Nei quartieri con più vie pedonali cala il rischio di infarto e ictus

Che l’attività fisica faccia bene alla salute è risaputo. Ma che chi si occupa di architettura urbana debba prestare attenzione agli spazi percorribili a piedi, al fine di migliorare il benessere cardiovascolare degli abitanti, è acquisizione più recente. Ed è fondamentale per il benessere. Controllare la percorribilità a piedi nei diversi quartieri, in una logica ambiente/salute sempre più stringente, sarà un vero e proprio obiettivo in termini di prevenzione di infarti e ictus, almeno stando a quanto riporta una ricerca presentata al Congresso ESC Preventive Cardiology tenutosi a Milano. In sintesi. Analizzando più di tre milioni di persone si è visto che in base alle traiettorie di percorribilità a piedi delle diverse zone cittadine cala (in caso di aumento degli spazi per passeggiate) o sale (se ci si trova ristretti al fianco di strade trafficate e senza possibilità di allungare i passi) il rischio cardiovascolare. E non di poco.

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Più passeggiate, meno auto

L’ambiente urbano in cui viviamo rappresenta quindi una variabile importante, in prevenzione. Anche per consentirci di ottemperare ai dettami delle linee guida OMS che propongono 150 minuti di attività fisica di intensità moderata a settimana. Ma purtroppo, sul fronte urbanistico, trovare gli spazi per passeggiare o muoversi a velocità maggiore non è semplice. E sta agli architetti ed alla politica trovare soluzioni che aiutino il benessere.

“I quartieri progettati per essere percorribili a piedi possono aiutare i residenti a scegliere un trasporto attivo, come il pendolarismo a piedi, piuttosto che modalità di viaggio sedentarie come l’auto, e consentire di integrare una maggiore attività fisica nella vita quotidiana – segnala Erik Timmermans dell’Università di Utrecht, che ha presentato lo studio”. La percorribilità a piedi del quartiere può essere definita come una misura composita delle caratteristiche dell’ambiente costruito che facilitano la camminata, tenendo conto di fattori tra cui il mix di utilizzo del suolo, la densità della popolazione e la densità degli spazi verdi. “Le prove sulla relazione tra percorribilità a piedi e malattie cardiovascolari sono scarse e si basano in gran parte su studi trasversali. Abbiamo condotto uno studio longitudinale per catturare i cambiamenti nella percorribilità a piedi nel tempo e metterli in relazione con l’incidenza delle malattie cardiovascolari negli anni successivi – commenta l’esperto”.

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Come cambia il rischio

La ricerca ha valutato le informazioni della banca dati Statistics Netherlands per tutti gli oltre tre milioni di residenti olandesi di età pari o superiore a 40 anni all’inizio della ricerca, senza storia di malattie cardiovascolari e senza ovviamente traslochi effettuati. È stato calcolato un indice di percorribilità a livello nazionale, misurato oggettivamente, per aree di 500 metri attorno ai loro indirizzi residenziali. In questo studio, l’indice di percorribilità era costituito da sei componenti: densità di popolazione, densità di vendita al dettaglio e servizi, mix di utilizzo del suolo, densità di intersezioni, densità di spazi verdi e densità di marciapiedi. Poi si sono associati questi dati con quelli relativi all’incidenza di malattie cardiovascolari dal 2009 al 2019, raccolti dal Dutch Hospital Discharge Register e dal National Cause of Death Register.

Sono state osservate quattro distinte traiettorie di percorribilità a piedi nel quartiere: una traiettoria di percorribilità stabile ma relativamente bassa (91,1%), una traiettoria di percorribilità stabile ma relativamente più alta (0,6%), una percorribilità iniziale del quartiere relativamente più alta che è diminuita nel tempo (1,7%) e una percorribilità iniziale del quartiere relativamente più bassa che è aumentata nel tempo (6,5%). Nel monitoraggio di 11 anni, il 21,4% dei soggetti ha sviluppato una patologia cardiovascolare e ci sono stati 81.600 decessi per questa causa. Cosa emerge? Un dato per tutti. Gli individui esposti a una camminabilità stabile e bassa avevano un rischio più alto del 5,1% di patologie a carico di cuore e vasi.

“Gli adulti esposti a una bassa percorribilità nel tempo, ovvero la maggior parte degli individui nel nostro studio, avevano un rischio più elevato di malattie cardiovascolari rispetto a quelli in quartieri con un’elevata percorribilità stabile – fa sapere lo studioso. I ??nostri risultati evidenziano l’importanza della pianificazione urbana a lungo termine per la salute cardiovascolare”.

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Il valore del movimento

“L’attività fisica è un fondamentale strumento di prevenzione cardiovascolare dal momento che contribuisce a ridurre la pressione arteriosa, il colesterolo, la glicemia e il peso corporeo, soprattutto quando condotta in modo appropriato e costante – commenta Massimo Volpe, Presidente della Società Italiana per la Prevenzione del Rischio Cardiovascolare (SIPREC). È quindi molto importante creare le condizioni ambientali che possano favorire la pratica quotidiana dell’esercizio fisico soprattutto nelle città e nelle grandi metropoli laddove gli spazi aperti sono spesso poco praticabili e le condizioni del traffico veicolare disincentivanti”. In questo senso, tra le altre, un’iniziativa promossa dalle principali Società scientifiche concretizzata in un Documento pubblicato dall’Alleanza Cardiocerebrovascolare del ministero della Salute affronta il temibile rapporto tra inquinamento ambientale e rischio cardiovascolare. E propone soluzioni sostenibili per spezzare questa pericolosa relazione deve far parte delle strategie e progettualità future per favorire il movimento fisico delle persone in un ambiente più sano. Ed è solo un esempio. “Il vero “green deal” del futuro consiste nel far muovere di più ed in sicurezza le gambe delle persone in realtà urbane che lo consentano davvero – è il monito finale di Volpe”.

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