Sclerosi multipla, la disabilità si vince a partire dalla diagnosi

Per anni si è pensato alla sclerosi multipla come a una malattia in due fasi: prima l’infiammazione, evidenziata dalle ricadute, poi la degenerazione, che portava a una progressiva disabilità. La ricerca negli ultimi anni ha dimostrato che questo modello è superato e che la progressione della disabilità inizia fin dall’esordio della malattia, in modo silenzioso. Si tratta di ripensare tutto l’impianto di diagnosi e cura di questa malattia: dalla classificazione dei tipi di malattia al disegno degli studi, dagli schemi terapeutici alle politiche sanitarie, per agire con efficacia e impedire al maggior numero di persone con Sm di sviluppare disabilità. Un dibattito che trasversalmente ha interessato diverse sessioni del congresso Ectrims, il più importante evento scientifico dedicato alla sclerosi multipla, in corso a Barcellona.

Una metafora efficace per descrivere quello che succede nella Sm è quella del “vulcano nascosto”: le ricadute sono le eruzioni visibili, ma sotto la superficie c’è un’attività degenerativa costante e insidiosa. “Ad aprirci gli occhi, paradossalmente, è stata proprio l’efficacia dei nuovi farmaci, che hanno diminuito – se non azzerato – le ricadute e hanno quindi rivelato un meccanismo silenzioso che porta alla progressione della malattia, anche in assenza di ricadute”, spiega Massimo Filippi, direttore dell’Unità di Neurologia, del servizio di Neurofisiologia e dell’Unità di Neuroriabilitazione dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

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Superare la barriera

I farmaci ad alta efficacia negli ultimi anni hanno davvero cambiato il volto della malattia: l’azione degli anticorpi monoclonali, come ocrelizumab, ofatumumab, e ublituximab, ha permesso di azzerare il “rumore” provocato dalle ricadute. Si tratta però di molecole di grandi dimensioni che non riescono a superare la barriera che protegge il cervello, dove quindi l’attività degenerativa può andare avanti. “Oggi però si stanno studiando delle piccole molecole, in grado di attraversare questa barriera e colpire i meccanismi della progressione dall’interno. Tra queste, gli inibitori della tirosin-chinasi di Bruton (Btk) sono particolarmente promettenti”, spiega ancora Filippi.

Un esempio concreto è tolebrutinib. Anche se negli studi clinici non ha dimostrato di ridurre significativamente le ricadute – che ormai sono sempre più rare nei pazienti trattati precocemente con gli anticorpi monoclonali – ha dimostrato invece di ridurre del 30% l’accumulo di disabilità a sei mesi. “Un risultato consistente perché l’effetto quasi identico è stato osservato su migliaia di pazienti in studi diversi, confermando che il farmaco stava agendo su un meccanismo biologico fondamentale e comune a tutte le forme della malattia”, sottolinea il neurologo.

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Il futuro è nella combinazione di più strategie

Se quindi sono due i meccanismi che portano avanti da subito la malattia , due dovranno essere i fronti su cui contemporaneamente la si combatte. Un cambio di paradigma dal momento che finora la terapia della Sm è sempre stata gestita con la somministrazione di un solo farmacoalla volta. Perché questo accada sarà necessario adottare sistemi di analisi e monitoraggio dell’attività degenerativa nascosta – per esempio una valutazione dello stato di attivazione della microglia, cellule che nel cervello svolgono un ruolo cruciale sia nei processi di danneggiamento sia in quelli di riparazione – e andare oltre l’uso della scala ora utilizzata per stabilire la disabilità (Edss), anche ascoltando meglio le persone con Sm che spesso descrivono un aumento di difficoltà cognitive, motorie, fisiologiche in assenza di un incremento di disabilità rilevabile dai test.

“Non si tratta solo di gestire i sintomi, ma di prevenire il danno. Proprio come si tratta l’ipertensione per evitare l’infarto, nella Sm bisogna agire subito per bloccare la degenerazione prima che comprometta in modo permanente la qualità della vita”, commenta Filippi.

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Il costo della disabilità

Ogni euro investito nella prevenzione è un euro risparmiato in assistenza, perdita di produttività e costi sociali. Che nel caso della Sm sono ingenti: si tratta di una malattia che si sviluppa fra i 20 e i 40 anni e che quindi colpisce persone giovani, nel pieno della vita lavorativa e familiare. Il report “Measuring what matters” di Economist Impact, realizzato con il contributo di Sanofi, dimostra come i costi legati alla Sm aumentino esponenzialmente con l’avanzare della disabilità: in media si passa dagli oltre 36mila dollari nel caso di una persona con disabilità lieve a oltre 80mila per una con disabilità grave.

L’evoluzione della malattia trasforma radicalmente la distribuzione dei costi: mentre nelle fasi iniziali dominano le spese sanitarie dirette (farmaci, ricoveri), nelle forme più gravi pesano soprattutto i costi indiretti: perdita di produttività, assistenza informale da parte dei caregiver, esclusione dal mondo del lavoro. Insomma, se è vero che i nuovi farmaci – quelli già disponibili e quelli che verranno – danno più vita alle persone con Sm, clinici e pazienti si interrogano su come agire in modo che questa vita sia pienamente di qualità, con il minor grado possibile di disabilità.

Ripensare le politiche sanitarie

L’approccio alla Sm dovrebbe quindi ricalcare quello, ormai consolidato, adottato per le grandi patologie croniche: non si attende l’infarto per trattare l’ipertensione, né la dialisi per intervenire sul diabete. Si agisce precocemente per prevenire il danno d’organo. Allo stesso modo, nella Sm si dovrebbe prevenire il danno neurologico prima che si traduca in disabilità irreversibile. “Oggi abbiamo tutti gli strumenti per poterlo fare: dei nuovi criteri diagnostici che ci permettono di anticipare la scoperta della malattia e farmaci ad alta efficacia che dovrebbero essere dati fin dall’inizio”, conclude Mario Alberto Battaglia, presidente della Fondazione di Aism (Fism). “Investire in diagnosi precoci e terapie personalizzate e altamente efficaci fin da subito non è solo un dovere etico verso i pazienti. È, soprattutto, una scelta economicamente lungimirante. Prevenire la disabilità significa evitare i costi sociali e sanitari esponenziali che essa comporta, trasformando una spesa immediata in un investimento sul futuro benessere dei singoli e della collettività”.

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