Più dolce e più salato, l’effetto sul gusto dei farmaci per dimagrire

I farmaci per dimagrire cambiano la percezione degli alimenti, facendoli percepire al palato più dolci o salati, e portando a una riduzione dell’appetito. Alla motivazione strettamente biologica delle incretine – così si chiamano i blockbuster per perdere peso, l’agonista di GLP1semaglutide e il tirzepatide, che oltre ad essere agonista di GLP1 agisce anche sui recettori Gip e utilizzati in primis nei pazienti con diabete – si aggiunge dunque anche una spiegazione legata alla soggettività della percezione del gusto degli alimenti, grazie a uno studio austriaco e tedesco presentato al congresso annuale dell’Easd, l’Associazione Europea per lo studio del diabete, in corso a Vienna.

Uno su 5 sente più dolce o salato

Un paziente su 5 di quelli che prende semaglutide o tirzepatide percepisce gli alimenti consumati di solito come più dolci o più salati di prima. La scoperta è stata discussa e pubblicata nello studio di real world – si tratta cioè di pazienti “veri” e non inseriti in uno studio che potrebbe modificare le loro abitudini – su Diabetes, Obesity and Metabolism.

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Indagato l’elemento gusto

Mentre su semaglutide e tirzepatide gli studi su protezione cardiovascolare o renale o gli effetti sulla sindrome di apnea ostruttiva nel sonno o la Mash (steatoepatite associata a disfunzione metaboliche) non mancano l’elemento gusto finora non era stato indagato. “Tutte le terapie incretiniche come semaglutide e tirzepatide sono oggi ampiamente utilizzate per la gestione del peso ma finora sono poco chiari gli effetti sulla percezione dei sapori – ha spiegato Othmar Moser, dell’università tedesca di Bayreuth, che ha condotto lo studio. “Se le modifiche di gusto sono legate a un maggior controllo dell’appetito e a perdita di peso – continua Moser – potrebbe essere un aiuto per selezionare le terapie migliori, pensare a consigli dietetici calibrati su misura e migliorare i risultati a lungo termine per i pazienti”.

I tre farmaci analizzati

Ma veniamo allo studio. Moser, con i colleghi della Medical University di Vienna ha studiato il senso del gusto e l’appetito di centinaia di persone in sovrappeso e obese che prendevano semaglutide o tirzepatide. Dei 411 partecipanti alla ricerca (il 69.6% donne), 148 prendevano il semaglutide Ozempic di Novo Nordisk, che con quel dosaggio dovrebbe essere utilizzato solo dai pazienti con diabete, 217 il semaglutide settimanale di Novo Nordisk Wegovy (che i utilizza sia per il diabete che per l’obesità) e 46 Mounjaro, il tirzepatide di Eli Lilly. I tre gruppi sono stati seguiti per una durata media di 43 settimane e tutti hanno continuato il trattamento per almeno tre settimane consecutive. La media del Bmi, l’indice di massa corporea, indice seppure imperfetto per calcolare il sovrappeso o l’obesità, era 34.7 tra chi prendeva Ozempic, 35.6 tra chi prendeva Wegovy e 36.2 tra chi prendeva Mounjaro.

La richiesta ai partecipanti

Ai partecipanti, reclutati online, i ricercatori hanno chiesto di descrivere la percezione del gusto dolce, del salato, dell’amaro e dell’acido e se questa percezione si era modificata nel corso del trattamento. Tra le altre domande, anche se avevano notato cambiamenti sull’appetito e sul desiderio di cibo, sulla sensazione di sazietà e se avevano modificato lo stile di vita, per quanto riguarda il fumo o l’alcol, per esempio.

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I risultati

I dati: la riduzione di Bmi, calcolata tenendo contro della durata del trattamento, del dosaggio, del Bmi di partenza, sesso ed età è stata del 17.4% con Ozempic, del 17.6% con Wegovy e del 15.5% con Mounjaro. Ma appunto il 21.3% dei partecipanti aveva trovato il cibo troppo dolce oppure troppo salato (22.6%), percezione non modificata durante il trattamento. Ma mentre le percentuali di chi aveva trovato il cibo troppo dolce era simile nei tre gruppi, la percezione del salato invece era abbastanza differente: 26.7% nel gruppo Wegovy, 16.2% in quello Ozempic e 15.2% nel gruppo Mounjaro.

Il senso di fame

Più della metà dei partecipanti – il 58.4% – aveva sentito meno la fame (62.1% con Ozempic, 54.4% con Wegovy e 56.5% con Mounjaro), due terzi (63.5%) un maggiore senso di sazietà e in tempi più brevi (58.8% con Ozempic, 66.8% con Wegovy e 63.1% con Mounjaro) e tutti avevano notato una riduzione del desiderio impellente di cibo (41.3% con Mounjaro, 34.1% con Wegovy e 29.7% con Ozempic).

L’azione dei farmaci sul cervello

“Questi farmaci – ragiona Moser – non agiscono soltanto nelle aree intestinali e cerebrali che controllano la fame, ma anche sule regioni cerebrali che processano gusto e ricompensa. Cosa che vuol dire che possono modificare la percezione con cui gli aromi vengono sentiti. E questo può influenzare l’appetito”. IN ogni caso non ci sono collegamenti evidenti tra le modifiche della percezione dei sapori e la riduzione di peso e Bmi, probabilmente perché il gusto è solo uno dei molti fattori coinvolti nella perdita di peso. “La perdita di peso dipende da molti altri fattori – conclude Moser – come il metabolismo, i modelli alimentari e l’attività fisica, la modifica del gusto in sé può non essere sufficiente per ottenere una riduzione del peso”.

Il razionale biologico della differenza di gusto

Ma facendo un passo indietro, c’è un razionale biologico che spieghi come c’entrino questi farmaci con la percezione di dolce e salato? “Il senso di dolce o salato – spiega Andrea Giaccari, diabetologo alla Fondazione Policlinico Gemelli di Roma – dipende da molte variabili. Chiaro che la principale sia quanto sodio, zucchero o dolcificanti siano presenti, ma esiste una forte variabilità personale. Tutti noi conosciamo qualcuno che, ad esempio, aggiunge sale prima ancora di assaggiare. Il senso di dolce e salato non sono, dunque, oggettivi. Di fatto, il nostro intestino è anche una ghiandola endocrina, ancora abbastanza sconosciuta, che produce molti ormoni in risposta al pasto, al tipo di alimento, all’ambiente interno (microbiota). Sebbene alterazioni della secrezione di questi ormoni siano probabile causa di molte patologie (obesità, diabete, malattie cardiovascolari ed altro) ne sappiamo ancora molto poco. Ma sono loro che guidano il senso di sazietà e le interazioni fra cibo e cervello. Chiaro, dunque, che la somministrazione di alte dosi di analoghi di questi ormoni, oltre a ridurre l’appetito, possa modificare anche il senso di dolce o salato. Peraltro, non necessariamente nella stessa direzione in tutti, perché dipende, appunto, dall’interazione con gli altri ormoni prodotti dall’intestino”.

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