Ipertensione fuori controllo, ci aiuterà (anche) un farmaco attivo sull’aldosterone
Per molti pazienti è una delle sfide più difficili. Si scopre la pressione alta, si iniziano le terapie. E ci si accorge che, anche associando diversi farmaci, l’ipertensione non riesce ad essere controllata come si vorrebbe. Oppure la pressione alta resiste alle cure. In entrambi i casi, purtroppo, diventa difficile portare i valori pressori agli obiettivi desiderati. Così, nonostante l’uso di più farmaci, molte persone con ipertensione non raggiungono i livelli di pressione arteriosa associati alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari come infarto e ictus.
In particolare, nell’ipertensione non controllata, la pressione elevata persiste nonostante il trattamento con due o più farmaci, mentre nell’ipertensione resistente rimane alta nonostante l’associazione tra tre o più farmaci. Dal congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC) di Madrid arriva però un’importante novità su questo fronte. Un farmaco che agisce sull’aldosterone, Baxdrostat, al dosaggio di 1 o 2 milligrammi, una volta al giorno, ha portato a riduzioni statisticamente significative della pressione arteriosa rispetto al placebo a 12 settimane in pazienti con ipertensione non controllata o resistente al trattamento.
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Obiettivo aldosterone
L’aldosterone è considerato uno dei principali fattori che contribuisce all’ipertensione difficile da controllare. Si tratta di un ormone che spinge l’innalzamento dei valori pressori favorendo la ritenzione di sodio e acqua. Livelli elevati di aldosterone, specie se insieme a obesità, eccessivo consumo di sale e condizioni genetiche o secondarie ad altre patologie, sono quindi fortemente associati a un più difficile controllo della pressione. Questa condizione, visto che l’ipertensione è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolari, se non affrontata adeguatamente, può aumentare il rischio di infarto, ictus e deterioramento della funzione renale.
Lo studio BaxHTN ha coinvolto 214 centri clinici, anche in Italia, per valutare l’effetto di questa terapia sui valori pressori. Sono stati considerati soggetti con pressione sistolica da seduti tra 140 e 170 millimetri di mercurio, nonostante il trattamento con dosi massime tollerate di due antipertensivi (ipertensione incontrollata) o almeno tre antipertensivi (ipertensione resistente), incluso un diuretico, per almeno settimane prima dello screening. Il ricercatore principale, Bryan Williams dell’University College di Londra, spiega perché si punta l’attenzione sull’aldosterone come possibile target per aiutare i pazienti in caso d’ipertensione particolarmente complessa: “L’aldosterone è un noto fattore scatenante dell’ipertensione, ma per decenni gli scienziati hanno faticato a bloccarne la produzione in modo preciso. Baxdrostat è una delle prime terapie a farlo in modo selettivo, dimostrando riduzioni significative della PA nell’ipertensione incontrollata o resistente. Con lo studio di fase III BaxHTN ci siamo prefissati di confermare l’impatto e la sicurezza di baxdrostat in un gruppo più ampio di pazienti, la cui pressione rimane incontrollata nonostante siano sottoposti a molteplici trattamenti”.
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Che cosa emerge
In totale, 794 pazienti hanno ricevuto almeno una dose di baxdrostat e sono stati analizzati a tre mesi di trattamento. Queste persone avevano un’età media di 62 anni (39% donne). In totale, il 27% soffriva di ipertensione non controllata e il 73% di ipertensione resistente. Alla settimana 12 le riduzioni della pressione massima da seduti rispetto al basale, aggiustate per placebo, sono state di -8,7 millimetri di mercurio per la dose da 1 milligrammi e di -9,8 per la quella da 2 milligrammi. Non solo: la percentuale di pazienti con pressione sistolica controllata (ovvero inferiore a 130 millimetri di mercurio) dopo 12 settimane è stata del 39,4% con baxdrostat al dosaggio inferiore del 40% con il farmaco a 2 milligrammi del 18,7% con placebo.
“Nei pazienti con ipertensione non controllata o resistente l’aggiunta di baxdrostat 1 mg o 2 mg una volta al giorno alla terapia antipertensiva di base ha portato a riduzioni clinicamente significative della pressione sistolica, senza evidenze di sicurezza impreviste – è il commento di Williams -. Ciò suggerisce che l’aldosterone svolge un ruolo importante nel determinare una pressione difficile da controllare, ed offre la speranza di un trattamento più efficace in futuro”.
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Speranza per i pazienti
“In Italia ci sono circa 18 milioni di pazienti ipertesi e molti di questi sono resistenti ovvero con pressione dí difficile controllo – segnala Stefano Carugo, Direttore del Dipartimento Cardio-toraco-vascolare presso l’IRCCS Policlinico di Milano, Università di Milano -. Questo nuovo farmaco ha le caratteristiche per dare un contributo significativo a migliorare la percentuale di pazienti che possono avere un migliore controllo e quindi meno infarti ictus e dialisi. Era da 20 anni che non si scopriva un nuovo trattamento nella cura dell’ipertensione. L’istituto che dirigo, il Centro ipertensione del Policlinico di Milano, è stato in questo senso tra i protagonisti a livello internazionale”.
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