Long Covid, i sintomi non passano per due contagiati su tre. Tracce del virus ancora dopo due anni

Ancora oggi riesce a contagiare e ad uccidere. Anche se diventato endemico e passato sotto traccia, il virus SARS-CoV2 si fa sentire, con un impatto da non sottovalutare. Ma quello che più preoccupa è che chi è stato contagiato può conservarne traccia per mesi e più. E anche a distanza di due anni può accusare sintomi, lo stesso malessere che si perpetua e non passa. Lo dimostra una ricerca internazionale guidata da Winfried Kern dell’Università di Friburgo, in Germania, condotta insieme ai colleghi. È l’ultimo lavoro in ordine di tempo ad affermare che “due terzi delle persone che sviluppano Long Covid (PCS – Sindrome post Covid) da sei a 12 mesi dopo essere state colpite dal virus, hanno probabilità di avere ancora sintomi anche nel secondo anno dopo l’infezione”. Dalla ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Plos One, emerge anche altro. Quasi un grido di aiuto degli scienziati perché “si proceda con studi osservazionali su periodi più lunghi proprio su pazienti sospetti, che spesso mostrano gravi sintomi con disfunzione fisica e mentale”.

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I contagi Covid oggi

Che ancora oggi il virus che dal 2020 ha fatto tremare il pianeta stia colpendo sotto traccia, lo testimoniano gli ultimi dati. Certamente non è scomparso, come alcuni invece possono pensare. Secondo l’ultimo bollettino settimanale del ministero della Salute sono 1.481 i nuovi casi di Covid registrati in Italia dal 9 al 15 gennaio, in calo rispetto ai 1.562 della settimana 2-8 gennaio. I decessi sono 44, uno in meno rispetto a prima. Va detto pure che, a fronte di un aumento dei tamponi (54.973 nell’ultima settimana contro i 42.025 di quella precedente), il tasso di positività è sceso dal 3,7% al 2,7%. La Lombardia è la regione che in numeri assoluti ha segnalato più casi. Ma sono le Marche a registrare il tasso di positività più alto (12,6%).

Ci sono poi due dati che meritano una menzione. Il primo riguarda le fasce di età che registrano il più alto tasso di incidenza settimanale, che si registra tra dagli ‘80 anni in su. Ma l’età media alla diagnosi è di 68 anni, stabile rispetto alla settimana precedente.

Il secondo dato riguarda la percentuale di reinfezioni, che si attesta sul 35% circa, anche questo stabile. Indica quelle persone che, contagiate dal virus, sono guarite, ma che in seguito sono tornate a infettarsi.

Una menzione a parte la meritano le varianti. I dati preliminari relativi al mese di dicembre 2024 (al 12 gennaio scorso) evidenziano la co-circolazione di differenti sotto-varianti di JN.1, poste sotto attenzione a livello internazionale. E tra i diversi lignaggi identificati, a prevalere sulle altre è la variante XEC.

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Come si è svolto lo studio

Quest’ultima ricerca internazionale parla chiaro: per due persone su tre i sintomi Covid non passano facilmente. Quanto effettivamente possano durare è ancora da vedere. Per studiare la situazione, i ricercatori hanno seguito quasi 1.000 persone con Long Covid riscontrando che i loro sintomi erano cambiati di poco nel secondo anno di malattia.

“Due terzi dei pazienti presentano sintomi persistenti e oggettivi – spiegano – tra cui una ridotta capacità di esercizio fisico e ridotte prestazioni nei test cognitivi, per un anno o più, senza grandi cambiamenti nei cluster di sintomi durante il secondo anno di malattia”.

Le persone esaminate sono state per la precisione 982, di età compresa tra 18 e 65 anni, precedentemente identificate come affette da PCS (Long Covid), e su queste hanno portato a termine 576 controlli. Tutti i partecipanti hanno visitato uno dei numerosi centri sanitari universitari nella Germania sud-occidentale per sottoporsi a valutazioni complete, tra cui test neurocognitivi, esercizi cardiopolmonari e di laboratorio.

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I sintomi che non passano

Concentrando l’attenzione sui sintomi che non passano, si è visto che quelli predominanti erano affaticamento, esaurimento, disturbi neurocognitivi, sintomi toracici, dispnea e ansia, depressione e problemi del sonno. Una condizione che per molti si è protratta nel temno: quasi il 68% delle persone che inizialmente avevano segnalato Long Covid ha continuato a lottare con i sintomi nel secondo anno. Mentre un’intolleranza all’esercizio fisico, accompagnata da malessere post-sforzo, è stata riscontrata nel 35,6% dei pazienti con Long Covid persistente, che sono anche quelli che hanno avuto esiti peggiori e sintomi più gravi.

