Le bambine sono brave anche in matematica, superiamo i pregiudizi

Ma è vero che le bambine italiane sono meno brave in matematica? O forse non si sentono semplicemente all’altezza di equazioni e teoremi? Il fatto è che quando diventano grandi, la maggior parte di loro preferisce scegliere di studiare materie letterarie. Molto andrebbe fatto, primo fra tutti un lavoro nelle scuole, per avvicinarle alle materie STEM, le discipline di studio scientifiche e tecniche (ndr.scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).

La ricercatrce: “Vi spiego perché le bambine si tengono lontane dalla scienza. E come spazzare via gli stereotipi di genere”

Il calo di iscrizioni femminili nelle materie STEM

Secondo un’indagine Ipsos, due giovani italiani su tre ignorano il profondo divario tra il nostro Paese e il resto d’Europa nel numero di laureati in discipline STEM: sono quasi la metà rispetto alla media europea (6,7% contro 13%).

Inoltre, più di 9 giovani su 10 sottovalutano le differenze di genere in questo ambito, ignorando il calo costante delle iscrizioni femminili negli ultimi 10 anni e credendo erroneamente che il tasso di ragazze iscritte a corsi STEM sia aumentato o rimasto invariato.

I dati dell’indagine Ipsos, presentati all’Università La Sapienza Università di Roma, mettono in luce il paradosso delle STEM: il divario scientifico è ignorato dalle nuove generazioni e ciò contribuisce ad alimentare pregiudizi di genere (29%), mancanza di modelli femminili (22%) e un orientamento scolastico poco efficace (20%).

In uno scenario scoraggiante, proprio il sodalizio tra scienza e arte può diventare la chiave per colmare questo ritardo e ispirare le nuove generazioni a seguire le proprie passioni, superando barriere culturali e sociali. Nasce così il progetto “Investing for future. Donne e STEM: da gap a plus”, promosso da MSD Italia – leader nel mondo delle Life Science, e patrocinato da Sapienza. Il simbolo dell’iniziativa è l’opera “Urania’s passion” dell’artista Lorenzo Quinn, che si può ammirare da oggi nella Città Universitaria. Due mani femminili sorreggono una rappresentazione dell’atomo per esaltare il contributo fondamentale delle donne alla scienza e invitare a superare i pregiudizi di genere.

L’indagine

Ma guardiamo ancora i numeri, per capire quanto andrebbe fatto ancora per dare spazio alle donne nella scienza: solo il 3% delle posizioni di Ceo è ricoperto da donne. “In un Paese dove tra occupazione maschile e femminile persiste un gap del 18% a sfavore delle donne resta molto da fare per rimettere in equilibrio il mondo del lavoro”, spiega Nando Pagnoncelli, presidente Ipsos.

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I pregiudizi di genere

Questa situazione alimenta un circolo vizioso: la scarsa consapevolezza del divario scientifico perpetua il gap. Questo, secondo le nuove generazioni, a sua volta viene supportato dalla presenza di pregiudizi di genere (29%), dalla carenza di modelli femminili (22%) e da un orientamento scolastico poco efficace (20%). Così, i corsi di laurea STEM ancora oggi risultano molti più ragazzi (differenza di 17 punti percentuali rispetto alle donne).

“Nei settori STEM, pregiudizi e stereotipi influiscono sulla carriera accademica delle ragazze sino dai gradi inferiori della scuola. Scuola e università, famiglia, istituzioni e impresa devono trovare un’alleanza e introdurre iniziative integrate che accendano l’interesse delle ragazze per i percorsi scientifici”, aggiunge Pagnoncelli.

La scuola

La scuola dovrebbe essere uno dei primi posti per avvicinare le bambine alle materie scientifiche. Una delle rare ricerche sull’argomento, realizzata dall’Università di Torino in 25 scuole primarie della città, ha messo in luce che anche le ragazzine possono lavorare bene nei laboratori, soprattutto se c’è spazio per condividere idee e per collaborare. Nelle classi che hanno partecipato al progetto: ‘Affrontare il divario di genere in matematica in Piemonte’, le bambine sono migliorate fino a ridurre il divario di genere del 40 per cento rispetto alle classi di controllo che avevano seguito i metodi tradizionali.

L’università

Molto può essere fatto anche nelle università. E anche La Sapienza si muove in questa direzione. “Come Ateneo abbiamo posto in essere azioni e strumenti per incentivare la componente femminile dei corsi STEM, intervenendo in primo luogo sull’offerta formativa, istituendo corsi trasversali e transdisciplinari che siano centrati su temi di interesse strategico come quelli dell’innovazione e dell’alta tecnologia e attraverso iniziative mirate, come #100ragazzeSTEM che ha previsto l’assegnazione di 100 borse di studio triennali alle studentesse meritevoli fuori sede che si iscrivano a un corso di laurea STEM. Il bilancio – spiega la rettrice Antonella Polimeni – a oggi è positivo e in crescita: i nostri dati evidenziano il primato delle ragazze STEM tra le laureate in corso, sia a livello di lauree triennali che in quello delle specialistiche rispetto ai loro colleghi maschi, confermando un ottimo andamento per i tempi in cui raggiungono il diploma, ma anche per i voti finali di laurea che ottengono. Nonostante ciò, la presenza femminile è ancora troppo bassa rispetto a quella maschile e indubbiamente siamo ancora lontani da una completa parità di genere”.

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L’intelligenza delle donne

Quindi le donne si avvicinano co risultati molto positivi alle discipline STEM. Ma c’è ancora molto da fare. “Non possiamo fare a meno dell’intelligenza delle donne. Ma si dovrebbe arrivare a un 50% di presenza femminile anche nelle posizioni apicali”, commenta Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratrice Delegata di MSD Italia.

L’arte per parlare di scienza

In questo contesto l’arte può essere un mezzo per parlare di scienza. Perché il pensiero creativo spesso si sposa con l’innovazione scientifica. “Il progetto – spiega Luppi – vuole promuovere la partecipazione femminile nelle STEAM e ispirare un cambiamento culturale e sociale necessario, utilizzando l’arte e la scienza come linguaggio universale. L’opera di Quinn rappresenta il nostro sguardo verso il futuro, un atto di responsabilità nel continuare a costruire, dentro e fuori la nostra realtà, un mondo dove le competenze non abbiano genere e le opportunità siano davvero per tutte e per tutti”.

Circa 3 giovani su 4 credono nel potere dell’arte per integrare quello della scienza: il cosiddetto approccio STEAM (Science, Technology, Engineering, Art, Mathematics) che, facendo leva sul pensiero critico e creativo, può incoraggiare la sperimentazione e la ricerca, favorire la collaborazione e rendere più accessibili anche i temi più complessi. Così l’unione tra arte e scienza – celebrata nella scultura “Urania’s passion”, opera di 4 metri di altezza, da oggi nella Città Universitaria – può contribuire a trasformare il gap scientifico del Paese in una risorsa: quel plus capace di motivare i giovani e in particolare le donne.

“Mi sono ispirato – aggiunge Quinn – alla musa greca dell’astronomia e della matematica, Urania, per creare un simbolo del potere della scienza, capace di prosperare grazie alla diversità di genere. Sono da sempre convinto che l’arte possa abbattere i muri e aprire le menti”.

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