Longevità. Tre libri per scoprire come vivere bene e a lungo
Ma davvero vorreste vivere fino a 120 anni, come sperava Berlusconi? O a 150 come sono convinti sia possibile Putin e Xi Jinping? A chi su questa Terra ci vive bene, certo può stare stretta la statistica che, oggi, stabilisce la vita media degli italiani a 81,8 anni e delle italiane 85,7. Ma se ci chiediamo come stanno questi ottantenni, è sempre la statistica a rispondere che molti, anzi moltissimi, non stanno bene per niente; che troppo spesso età avanzata è sinonimo di disabilità e malattie croniche. Così, vedendo gli anziani in difficoltà finiamo col dire a noi stessi che essere centenari sofferenti e disabili è una pessima idea.
Eppure, ci scoccia dover porre un limite; e, in questa parte di mondo in cui ci si può sia alimentare a dovere sia curare adeguatamente, pensarci fuori gioco è insopportabile. Un sessantenne si sente un ragazzo. Un settantenne non si arrende all’idea di avere ancora solo poco più di 10 anni, e spera nella media di Trilussa. Un ottantenne in salute ha ancora tante cose da fare. E anche chi di anni ne ha molti di meno si dibatte tra fregarsene e attendere gli eventi e fare di tutto per allontanare la vecchiaia, cosa più che possibile, al netto della sfortuna e del DNA. Ma perché mai vivere a lungo deve diventare sinonimo di stare male a lungo? No, non deve andare così. La scommessa, oggi, è quella di vivere bene e il più a lungo possibile. Utopia? Forse sì. Ma realizzarla può diventare, comunque, un gran bell’obiettivo.
Lo vediamo bene, dopo i cinquanta il corpo cambia; e cambia sempre più rapidamente man mano che passano altri anni. Assistiamo un po’ arrabbiati al giro di boa. Rischiamo di rassegnarci, ma non dovremmo. Perché possiamo, invece, metterci a lavorare seriamente per arrestare il declino. Troppo tardi? La scienza ci dice di no. Ci dice che non è mai troppo tardi per perdere peso, fare esercizio fisico, allenare la mente, prevenire le malattie croniche (dal diabete a quelle cardiovascolari a quelle osteoarticolari) e, se serve, curarle. Non è mai troppo tardi persino per smettere di fumare che è il nemico assoluto della nostra salute. Che, insomma, prendere in mano la situazione e fare quello che si deve rallenta l’invecchiamento, aggiunge vita agli anni; vita sana.
Anche se, inutile nasconderselo, l’invecchiamento comincia esattamente nel momento in cui nasciamo: le cellule cominciano a dividersi, a specializzarsi, a ripararsi, e con ciò a subire i primi danni. Colpa del maledetto stress ossidativo, cioè della produzione di radicali liberi come conseguenza naturale della respirazione e dell’attività metabolica delle cellule. I meccanismi di riparazione del DNA e delle proteine lavorano senza sosta, ma non sono perfetti: col tempo gli errori si accumulano. Insomma, l’invecchiamento non arriva all’improvviso, è un processo intrinseco alla vita stessa, che procede parallelamente alla crescita e alla maturazione. Per questo combatterlo un compito che dovrebbe iniziare molto, molto presto.
Nei primi anni prevalgono i meccanismi di sviluppo: l’organismo cresce, si rafforza, impara a stare nel mondo, sia fisicamente che mentalmente, e le due cose vanno sempre insieme. Poi, raggiunta la maturità, la bilancia si sposta lentamente verso il declino funzionale; ci stanchiamo più facilmente, ingrassiamo o dimagriamo troppo (a seconda del DNA e delle abitudini), dormiamo male, cominciamo a vedere che cuore, muscoli, ossa, cervello, polmoni subiscono delle battute di arresto. Non è una linea retta: stile di vita, ambiente, genetica e condizioni sociali modulano la velocità con cui questo processo avanza. Perciò, prima si comincia a fare le cose per bene meglio è. Già, ma cosa?
Le strategie
Cominciamo col mettere da parte l’idea che basti una bacchetta magica. Invecchiare bene è un lavoro, magari divertente ma sempre impegnativo. Perché non esiste l’elisir di lunga vita, ma esistono strategie concrete, convalidate dalla scienza, che possono aumentare le probabilità di invecchiare in salute. Alcune sono molto semplici, altre sono frutto di tecnologie e conoscenze recentissime. Nessuna si può comprare nel mercato delle illusioni dispensate a piene mani dal marketing di pillole, tisane, decotti, infusi o quant’altro promette di rafforzare muscoli, far perdere peso, addirittura agire sui meccanismi biologici dell’invecchiamento.
