Troppe Tac aumentano il rischio cancro (del 5%, come l’obesità)
Secondo uno studio pubblicato su Jama Internal Medicine, gli esami di tomografia computerizzata (quelli che un tempo venivano chiamati Tac, oggi Tc) potrebbero essere co-responsabili di circa il 5% dei nuovi tumori registrati ogni anno negli Usa, a causa dei raggi X utilizzati. Il che porrebbe questa metodologia diagnostica, sebbene indispensabile, alla stregua di altri fattori di rischio per il cancro. Più o meno paragonabile all’impatto stimato per il sovrappeso, per citarne uno.
Nel 2023 negli Usa 93 milioni di Tc
Lo studio porta la prima firma di Rebecca Smith-Bindman del dipartimento di Epidemiologia e Biostatistica dell’Università della California di San Francisco. Partendo dal numero delle tomografie eseguite nel 2023 negli Usa – circa 93 milioni su circa 62 milioni di pazienti – e utilizzando uno dei modelli predittivi del rischio disponibili, i ricercatori stimano che questi esami potrebbero portare allo sviluppo di 103 mila tumori nel corso della vita di quei pazienti. Se si considera che nel 2024 sono attesi oltre 2 milioni di nuovi casi, questo numero corrisponde, appunto, al 5%: tale sarebbe l’impatto – sostengono gli autori – se le Tc continuassero ad essere utilizzate come lo sono ora.
La preoccupazione è per il grande ricorso a questa metodica osservato oltreoceano: le Tc sono aumentate sensibilmente dal 2007 a oggi, e cresciute del 30% solo nell’ultimo decennio, spiegano gli autori.
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L’importanza di contestualizzare i dati
“Il messaggio rischia di essere allarmistico per chi non è un professionista del settore, quindi è importante comprendere bene cosa significano questi dati, soprattutto contestualizzarli rispetto ai vantaggi che si possono avere da un esame che permette di salvare vite, se effettuato quando serve”, commenta a Salute Andrea Magistrelli, presidente della Sezione di studio di Radioprotezione della Sirm (Società italiana di radiologia medica e interventistica). Che le radiazioni siano cancerogene è ben noto, ma quello che si dibatte da tempo è l’entità degli effetti delle dosi utilizzate negli esami diagnostici, come la Tc e le radiografie. “È bene ricordare che questi effetti non sono misurabili direttamente sull’individuo e che, mentre il beneficio è certo, il rischio per il singolo è molto limitato – riprende l’esperto – Il nuovo studio si aggiunge ai molti già condotti. Non esiste un modello unico di stima del rischio, e quello usato in questa analisi (BEIR VII, ndr.) è il più allarmistico, porta cioè a numeri di possibili future neoplasie più alti rispetto all’algoritmo più utilizzato, che è quello dell’International Commission on Radiological Protection (ICRP), l’ente no profit che si occupa di radioprotezione dal 1928, e sul quale si basano le linee guida a livello mondiale. In generale, comunque, parliamo di stime sempre molto approssimative e con dei bias (fattori confondenti, ndr) importanti”.
L’attenzione è già alta
Altri studi epidemiologici pubblicati negli ultimi anni mostrano sì un impatto in termini di neoplasie correlate, ma di molto inferiore a queste proiezioni. Per esempio, nel 2023, uno studio su Nature Medicine condotto da epidemiologici di fama internazionale aveva stimato che, per ogni 10 mila Tac pediatriche al cranio eseguite, una potrebbe portare allo sviluppo di leucemia o linfoma. “Il messaggio che è importante passare – dice Magistrelli – è che su questo tema c’è già molta attenzione da parte di tutti”.
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I limiti dello studio
Come riportano gli stessi autori, l’analisi presenta numerose limitazioni, prima tra tutte il fatto che il modello predittivo utilizzato si basa sui dati di persone esposte ad alte dosi, come i sopravvissuti ai bombardamenti nucleari di Hiroshima e Nagasaki o i minatori esposti all’uranio, e restano dubbi sul fatto che i parametri possano essere applicati ai rischi da radiazioni delle Ct nell’attuale popolazione statunitense. Inoltre, non si tiene conto dei motivi per cui l’esame viene eseguito, che potrebbe essere un sospetto tumore già in partenza. L’analisi ha comunque considerato diversi aspetti, come l’età e il sesso dei pazienti, l’area irradiata e le dosi di raggi X impiegate. Come è noto, il rischio di cancro indotto dalle radiazioni è maggiore nei bambini e negli adolescenti, che sono più sensibili, ma la quota di esami (circa il 90%) e, quindi, di possibili tumori correlati attesi sarebbe assai più alta negli adulti.
L’impatto secondo le proiezioni
Non tutte le Ct comportano lo stesso rischio e quelle all’addome e alla zona pelvica sono le più numerose, secondo le nuove proiezioni. Per quanto riguarda la popolazione infantile, in particolare sotto l’anno di età, sono invece le Tc al cranio ad attirare l’attenzione degli autori. I tumori correlati alle radiazioni da Ct più frequenti potrebbero quindi interessare i polmoni, il colon, la vescica, il seno (nelle donne) e il sangue (in particolare, leucemia, nei bambini e negli adolescenti).
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Come si riducono i rischi dell’esposizione?
Al di là delle stime, quali sono le azioni messe in atto per mitigare i rischi legati alle radiazioni? “La prima è proprio l’appropriatezza della prescrizione dell’esame, che va fatto solo quando è necessario – risponde Magistrelli – Il medico radiologo ha proprio il compito di stabilire quando l’esposizione alla radiazione è considerata giustificata. Pensiamo, per esempio, a un bambino che potrebbe avere un’emorragia a seguito di un trauma cranico. Le apparecchiature più recenti, inoltre, consentono di adattare le dosi di radiazioni in modo più preciso. Grazie al Pnrr, oggi abbiamo un buon parco macchine su tutto il territorio. C’è poi la figura dello specialista in fisica medica, che verifica il corretto funzionamento delle apparecchiature e che le dosi siano sempre entro i limiti stabiliti dalla legge”.
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A quali dosi di radiazioni espone una Tc?
Parliamo, in ogni caso, di dosi di radiazioni basse o bassissime. Mediamente una tac del cranio oscilla tra gli 1 e i 5 milliSievert, quella del torace o addome tra i 5 e i 10, e una Total Body tra i 10 e i 15. Per i lavoratori esposti, tra cui i medici radiologi, la dose annuale considerata tollerabile è di 20 milliSievert/anno. Per confronto, la radiazione che in anno riceviamo dalla terra si attesta intorno ai 3,5 milliSievert, mentre un volo intercontinentale equivale a circa 4-5 radiografie del torace. “Ma è chiaro a tutti il vantaggio di prendere l’aereo rispetto fare lo stesso viaggio in macchina, non solo in termini di tempo ma anche di pericolo di incidenti. Certamente, invece, non ha senso fare una tac total body come esame di routine a puro scopo preventivo e in assenza di sintomi, come andava di moda qualche anno fa negli Usa”, sottolinea Magistrelli.
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Tante variabili incidono sul rischio
Altri concetti da tenere a mente sono che la popolazione non è l’individuo, e il cancro è una malattia multifattoriale: la stessa dose su 10 individui diversi avrà un effetto diverso, perché ci sono tantissime variabili che possono incidere, tra cui la capacità dell’organismo di autoriparare i danni da radiazioni. Sicuramente è importante porre molta attenzione sulle dosi cumulative, per esempio per gli esami di follow up per le recidive dei tumori. Bisogna sempre fare una valutazione attenta tra rischi e benefici potenziali.
Non rinunciare a un esame necessario
Insomma, dice Magistrelli, per la comunità scientifica questo studio cambia poco il quadro generale. Ha il merito di tenere alta l’attenzione mediatica dei professionisti di area radiologica sul problema del contenimento della dose, ma di contro potrebbe portare i pazienti a rifiutare indagini necessarie, e questo sarebbe un danno enorme: “Lavoriamo quotidianamente per eseguire esami più accurati e contenere quanto più possibile le dosi, ma rinunciare a un esame utile per paura delle radiazioni può avere conseguenze devastanti. Chiunque avesse dubbi può contattare il proprio medico curante o le società scientifiche di settore come la Sirm o l’Associazione Italiana di Fisica Medica (Aifm)”. Vale il parallelismo con le automobili, conclude: “Il fatto che possano avvenire degli incidenti non ci pone il dubbio se prendere o meno la macchina. Quello che possiamo fare è migliorare sempre più il codice della strada”.
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