Malattie polmonari, tre mosse per curare meglio i pazienti con Bpco
Il 40% dei pazienti con Broncopneumatia cronica ostruttiva (Bpco) rimangono invisibili fino a quando la loro malattia non diventa grave. La diagnosi, cioè, arriva troppo tardi, quando le condizioni di salute sono deteriorate, anche perché si tratta nella maggior parte dei casi di anziani colpiti anche da altre malattie (cardiovascolari, metaboliche, osteoarticolari, neuropsichiatriche e oncologiche). La maggior attenzione necessaria alla diagnosi sul territorio e la necessità di disegnare un percorso che permetta al paziente di essere rivalutato in maniera costante sono messe in evidenza dai risultati dello studio Aster, pubblicato sull’International Journal of Copd alla vigilia della Giornata Mondiale della Bpco del 20 novembre. La ricerca, che parte dai dati raccolti nella vita reale italiana, segnala quanto sia importante il ruolo dei medici di medicina generale nella gestione della patologia in Italia.
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Tre mosse per dare scacco matto alla Bpco
Come è possibile rendere visibile il bisogno sommerso di presa in carico della Bpco? A disegnare un percorso sono proprio i risultati dello studio Aster, che ha coinvolto 385 pazienti con malattia da lieve a moderata, tra i 40 e gli 80 anni. Il primo passo è la diagnosi precoce e corretta, grazie alla spirometria. Il secondo prevede l’individuazione della terapia appropriata già nello studio del medico di medicina generale. La terza e ultima mossa punta al miglioramento della funzionalità polmonare e della qualità di vita del paziente con riduzione della dispnea e delle riacutizzazioni. L’obiettivo di questo approccio sul territorio è non solo ridurre il peso della malattia per il paziente e i caregiver, ma anche favorire un controllo ottimale della spesa sanitaria grazie al minor rischio di ricoveri ospedalieri legati alle recidive della patologia respiratoria. “Dalla ricerca emerge chiaramente come sia fondamentale il ruolo dei medici di medicina generale italiani nella gestione della Bpco – commenta Alessandro Rossi, Presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg) – In presenza di linee guida chiare, sul territorio è possibile trattare e monitorare efficacemente i pazienti con Bpco, riducendo l’impatto della malattia e migliorando i risultati a lungo termine”.
L’importanza della spirometria
L’esame spirometrico deve rappresentare la “conditio sine qua non” per la diagnosi e l’inquadramento terapeutico del paziente. Attualmente, però, la spirometria appare sottoutilizzata nella medicina generale e lo studio Aster dimostra che integrarla nella pratica clinica può fare la differenza e che una gestione più strutturata – che rispetti le linee guida internazionali per il trattamento (Gold) – può portare a un miglioramento clinico significativo. “Purtroppo lo studio Aster mostra come per molti pazienti eleggibili non ci fosse una chiara diagnosi di Bpco precedente all’arruolamento, il che evidenzia l’importanza di uno screening della malattia e una diagnosi tempestiva mediante spirometria da parte dei medici di medicina generale – sottolinea Rossi – A quel punto, come indica la nota 99, il medico di medicina generale può trattare la Bpco senza problemi: grazie alla rivalutazione del trattamento anche con terapie innovative come i Lama/Laba si possono ottenere esiti positivi come quelli evidenziati dallo studio per i pazienti”.
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Cosa può cambiare
Lo studio Aster offre informazioni molto solide sull’assistenza al paziente con Bpco nella vita reale. E puntualizza quanto e come la chiave del successo della gestione della patologia dipenda dall’integrazione tra le competenze di medici di medicina generale e specialisti. “Ai primi va il compito di intercettare precocemente la patologia, per poi gestire direttamente il paziente con le forme meno impegnative ed indirizzare allo pneumologo il malato più grave, per la presa in carico specifica – segnala Claudio Micheletto, Direttore dell’UOC di Pneumologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona e anche Presidente nazionale per il biennio 2024-2025 dell’Associazione Nazionale Pneumologi Ospedalieri – Non bisogna mai dimenticare che quattro pazienti con Bpco su dieci vengono riconosciuti solo nelle fasi avanzate della malattia e quindi l’approccio alla problematica sul territorio è basilare. Si tratta di pazienti particolari, vale a dire prevalentemente fumatori, che convivono con minimi sintomi nelle fasi iniziali, come la tosse con secrezioni e la difficoltà respiratoria solo da sforzo. Sono abituati a convivere, non riconoscono il lento deterioramento e non si rivolgono al Medico. Tocca a noi andare a cercarli, per tentare di farli smettere di fumare, avviarli a una diagnosi e terapia”.
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La chiave è il territorio
Dallo studio emerge chiaramente come grazie alla rete più efficace ed efficiente tra medico di medicina generale e specialisti si può ottenere una migliore assistenza sociale e sanitaria per il paziente con Bpco. “Il ruolo dei medici di medicina generale nella ricerca clinica, soprattutto negli studi osservazionali di fase 4 come Aster, è cruciale per comprendere l’efficacia dei trattamenti nella pratica quotidiana e migliorare l’approccio terapeutico. Grazie alla loro conoscenza approfondita del territorio e alla stretta connessione con i pazienti, i medici di famiglia rappresentano un punto di riferimento fondamentale per raccogliere dati reali e validare strategie che possano ottimizzare la gestione di patologie croniche come la Bpco”, conclude Giovanna Elisiana Carpagnano, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Pneumologia presso l’Ospedale Universitario Policlinico di Bari e Direttrice della Scuola di specializzazione in Malattie dell’apparato respiratorio dell’Università di Bari. “Solo con una maggiore collaborazione tra medicina generale e specialistica, supportata da studi clinici di questo tipo, possiamo garantire diagnosi tempestive, trattamenti appropriati e un reale miglioramento della qualità di vita dei pazienti.”
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