Medici di pronto soccorso come detective scoprono le violenze nascoste sulle donne
Il 20,2% delle donne ha subito violenza fisica: minacce, spinte, calci, schiaffi, pugni o peggio (dati Istat). Traumi e lesioni di natura apparentemente accidentale ma che una volta su tre sono provocati da un’aggressione. Parliamo di violenza domestica e anche quella che include comportamenti controllanti, coercitivi, minacciosi, fisici, psicologici, sessuali o economici all’interno di una relazione. Episodi che, se non riconosciuti, possono ripetersi e aggravarsi, fino a conseguenze drammatiche. Da tempo la dottoressa Erika Maria Viola, direttore UOC Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale di Cremona, lavora in Pronto Soccorso per intercettare quei segnali che le donne tendono a nascondere. Una specie di detective che indaga se c’è qualche cosa che non va. E ora il suo lavoro sarà la base per formare gli ortopedici su tutto il territorio nazionale. Iniziative preziose come quella dei Medici di medicina generale che puntano a diventare ‘sentinelle’ sul territorio.
Professoressa Viola, questi progetti sono importanti. Come può intervenire un ortopedico di Pronto soccorso?
“L’ortopedico può avere un ruolo chiave, la traumatologia muscoloscheletrica è infatti il secondo ambito clinico più frequentemente coinvolto nei casi di violenza domestica. Ma, solo una minima percentuale di donne, in particolare con lesioni sospette, viene interrogata sulla possibile origine delle ferite, e, di queste, solo una su due riceve un supporto. Ancora più preoccupante è che solo una piccola percentuale di ortopedici e traumatologi dichiara di riconoscere con chiarezza le lesioni tipiche della violenza domestica, e di essere pronto ad approcciare la presunta vittima in un ambiente protetto per approfondire la reale anamnesi ed aiutarla a raggiungere la concreta consapevolezza della realtà e delle priorità”.
Per questo l’idea è di formare gli specialisti su tutto il territorio nazionale.
“La Commissione Pari opportunità della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (Siot) ha deciso di lanciare la prima Campagna nazionale per la formazione di ortopedici e traumatologi a riconoscere le lesioni da violenza domestica tra i pazienti, spesso donne, ma anche bambini e anziani, che arrivano nei Pronto Soccorso degli ospedali. A partire da dicembre 2025, nei Pronto Soccorso degli ospedali di tutto il territorio nazionale sarà affisso un poster con l’immagine di una donna che sul palmo della mano ha un punto rosso, come segnale silenzioso di richiesta di aiuto. Il poster contiene un Qrcode con informazioni per gli specialisti per come riconoscere le fratture e quali sono gli strumenti giuridici che possono usare per denunciare nelle specifiche situazioni”.
Quanto è diffusa la violenza, secondo la sua esperienza in ospedale?
“Dopo il lock down per la pandemia abbiamo scoperto molte fratture sulle pazienti. La violenza è sempre più diffusa ma spesso le vittime non vogliono parlare. Eppure, denunciare è l’unico modo per salvarsi. Secondo una ricerca Usa, una parte delle donne uccise si era presentata in pronto soccorso nei due anni precedenti per una frattura alla tasta o agli arti o al tronco”.
Come specialisti cosa riuscite a vedere?
“Abbiamo una lista di segnali che è riconducibile a una frattura provocata da un atto violento. Una lista che deve rimanere riservata. Spesso si tratta di aggressioni a persone più fragili: donne, anziani, infanti. Sono fratture il più delle volte recenti. Madri di figli tossicodipendenti. Spesso c’è un’escalation della violenza: si incomincia a colpire con le mani e in un secondo momento con il martello. Ogni volta, dobbiamo fare un minimo di indagini per capire cosa è accaduto. Se il partner usa la destra, possiamo intuire se ha tirato la vittima per un braccio o meno e che tipo di segno può aver lasciato”.
La salute ‘fragile’ delle donne vittime di violenza
Cosa fate quando capite che c’è stata un’aggressione ma la vittima non vuole parlare?
“A quel punto, l’ortopedico si deve togliere il camice e cercare di coinvolgere in modo empatico il paziente. Bisogna parlare con il cuore in mano. Ci si isola con la persona e le si parla. In genere, se sono presenti più persone, la vittima si ritrae. Esistono ambienti sociali, dove le donne si nascondono di più e in quelli più deboli c’è spesso il problema della lingua. Per aiutarle, diamo loro questionari di autovalutazione. Per far emergere i problemi fra gli audiolesi, utilizziamo un filmato. Spesso le persone con handicap sono vittime di violenza. Il nostro è un complicato lavoro di persuasione. Prima di far intervenire le autorità, deve emergere la verità”.
Vi capita invece di scoprire che qualcuno mente e non è stato colpito?
“Ci sono capitate donne che simulano di essere state picchiate. Ma anche qui abbiamo un indice che ci guida per vedere cosa può essere accaduto. E’ un indice a uso professionale per evitare che sia usato in modo sbagliato”.
Condividi questo contenuto:




