Sla, scoperto il ruolo di una proteina legata alla perdita di peso

Una proteina già nota per ridurre l’appetito, legata all’eccessiva perdita di peso in diverse malattie, potrebbe diventare un “bersaglio” per nuove terapie contro la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Si tratta della citochina Gdf15 e la scoperta si deve a un gruppo di ricercatori tra l’Italia e i Paesi Bassi, coordinati da Cristina Limatola del Dipartimento di Fisiologia e farmacologia Vittorio Erspamer dell’Università Sapienza di Roma. Lo studio, pubblicato su Brain Behavior and Immunity, ha infatti dimostrato che GDF15 è coinvolta nelle disfunzioni metaboliche che caratterizzano la progressione della Sla, e potrebbe diventare anche un biomarcatore utile per anticipare la diagnosi.

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Cos’è la Sla e chi colpisce

La Sla è una malattia rara caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni deputati al movimento che porta alla progressiva paralisi dei muscoli volontari e alla compromissione della deglutizione e della respirazione. Si stima che in Italia vivano circa 6 mila persone colpite dalla malattia: si manifesta il più delle volte intorno ai 60 anni, più negli uomini che nelle donne, e ha una sopravvivenza che in media non supera i 5 anni dalla diagnosi, nonostante i trattamenti. Non esiste a oggi, infatti, una cura per questa malattia.

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La Sla è multifattoriale ma le cause non sono ancora chiare. Solo in una minoranza di casi, circa il 5%, vi è una causa genetica ereditaria alla base e, nelle famiglie in cui è presente, la patologia tende a manifestarsi prima. In generale, però, arrivare alla diagnosi può richiedere molti mesi: questo perché non vi è un unico esame strumentale o di laboratorio che permetta di stabilirla con certezza. Tra gli obiettivi di chi fa ricerca sulla Sla, quindi, vi è anche quello di trovare nuovi biomarcatori che permettano di anticiparla.

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La perdita di peso nella Sla e il ruolo di Gdf15

E qui arriviamo al nuovo studio. Tra le caratteristiche cliniche che accompagnano la malattia, infatti, vi anche la perdita di peso, che si manifesta in oltre la metà delle persone con Sla (56-62%, con il 18-47% dei pazienti che soffre di anoressia) e che è considerata un fattore prognostico importante e indipendente. Come ricordano Limatola e colleghi, il decorso della malattia è più sfavorevole quando i pazienti perdono peso rapidamente, o hanno un indice di massa corporea basso al momento della diagnosi. Gli studiosi sono quindi partiti dal cercare di comprendere i meccanismi responsabili della perdita di peso precoce, scoprendo che la proteina Gdf15 è molto espressa nel sangue periferico e nei campioni di tessuto – a livello della corteccia cerebrale motoria, nel midollo spinale e nel tronco encefalico – delle persone con Sla e nei modelli murini della malattia.

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Il recettore di Gdf15 nei neuroni

Lo studio si è poi focalizzato sul recettore della proteina, Gfral, presente nei neuroni di una regione specifica del sistema nervoso centrale (l’area postrema e il nucleo del tratto solitario): silenziando l’espressione del Gfral solo in queste regioni in topi con la malattia, hanno osservato un rallentamento della perdita di peso e del tessuto adiposo, un miglioramento della funzione motoria e una maggiore sopravvivenza.

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I risultati dello studio

I risultati hanno così svelato il coinvolgimento dell’asse Gdf15-Gfral, che conferma l’importanza dell’aspetto nutrizionale e dei cambiamenti metabolici nella Sla, e che potrebbe diventare un nuovo target per future terapie. “Questo studio contribuisce ad aumentare la nostra comprensione dei meccanismi alla base della sclerosi laterale amiotrofica – commenta Limatola – Sappiamo infatti che la SLA non è più definibile come una patologia del motoneurone: sono già state descritte numerose alterazioni a carico della componente gliale e del sistema immunitario prima che si manifestino sintomi nei pazienti e prima che sia misurabile un danno neurodegenerativo. La nostra scoperta – conclude – conferma l’importanza di un approccio olistico per una diagnosi precoce della malattia e per l’identificazione di nuovi bersagli terapeutici”.

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