Ogni volta che stiamo per cedere alle lusinghe delle sirene che cantano dai banconi delle farmacie o degli angoli – salute dei supermercati dovremmo fermarci e contare fino a 10. Dovremmo pensare che quei denari magari sarebbero più utilmente spesi in palestra, dal verduraio, dal fisioterapista, nella scelta delle scarpe giuste per camminare bene e molto, in un buon materasso e in un cuscino adeguato. O anche solo in una borraccia carina da portare sempre con noi per bere, bere, bere.
Gli anni di vita in salute non ce li vende nessuno, dobbiamo conquistarli. Nella consapevolezza, se mi è permessa una digressione, che è già un lusso poterlo fare, poter mangiare bene, fare esercizio fisico… e sapere come organizzare uno stile di vita atto allo scopo. Mille sono le dimostrazioni che il gradiente sociale ed economico è un coefficiente di salute e di longevità. Nel nostro paese il compito è anche della scuola, che deve insegnare gli stili di vita corretti e organizzare l’esercizio fisico per i ragazzi, come è del medico di medicina generale che deve vigilare e istruire la famiglia. Poi, però, c’è il peso del fumo, attivo e passivo, di una cattiva alimentazione, del dilagare del junk food, dell’assuefazione ai device elettronici … Tutte cose in carico alle famiglie. Dove il gradiente sociale pesa enormemente.
Lo stile di vita
È il modo in cui viviamo a determinare come invecchiamo. Alimentazione equilibrata, attività fisica regolare, niente fumo, sonno adeguato, esercizio dell’intelligenza.
Gli scienziati sono andati a vedere cosa succede nelle cosiddette “Blue Zones” – le regioni del mondo con la più alta concentrazione di centenari – e hanno visto che la dieta mediterranea, ricca di verdure, legumi, cereali integrali, pesce e olio extravergine d’oliva, è associata a una riduzione significativa delle malattie cardiovascolari e neurodegenerative.
Le abitudini dei paesi dove si vive più a lungo indicano chiaramente che la restrizione calorica aiuta, e quindi mangiar poco e bene è sempre una buona idea; ma non troppo poco perché senza i nutrienti adeguati non funzioniamo, perdiamo massa muscolare, non contrastiamo le aggressioni delle malattie. Nel primo volume di questa triade (“Alimentazione” di Nicola Sorrentino, in regalo con Repubblica lunedì 20 ottobre), vi diamo qualche idee di come organizzare la dispensa.
Gli studiosi del metabolismo cellulare hanno osservato i malefici effetti degli zuccheri semplici (glucosio, fruttosio, saccarosio): il nostro organismo li metabolizza rapidamente per produrre energia il ché porta a una maggiore produzione di molecole che possono danneggiare DNA, proteine e lipidi di membrana. Se c’è un eccesso di zuccheri nel sangue, i mitocondri, lavorando a pieno regime, generando radicali liberi. Se il glucosio non viene bruciato può inquinare e danneggiare i tessuti. Non solo: troppi zuccheri stimolano un aumento dell’insulina e possono favorire l’accumulo di grasso viscerale, che a sua volta genera infiammazione. In una spirale che promette solo disastri.
Gli epidemiologi ci hanno dimostrato che l’alcol fa male. Che è una sostanza tossica e cancerogena. Quando beviamo, il fegato trasforma l’alcol in acetaldeide, una molecola classificata come cancerogena perché può danneggiare il DNA e le proteine, aumentando il rischio di tumori (bocca, esofago, fegato, colon, mammella). Ma anche senza arrivare a questo punto, il metabolismo dell’alcol produce radicali liberi che attaccano le cellule, innescano infiammazione e accelerano l’invecchiamento. Senza dire dei danni al fegato stesso: steatosi (fegato grasso), epatite alcolica e cirrosi, condizioni che riducono drasticamente l’aspettativa di vita.
Non solo: l’alcol ci imbroglia: sembra che aiuti a rilassarsi, ma a lungo termine altera la trasmissione dei neurotrasmettitori, danneggia i neuroni e aumenta il rischio di depressione, ansia e deficit cognitivi. Così, il classico e incensato “bicchiere di vino rosso” illude e promette di proteggere cuore e vasi, ma così non è; non esiste una soglia sicura: ogni dose aumenta, anche se di poco, il rischio di fibrillazione atriale, ipertensione e ictus. Insomma: nessun potenziale beneficio compensa i rischi, e, che, ci piaccia o no, la quantità più sicura è zero.
