Se preferite starvene per fatti vostri ma non rifiutate l’altro, potreste essere “otroversi”
Nel celebre film ‘Ecce Bombo’ Nanni Moretti chiedeva: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”. Parole di un outsider. Chissà se lo psichiatra statunitense Rami Kaminski definirebbe questo comportamento da persona ‘otroversa’, termine da lui creato per una categoria di individui a metà tra introversi ed estroversi.
Sono fuori dal gruppo e preferiscono i contatti individuali. Nelle feste non trascinano mai gli altri e restano isolati. Hanno un pensiero anticonformista. Caratteristiche del protagonista di ‘Ecce Bombo’ che aveva anche però tanta voglia di farsi notare.
“Otrovert”, otroverso in italiano, è un neologismo coniato da Kaminski nel libro ‘Né introversi né estroversi’ (Corbaccio editore), per indicare chi non guarda né dentro a sé stesso (come l’introverso), né fuori da sé stesso (come l’estroverso), ma piuttosto in un’altra direzione (otro in spagnolo significa altro) rispetto al resto del mondo.
Professor Kaminski come si comportano gli otroversi?
“Negli otroversi esiste un persistente senso di estraneità interiore. A differenza degli individui che rientrano nel tradizionale spettro introversi/estroversi, le cui motivazioni e comportamenti sono spesso influenzati dalle relazioni con gli altri e con il gruppo, il senso di diversità degli otroversi è un’esperienza puramente interiore. Mentre introversi ed estroversi possono modificare le proprie azioni per cercare la solitudine o l’interazione sociale, gli otroversi si distinguono perché non hanno una connessione naturale con i gruppi. Di solito questo tratto non emerge dal loro comportamento. Infatti, invece di sfidare o evitare le attività che richiedono una socialità, gli otroversi spesso si impegnano in quella che può essere descritta come una “ribellione mite”. Questa ribellione non si manifesta attraverso azioni visibili o anticonformismo sociale. È uno stato interiore. Gli otroversi si sentono costantemente degli outsider, ma questa sensazione non si traduce necessariamente in azioni che non emergono nella socialità. Potrebbero partecipare a eventi di gruppo o interagire con gli altri senza attirare l’attenzione. Il loro è un senso di non appartenenza, che è un aspetto fondamentale della loro personalità. Non è una reazione a uno specifico contesto sociale o un atto di resistenza. La differenza per gli otroversi è vissuta interiormente, plasmando la propria percezione di sé e la comprensione del proprio posto nel mondo, senza voler influenzare il loro comportamento sociale esterno”.
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C’è una differenza tra le persone otroverse e quelle con disturbi dell’umore o disturbo ossessivo-compulsivo?
“L’otroversione è un tratto della personalità, non un disturbo psichiatrico. Non ci sono sintomi da trattare o qualcosa da cambiare. La sfida psicologica per gli otroversi è la pressione ad adattarsi. Spesso, l’otroverso si chiede perché non possa essere come tutti gli altri. Cerca di imitarli. Detto questo, gli otroversi possono avere disturbi psichiatrici come chiunque altro”.
Esistono forme diverse di ostroversione?
“L’otroversione presenta due aspetti: il primo è il non appartenere a un gruppo. Ma questo può essere piuttosto impegnativo. Le diverse forme di otroversione sono secondarie alla non appartenenza e sono legate alle circostanze personali di ciascuno. Nato in una setta, in una comune o in qualsiasi gruppo che anteponga la collettività all’individuo, un otroverso può avere una vita molto difficile. Un’educazione più permissiva rende la vita meno conflittuale”.
Lei scrive che il mondo premia il conformismo e che ci adattiamo per conformarci. Quindi, all’inizio, siamo tutti ostroversi?
