “Da anni ormai sappiamo che c’è un aumento dei casi di tumore della testa e del collo correlati all’infezione da papilloma virus, quindi è molto importante riuscire a identificare questo tipo di infezione virale”, dice a Oncoline Laura Deborah Locati, professoressa associata di oncologia medica presso l’Università di Pavia. Inoltre, molto spesso la diagnosi di questi tumori avviene quando la malattia è già a uno stadio avanzato, fatto che incide negativamente sull’efficacia delle cure. Ecco perché si sta facendo un grande sforzo per ottenere dei test che facilitino la diagnosi precoce e che possano essere utilizzati anche per monitorare l’andamento della malattia dopo la chirurgia e le terapie.
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Il test di biopsia liquida sul sangue
Uno dei due studi è stato coordinato da un gruppo di medici-ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (Ire) di Roma. Gli autori e le autrici della ricerca hanno ipotizzato che potesse esistere un’associazione fra i livelli di Dna virale presenti nel sangue di pazienti a cui è stato asportato un tumore della testa o del collo correlato a questa infezione e il rischio che la malattia si ripresenti. Per testare questa ipotesi, 44 pazienti sono stati sottoposti a un prelievo di sangue dopo 1 giorno e dopo 15 giorni dall’intervento chirurgico. Sui campioni è stata poi effettuata una biopsia liquida, cioè un’analisi molecolare che consente di rilevare la presenza di Dna virale. Quest’ultima ha confermato l’ipotesi di partenza, ossia è emerso che la quantità di Hpv-Dna nei giorni immediatamente successivi all’intervento è un indicatore chiave per determinare il rischio di recidiva e quindi l’eventuale necessità di proseguire con le terapie dopo la chirurgia. “Un risultato molto interessante – commenta Locati – che in futuro potrebbe permettere di concepire interventi terapeutici sempre più specifici e personalizzati”.
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Il test sul campione di saliva
Lo studio uscito su Journal of Medical Virology è stato invece condotto da un gruppo di medici-ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, della International Agency for Research on Cancer (Iarc) di Lione, in Francia, e di altri istituti e università. In questo caso è stato messo a punto un test salivare, sempre mirato a rilevare il Dna del papillomavirus umano, la cui efficacia è stata messa a confronto con quella di un esame basato invece sulla ricerca del Dna virale nel sangue. Il test è stato effettuato su campioni di saliva raccolti in due modi diversi: tramite tampone orale e tramite gargarismo (o sciacquo). Allo studio hanno partecipato 132 pazienti con tumore dell’orofaringe.
“I ricercatori – prosegue Locati – hanno osservato che se si combinano la ricerca dell’Hpv nella saliva prelevata tramite sciacquo e nel plasma la sensibilità aumenta notevolmente. Significa che questi due test, insieme, sono in grado di offrire una possibilità di conferma diagnostica molto elevata”. Inoltre, come spiegano gli autori stessi della ricerca, i campioni salivari ottenuti con gargarismo da pazienti con tumori orofaringei permettono un tasso di rilevamento altissimo per l’Hpv 16, uno dei ceppi più diffusi e pericolosi. E l’efficacia del test sarebbe indipendente dallo stadio del tumore, fatto che potrebbe permettere di utilizzarlo anche negli stadi precoci a scopo diagnostico.
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I prossimi passi
Il risultato andrà comunque validato su un numero più ampio di pazienti e, sottolinea Locati, non siamo ancora nelle condizioni per poterlo eventualmente utilizzare come test di screening: “Lo spettro di incidenza di questo tipo di tumori è troppo ampio per poter parlare di un vero e proprio screening – conclude l’esperta – Si tratta tuttavia di uno strumento che potenzialmente si apre a sviluppi futuri”.
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