Nel cervello la possibile chiave per sviluppare nuove strategie anti obesità

Il sistema endocannabinoide è una rete di comunicazione tra le cellule del sistema nervoso che svolge un ruolo importante per diverse funzioni del cervello, come il controllo del movimento, l’apprendimento, la memoria e la modulazione del dolore. Ma non solo: uno studio dell’Università di Montreal, appena pubblicato su Nature Communications, rivela che l’attività degli endocannabinoidi in alcune aree cerebrali è collegata anche con il senso di fame e la propensione all’attività fisica, e che potrebbe quindi rappresentare in futuro un target promettente per sviluppare nuove terapie farmacologiche contro l’obesità.

Scoperti i neuroni che controllano la fame

Una rete di comunicazione cerebrale

Gli endocannabinoidi sono neurotrasmettitori prodotti dal nostro organismo, e agiscono sugli stessi recettori dei cannabinoidi di origine vegetale presenti, ad esempio, nella cannabis, che non a caso viene utilizzata come antidolorifico e nel trattamento dei tremori del Parkinson. I neuroni sensibili alla loro azione sono parte del più ampio sistema endocannabinoide, e svolgono ruoli diversi in parti differenti del cervello.

Uno degli endocannabinoidi più presenti nel nostro sistema nervoso centrale è l’arachidonoilglicerolo, una molecola che viene degradata da un enzima noto con la sigla Abhd6, che stando ad alcune ricerche sembra di per sé coinvolto nella regolazione del peso corporeo: uno studio del 2016 ha dimostrato infatti che silenziando il gene che codifica per questo enzima è possibile modificare il metabolismo e aumentare i consumi energetici dell’organismo, promuovendo così il dimagrimento e proteggendo dall’insorgenza del diabete.

Un risultato in qualche modo inatteso, perché si pensava che a livello cerebrale dovesse accadere l’opposto: eliminando Abhd6 aumentano i livelli di endocannabinoidi, e stando a diverse ricerche, questo potenzia il senso di fame e riduce la capacità di controllare l’assunzione di cibo, e quindi porta all’aumento di peso. Per questo, i ricercatori dell’Università di Montreal hanno deciso di approfondire cosa accade realmente nel cervello quando viene inibita l’azione di Abhd6.

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Lo studio

La nuova ricerca si è concentrata sull’attività dei neuroni presenti nel nucleus accumbens, un’area dell’ipotalamo che regola la motivazione e l’avversione, e che si ritiene alla base dei meccanismi di rinforzo cerebrale, dell’elaborazione del piacere e della paura. Lavorando su topi, i ricercatori hanno disattivato i geni che codificano per la sintesi dell’enzima Abhd6 solamente in questa piccola regione del cervello, studiando quindi come cambiava l’appetito e la propensione all’esercizio fisico degli animali dopo averli sottoposti a una dieta ipercalorica.

“Ci aspettavamo che incrementare i livelli di arachidonoilglicerolo avrebbe stimolato il consumo di cibo aumentando i segnali dei neuroni sensibili ai cannabinoidi – spiega Stephanie Fulton, ricercatrice che ha guidato lo studio – e invece, paradossalmente, abbiamo scoperto che, quando viene eliminato il gene che codifica per Abhd6 nel nucleus accumbens dei topi, si riduce la ricerca di cibo, e si aumenta il loro interesse per l’attività fisica: gli animali hanno deciso di trascorrere molto più tempo sulla ruota, rispetto al gruppo di controllo che è invece diventato obeso e letargico”.

Tutto dipende dall’area cerebrale

Studi precedenti avevano dimostrato che l’inibizione dell’enzima Abhd6 nell’ipotalamo ha un effetto inverso rispetto a quello emerso nel nuovo studio: rende i topi resistenti alla perdita di peso. È quindi probabile che l’attività degli endocannabinoidi abbia effetti differenti a seconda dei neuroni che si prendono in considerazione. Per verificare quale dei due effetti (quello dimagrante o quello ingrassante) abbia più forza, i ricercatori canadesi hanno testato gli effetti di un’inibizione generalizzata dell’enzima nell’intero cervello, dimostrando che, almeno nei topi, in questo modo a prevalere è l’effetto dimagrante.

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L’inibizione di Abhd6 è quindi un bersaglio interessante per lo sviluppo di nuove terapie contro l’obesità. Resta da vedere, ovviamente, se i risultati verranno confermati anche passando dal modello animale agli esseri umani. E se gli inibitori di Abhd6 si riveleranno sicuri per l’utilizzo nella nostra specie: in passato, un farmaco dimagrante che agiva sui recettori del cannabinoidi è stato ritirato dal commercio a causa di importanti effetti collaterali psichiatrici, come il rischio di soffrire di depressione e un aumento dei pensieri suicidiari. Nei topi però l’inibizione di Abhd6 non ha fatto osservare comportamenti compatibili con l’ansia o la depressione. E questo rende fiduciosi i ricercatori di aver trovato un target promettente e sicuro anche per la nostra specie.

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