“Penso proprio di sì. Quando nasciamo, non abbiamo alcun contesto comunitario. Un neonato non sa cosa è una religione, la nazionalità, l’etnia, non ha consapevolezza di convenzioni sociali astratte, come il potere, o lo status. Non sa che esiste un “mio gruppo” e un “altro gruppo”. E soprattutto non prova odio. Deve impararlo. All’età di tre anni, iniziamo l’addestramento permanente ad andare d’accordo con gli altri. Questo è, ovviamente, molto importante per noi come animali sociali. Ma subiamo anche un condizionamento culturale che ci insegna che apparteniamo a un certo gruppo, che di solito è la nostra famiglia e la comunità locale. Ci viene insegnato di favorire il nostro gruppo rispetto agli altri. Passiamo tutti dalla non appartenenza all’appartenenza attraverso questo processo, tranne gli otroversi. Rimangono indipendenti, privi di un condizionamento sociale. Non adottano idee comunitarie come la religione, la nazionalità o l’appartenenza a un gruppo politico”
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Come sopravvivono gli otroversi all’adolescenza?
“La tensione tra il desiderio di appartenenza che provano gli adolescenti otroversi e il forte senso di alterità, di non far parte di nulla, è fonte di sentimenti di inadeguatezza e auto-recriminazione. L’adolescente otroverso non viene rifiutato, anzi. E così, finisce per incolparsi di essere “strano”. Dipende dalle circostanze personali. Maggiore è la coercizione all’appartenenza, più pesante è il carico emotivo”.
Quali sono le difficoltà in campo sentimentale?
“Gli otroversi se la cavano bene nelle relazioni individuali. In assenza del rumore di fondo del gruppo, possono dedicare molta attenzione a una relazione. Non hanno bisogno di scegliere fra il tempo trascorso con il partner e quello con gli amici. Ma è bene scegliere un partner che non ami la socialità e le feste”.
Quali sono i problemi al lavoro?
“Gli otroversi tendono ad essere solitari e amano lavorare in autonomia. Il lavoro di squadra o la necessità di partecipare a conferenze o riunioni sono fonti di distrazione e improduttività per gli otroversi. Essere naturalmente pensatori “fuori dagli schemi” e non aver bisogno del consenso per decidere, li rende molto bravi in determinate attività in cui queste caratteristiche premiano. Un ambiente di lavoro sbagliato può essere intollerabile per loro”.
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Hanno una vita interiore più ricca?
“Non esiste un parametro universale, ma è chiaro che gli otroversi possiedono un mondo interiore unico, plasmato dalla loro indipendenza. Le loro esperienze personali sono indipendenti dalle aspettative altrui e per questo la loro vita interiore è libera dal bisogno di approvazione da parte degli altri. Gli otroversi si sentono a loro agio quando sono soli con i propri pensieri, liberi dalle pressioni di cercare approvazione, competere o convincere gli altri dei propri punti di vista. L’assenza di queste richieste sociali consente una comprensione più chiara dei propri sentimenti”.
Soffrono di solitudine?
“A volte sì, ma, a differenza degli individui che vivono in comunità, per i quali la solitudine può essere un’esperienza angosciante, gli otroversi percepiscono l’essere soli in un modo diverso. Sono più consapevoli dell’illusione di un destino condiviso e da un punto di vista emotivo sono autosufficienti”.
Che tipo di vita sociale possono avere?
“Sono generalmente molto amichevoli e mantengono un’ampia cerchia di conoscenze. Tendono ad avere solo pochi amici intimi con cui condividono legami profondi”.
Nel mondo dominato dalla tecnologia, dove le relazioni sono virtuali, è più facile essere ostroversi?
“Penso che sia facile andare controcorrente nel mondo virtuale. Ricordate l’investimento che si doveva fare nel mantenimento dell’amicizia? Ma questo non allevia la paura di non essere rilevanti che la maggior parte delle persone prova. I gruppi virtuali alimentano una dipendenza simile a quella del mondo reale. La crescente solitudine e disperazione, in un contesto di facilità di connessione senza precedenti, suggerisce che, in definitiva, la qualità della connessione è più importante della quantità. Da questo punto di vista, il mondo virtuale è perfetto per gli otroversi. È più facile isolarsi. È più facile cercare su Google che andare in biblioteca. Si possono controllare meglio i contatti con gli altri. Non si soffre della paura di perdersi qualcosa su Instagram. È la prima volta che si può far sentire la propria voce nella discussione senza urlare o competere per l’attenzione, due cose molto difficili per gli otroversi. Il mondo virtuale offre più opportunità a chi si trova sul lato opposto del ‘pensiero di gruppo’”.
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