Ricoveri giù del 25% se nel microbioma intestinale aumentano alcuni batteri
Che cosa c’entra il microbiota con i ricoveri ospedalieri? C’entra eccome, e lo ha dimostrato uno studio olandese che ha indagato su due grandi gruppi di pazienti in Europa trovando che ad ogni aumento del 10% dei batteri che producono buttirrato il rischio di ricovero ospedaliero per infezioni diminuisce tra il 14 e il 25%. Lo studio, che sarà presentato al congresso di aprile di Eccmid (European Congress of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) a Barcellona è stato condotto da Robert Kullberg e dai colleghi dell’Amsterdam University Medical Center.
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Due grandi studi
Anche se la relazione tra squilibrio del microbiota e aumento di infezioni severe non è chiaro, in questo studio gli autori hanno invece investigato la relazione tra microbiota basale e rischio di futuri ricoveri per infezioni in due grandi studi di popolazione, il danese Helius e il finnico Finrisk 2002.
Il microbiota intestinale è stato caratterizzato sequenziando il DNA dei batteri per identificare i diversi tipo di batteri presenti nelle feci dei partecipanti. Gli autori hanno poi misurato la composizione del microbiota, la diversità e la quantità di batteri che producono butirrato e hanno utilizzato modelli statistici per tener conto di altre variabili come lo stile di vita, l’esposizione ad antibiotici, altre malattie.
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Un microbiota “nuovo” prima dei trapianti
“Una buona composizione del microbiota intestinale – spiegano gli autori – in particolar modo una colonizzazione specifica con batteri che producono butirrato, è associata a una protezione contro l’ospedalizzazione per malattie infettive nella popolazione generale, secondo due coorti europee indipendenti. E adesso altri studi valuteranno se la modulazione del microbioma può ridurre il rischio di infezioni severe”. Serviranno altre analisi, prima di cominciare gli studi sui pazienti. Una delle sfide è che i batteri che producono butirrato sono anaerobi, ovvero non utilizzano ossigeno per vivere e anzi non lo tollerano. Cosa che rende molto difficile trasportare batteri vitali nell’intestino. Molti gruppi di ricerca stanno lavorando per affrontare queste sfide.
La ricerca italiana
E uno, quello Italiano della Cattolica, ha pubblicato qualche anno fa su Annals of Internal Medicine uno studio che va nella stessa direzione di quello olandese. “Circa cinque anni fa abbiamo dimostrato – racconta Gianluca Ianiro, ricercatore di Malattie dell’Apparato digerente alla Cattolica di Roma – che un trapianto fecale in cui metti flora sana con molti batteri che producono butirrato riduce il rischio di setticemia e morte in pazienti con Clostridium difficile. Questo perché il butirrato è un acido grasso a catena corta che è utile per la riparazione cellulare e protegge la barriera intestinale”.
I batteri che producono butirrato sono stimolati dall’inulina. “ma non avrebbe senso pensare di dare a tutti l’inulina. Il microbioma deve avere una diversità adeguata di batteri, nel senso di varietà, e deve esserci un equilibrio tra le specie di gruppi microbici, con una buona presenza di batteri antinfiammatori e bassa presenza dei proinfiammatori “.
Dieta come modulatore del microbioma
La dieta è un ottimo modulatore del microbioma alla lunga, anche se poi hanno un peso altri elementi, come l’allattamento al seno, terapie antibiotiche, interventi al colon. “Una dieta adeguata contribuisce alla salute del microbiota – conclude Ianiro – quindi fibre prebiotiche come Kefir o yogurt, verdure, in particolare asparagi e cicoria, verdure ricche di inulina, ed evitare alcune diete come la no fodmap, indicate per alcune patologie intestinali, che però hanno un livello troppo basso di fibre”.
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