Per la prima volta al mondo un caso di Sma è stato trattato in utero
Doveva essere affetta da atrofia muscolare spinale (Sma), una rara malattia genetica che causa la morte dei motoneuroni e la degenerazione dei muscoli, e invece, all’età di due anni e mezzo, non mostra sintomi. Il merito sembra essere di un farmaco (risdiplam) che agisce sulla componente genetica della malattia, somministrato alla madre quando era incinta. I promettenti risultati di questa sperimentazione – la prima e per ora unica nel suo genere – sono descritti sulle pagine della rivista New England Journal of Medicine e aprono la strada a un ampliamento del trattamento, nella speranza di salvare altre giovani vite.
Cos’è l’atrofia muscolare spinale
La Sma è una rara malattia genetica (ne è affetto circa 1 neonato su oltre 10mila) causata da una mutazione in geni fondamentali per la sopravvivenza dei motoneuroni (Smn1 e Smn2), cioè quelle cellule che consentono di trasmettere il segnale di movimento ai muscoli. Come conseguenza si ha il progressivo indebolimento e morte delle fibre muscolari. Nella forma più grave di malattia (Sma-1, che si verifica quando entrambe le copie di Smn1 non funzionano), l’aspettativa di vita senza trattamenti è molto bassa, non superiore ai tre anni.
Negli ultimi anni, comunque, molto è cambiato. Sono stati approvati tre diversi trattamenti per la Sma, da somministrare il prima possibile dopo la nascita, che stanno modificando la storia della malattia, pur non costituendo una cura.
SMA, approvata la terapia orale anche nei bambini appena nati
Come viene usato il farmaco oggi
Uno di questi, il risdiplam di Roche, è stato scelto per l’innovativa sperimentazione condotta dai ricercatori del St. Jude Children’s Research Hospital, negli Usa. Questo farmaco nelle persone con Sma1 agisce potenziando l’attività dei geni Smn2, per compensare l’assenza di funzionalità dei geni Smn1. “È una molecola che abbiamo imparato a conoscere bene – commenta a Salute Eugenio Mercuri, neuropsichiatra infantile del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, tra i massimi esperti di Sma a livello internazionale – Lo utilizziamo in pazienti sintomatici affetti dalle tre forme di Sma e anche nelle forme precliniche, cioè nei bambini identificati attraverso lo screening neonatale che non presentano ancora sintomi. Da poco, inoltre, può essere somministrato precocemente dopo la nascita, sotto i due mesi di vita”.
Una sperimentazione unica, per ora
Nei bambini affetti da Sma, il risdiplam viene quindi somministrato per via orale dopo la nascita, ma – come sottolinea Mercuri – nelle forme più gravi alcuni neonati sono già sintomatici, ossia presentano segni e marcatori molecolari tipici della neurodegenerazione. Nel tentativo di anticipare ulteriormente i tempi, dunque, il nuovo studio ha previsto di somministrare il farmaco alla madre, una donna che aveva già subito la perdita del primo figlio per la stessa condizione. La donna – spiegano i ricercatori – ha assunto il risdiplam (costituito da una molecola di piccole dimensioni che secondo le previsioni avrebbe potuto essere trasferito al feto attraverso la placenta) per sei settimane, a partire dalla 32esima settimana di gestazione.
Sma, il farmaco orale funziona sui neonati senza sintomi
I risultati a due anni e mezzo dalla nascita
Al momento della nascita, gli esami hanno confermato la diagnosi genetica di Sma-1 per la bambina, ma hanno anche confermato, analizzando il liquido amniotico e il sangue del cordone ombelicale, che il farmaco avesse raggiunto il feto in utero. La bambina, infatti, non presentava i tipici segni della Sma-1 né i marcatori di malattia: aveva livelli di proteina Smn più alti e danni ai nervi inferiori rispetto a quelli di altri neonati con la medesima condizione.
La terapia con risdiplam è ripresa una settimana dopo la nascita e dovrà probabilmente essere assunta a vita, ma per il momento le condizioni della bambina sono buone, senza traccia di neurodegenerazione. “I nostri obiettivi principali erano fattibilità, sicurezza e tollerabilità, quindi siamo molto lieti di vedere che mamma e bambina stanno bene – ha affermato Richard Finkel, direttore del St. Jude Center for Experimental Neurotherapeutics, che ha partecipato allo studio – I risultati suggeriscono che varrebbe la pena continuare a studiare l’uso dell’intervento prenatale per la Sma”.
“Tutti noi clinici che ci occupiamo di queste malattie siamo rimasti molto impressionati dai risultati promettenti dell’approccio prenatale al trattamento – aggiunge Mercuri – Siamo davvero entusiasti, ma bisogna essere cauti nell’interpretare i dati su un singolo caso”. Non si può nascondere, infatti, che ci siano aspetti ancora da chiarire anche in questa sperimentazione: in particolare, la bambina alla nascita presentava delle anomalie dello sviluppo che potrebbero essere collegate alla Sma oppure essere del tutto indipendenti. “Dato che si ritiene che la loro insorgenza sia precedente alla somministrazione del risdiplam alla madre, queste anomalie non sono considerate un limite affinché la sperimentazione si possa ripetere – conclude Mercuri – Anzi, l’auspicio è che questo approccio possa essere applicato all’interno di uno studio clinico, con tutti i criteri e i controlli che la situazione impone, a una popolazione più ampia”.
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