Però sono gli stessi scienziati a dirci che le cose buone che mangiamo, quel bicchiere di vino buono bevuto in compagnia, quel dolcetto fatto ad arte innescano meccanismi di ricompensa che ci aiutano a vivere. Ciò che conta è la moderazione, è fare di una festa una festa e non un’abitudine alimentare, è la continuità delle buone abitudini.
Sappiamo che il buon umore è esso stesso un viatico di lunga vita. E quindi abbiamo imparato che un’alimentazione equilibrata non deve tradursi in una rinuncia a tutto. Che essere maniacali a tavola, come al tavolino dell’aperitivo è la strada maestra per nevrosi e infelicità. A maggior ragione se porta a isolarci, a cancellare la gioia di un incontro. Non stiamo scivolando nello stupidario del benessere olistico (qualunque cosa voglia dire): è biologia. Emozioni positive e relazioni soddisfacenti modulano la risposta immunitaria e i livelli di infiammazione cronica, il grande nemico.
Perché anche il cervello, se trascurato, invecchia prima. La stimolazione cognitiva è essenziale: non solo leggere o imparare una lingua, ma soprattutto avere relazioni sociali. La solitudine è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come un fattore di rischio grave. Coltivare legami, nutrire le amicizie, partecipare alla vita della comunità è un vero viatico di longevità. E ben più lo è l’amore, a ogni età e nelle diverse forme che prende col passare del tempo: ma di questo non parliamo, troppo privato e profondo perché ce ne impicciamo.
Parliamo invece del movimento: anche in questo caso le parole d’ordine sono equilibrio e costanza. Riservare all’esercizio uno spazio nelle nostre giornate è il primo comandamento: l’attività fisica stimola la produzione di molecole antinfiammatorie, riduce lo stress ossidativo e favorisce la rigenerazione dei tessuti. In altre parole, “rallenta” alcuni dei meccanismi biologici dell’invecchiamento.
Non significa, però, esserne ossessionati: condizione per cui gli psichiatri hanno persino coniato una definizione, “vigoressia”, e non va bene. Si tratta di camminare mezz’ora al giorno, andare in bicicletta, praticare yoga, pilates o nuoto, o una qualunque delle attività che mantengono cuore, muscoli e mente allenati (anzi: meglio due o anche tre). I medici dello sport hanno scoperto come diverse attività aiutano a mantenere, e curare, diverse condizioni: dalle patologie osteoarticolari ai deficit respiratori, all’ipertensione, al diabete. E di recente, i neuroriabilitatori hanno scritto protocolli per aiutare contro Alzheimer, Parkinson, deficit cognitivi.
La buona notizia è che anche in questo caso, non è mai troppo tardi. Dunque, alziamoci dal divano (o dalla scrivania) e facciamo qualcosa. Qualcosa di adatto alla nostra età e alle nostre condizioni fisiche: a vent’anni tutto è possibile, ma già a cinquanta prima di scegliere diamo un’occhiata alle nostre condizioni fisiche, a sessanta meglio il pilates dell’alpinismo, a settanta, meglio il golf che la corsa campestre … e così via. Come scegliere? Nel secondo volume di questa triade (“Esercizio fisico” di Letizia Gabaglio, in regalo con Repubblica martedì 21 ottobre) vi indichiamo qualche soluzione.
La medicina
Noi dobbiamo fare il nostro, adeguando lo stile di vita a quello che la biomedicina ha scoperto essere utile per vivere bene e a lungo. Ma l’impegno non finisce qui. Perché malattie croniche e infezioni sono il correlato del vivere nel mondo, popolato com’è da virus, batteri, germi e parassiti. Per questo dobbiamo imparare un altro mantra: prevenzione clinica. E nel terzo volume di questa triade (“Farmaci, vaccini ed esami” di Elena Dusi, in regalo con Repubblica mercoledì 22 ottobre) vi raccontiamo cosa può fare la medicina per farci vivere bene e a lungo.