Inoltre dall’indagine sono emersi alcuni fattori di rischio: “Le persone con un livello di istruzione inferiore, obesità o una malattia più grave, durante l’infezione iniziale da Covid, erano anche a più alto rischio di sintomi prolungati”, hanno spiegato i ricercatori. Nella pratica i sintomi post Covid a lungo termine, si sono tradotti anche in riduzioni significative della forza di presa della mano, del consumo massimo di ossigeno e dell’efficienza ventilatoria. Inoltre, i pazienti con PCS persistente e malessere post-sforzo hanno ottenuto punteggi inferiori nei test cognitivi che misuravano memoria, attenzione e velocità di elaborazione.

“Questi risultati richiedono che si vada oltre, procedendo con test cognitivi e di esercizio nella valutazione clinica e nel monitoraggio dei pazienti con sospetto Long Covid – proseguono gli autori -. Per questo sono necessari con urgenza studi osservazionali con follow-up più lungo per valutare i fattori di miglioramento e di mancata ripresa dalla sindrome in questione”.

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Quelli che il Long Covid non sanno di averlo

C’è poi un secondo studio che ha portato a galla un’altra rilevante scoperta: una persona su quattro non sa affatto di avere il Long Covid. La ricerca è firmata dagli scienziati del Mass General Brigham, ed è stata pubblicata sulla rivista Med . Gli autori hanno messo a punto un algoritmo di intelligenza artificiale capace di individuare nelle cartelle cliniche i casi di Long Covid sommerso. Un nuovo approccio basato sulla fenotipizzazione di precisione che ha analizzato le cartelle elettroniche di oltre 295.000 pazienti di 14 ospedali e 20 centri sanitari comunitari nel Massachusetts. Il risultato è stato questo: “Il 22,8% manifesta i sintomi del Long Covid”: quasi 1 persona su 4, appunto, contro meno di 1 su 10 come indicavano ricerche precedenti.

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Come sono cambiati gli effetti del virus

Nell’arco di quattro anni di pandemia il virus SARS-CoV-2 ha cambiato pelle più volte. Ma le conseguenze che genera sul nostro organismo sono mutate? E come? Premesso che il periodo d’incubazione del Covid, ossia il tempo che trascorre tra il contagio e la comparsa dei sintomi, è andato via via riducendosi nel tempo, oggi si stima essere attorno ai 3-4 giorni. Quanto ai sintomi innescati dall’infezione delle ultime varianti, sono molto simili a quelle delle precedenti derivanti da Omicron. In elenco figurano: febbre e brividi, tosse, fiato corto, stanchezza, dolori muscolari e articolari, mal di testa, mal di gola, naso chiuso o che cola, perdita di appetito e diarrea.

Febbre, raffreddore e mal di testa sembrano comunque i più comuni; rara, ma ancora possibile, è l’alterazione di olfatto e gusto, mentre alcuni autori suggeriscono che JN.1 potrebbe causare più frequentemente diarrea rispetto alle varianti precedenti.

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Quanto durano mediamente i sintomi

La maggior parte dei pazienti sviluppa un decorso relativamente lieve, soprattutto chi è vaccinato. “Ma va detto che la sintomatologia Covid ha subito una notevole evoluzione nel corso della pandemia, manifestandosi in modi sempre più diversificati tra i pazienti – spiega Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio di Milano –. Questa variabilità rende oggi complessa una caratterizzazione univoca della malattia. L’attuale forma di Covid presenta caratteristiche simili alle manifestazioni più recenti della malattia. Per chi contrae il virus e sviluppa una forma lieve dell’infezione, la durata dei sintomi oscilla tra i 2 e i 5 giorni”. Ma quando va oltre il panorama cambia.

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Come riconoscere oggi il Long Covid

Un’infiammazione persistente: così l’hanno definita gli esperti dopo aver indagato per quattro anni su quello che sembrava un vero e proprio grattacapo. Il Long Covid, definito in un primo momento “la fase acuta della malattia” generata dal virus SARS-CoV-2, poi si è scoperto essere ben altro: una continua sollecitazione del sistema immunitario. È come se qualcuno ci stimolasse senza sosta a muoverci, a correre o camminare, non lasciandoci il tempo di prendere fiato.

Sono sostanzialmente due i segnali che possono farci capire che l’infiammazione da SARS-CoV-2 insiste. “Problemi respiratori e stanchezza che permangono – sottolinea Pregliasco –. Ricordo che il Long Covid è una sindrome clinica che interessa una parte di coloro che hanno avuto la malattia e che, dopo più di quattro settimane da un’infezione acuta da SARS-CoV-2, vede la persistenza o l’insorgenza di segni e sintomi legati all’infezione”.

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Quando bisogna preoccuparsi

Riguardo alla durata dei sintomi del Long Covid, se sono trascorsi due mesi dalla negativizzazione e alcuni persistono, è meglio rivolgersi al proprio medico curante. “Quelli più evidenti sono i problemi respiratori – ribadisce l’esperto -, ma anche la stanchezza e la cosiddetta nebbia cerebrale, a cui si accompagna l’incapacità di rispondere in modo veloce agli stimoli quotidiani, con la lentezza nel recupero. Questa sostanzialmente lo differenzia da una normale influenza. Anche se, va detto, il Long Covid si può manifestare pure sotto altre forme”.

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