A partire dalle vaccinazioni che agiscono su uno dei meccanismi più fragili della nostra biologia: la vulnerabilità alle infezioni, perché il vaccino addestra il sistema immunitario a riconoscere un agente infettivo e a reagire rapidamente. Così si evita la malattia e, se questa comunque colpisce, lo fa in forme molto più lievi. E meno malattie infettive gravi significa meno ricoveri, meno antibiotici, meno complicazioni. Questo permette ai sistemi sanitari di concentrare risorse su prevenzione e cura di altre patologie, migliorando la salute media della popolazione.
Alcuni vaccini, poi, proteggono non solo dalle infezioni acute, ma anche da conseguenze a lungo termine. L’epatite B, ad esempio, può portare a cirrosi e tumore al fegato; il papilloma (Hpv) è legato al carcinoma della cervice uterina e ad altri tumori. Prevenire queste infezioni significa prevenire anche i tumori collegati, con un impatto enorme sull’aspettativa di vita.Chiunque abbia dei dubbi può guardare i dati: all’inizio del ’900, l’aspettativa di vita in Europa e in America non superava i 50 anni. L’introduzione dei vaccini (insieme a igiene e antibiotici) ha fatto salire questo numero a oltre 80 anni in pochi decenni. Le vaccinazioni allungano la vita perché trasformano malattie un tempo mortali in eventi prevenibili: non regalano l’immortalità, ma hanno cambiato la storia della sopravvivenza umana più di qualunque altra scoperta medica, permettendo a milioni di persone di raggiungere età che in passato erano privilegio di pochi.
Invecchiare bene, poi, vuol dire evitare le malattie che comportano disabilità, vuol dire trasformare in croniche patologie che fanno precipitare la nostra aspettativa di vita, ma anche la nostra qualità di vita. Screening periodici, controlli mirati in base all’età e ai fattori di rischio personali, non per essere ostaggio di medici e ambulatori, non per crearci una nuova ossessione e medicalizzare i nostri giorni, ma per individuare in tempo patologie che, prese agli esordi, sono spesso curabili.
La medicina personalizzata promette di raffinare ulteriormente questi strumenti, permettendo diagnosi precoci e terapie su misura. Sono gli effetti sulla nostra vita del sequenziamento del genoma umano e della possibilità di usare i dati accumulati in enormi archivi biologici. E ancor più ne promettono l’intelligenza artificiale, che analizza miliardi di dati medici, le biotecnologie, che studiano le cellule staminali e la rigenerazione dei tessuti. La voglia di combattere ogni malattia allo stremo, ma anche di ritardare l’invecchiamento biologico è il motore potente delle innovazioni. Dalle quali ci aspettiamo moltissimo. Ma sarebbe bene che non ci illudessimo di lasciar fare tutto all’hi-tech e ai camici bianchi. Perché un algoritmo di per sé non può nulla senza il nostro impegno. Nessuna tecnologia o biotecnologia potrà salvarci da un invecchiamento fragile.
L’impegno è il vero e possibile elisir di lunga vita. Anche se vivere a lungo non può essere solo un’impresa individuale. Conta l’ambiente in cui viviamo, conta l’accesso alle cure, contano città più verdi e camminabili. Conta saper scegliere come investire la quota del capitale (piccolo o grande che sia) che riserviamo alla salute, e per questo ci aiuterebbe molto avere istituzioni credibili che spazzano via dalla nostra strada le baggianate a caro prezzo. E ci aiuterebbe sapere che quello che mangiamo è sano e controllato. Come aiuterebbe poter sempre contare sul nostro medico di famiglia.
La longevità è un bene collettivo: l’impegno non deve essere solo personale, ma riguarda la comunità. Una società longeva deve potersi liberare dei miti ingessati della giovinezza patinata che a vent’anni vola via. Passati gli “anta”, sappiamo che si è belli, felici, attivi, interessanti, innamorati a ogni età; bisogna che la narrazione collettiva rifletta questo sentire dei protagonisti “over”. Protagonisti, appunto. Una narrazione che eviti buonismi e compiacimenti, che eviti di definire bonariamente “pantere grigie” chi non si sente per niente “grigio”; che non spinga a ridicolizzare sé stessi con volti e corpi deturpati dalla chirurgia o dalle costose quanto perniciose diavolerie dell’antiage, che aiuti tutti, a ogni età, a scegliere i giusti stili di vita, mettendo al bando la rassegnazione.
“Alimentazione” di Nicola Sorrentino – lunedì 20 ottobre
“Esercizio fisico” di Letizia Gabaglio – martedì 21 ottobre
“Farmaci, vaccini ed esami” di Elena Dusi – mercoledì 22 ottobre
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