Tumore al seno, l’importanza di non sospendere la terapia

“Ne vale la pena”. “Un giorno dopo l’altro”. “Io ci sono”. “Non perdere il filo delle cure”. Quattro frasi incise dietro a un bottone. Ossia, un piccolo strumento quotidiano che maneggiamo più volte al giorno e che, come tutti sappiamo, ha la funzione di tenere unite due parti di un abito. O, come in questo caso, che deve tenere stretta simbolicamente la volontà: quella di non mollare e di continuare ad assumere la terapia per il cancro al seno, anche quando la testa vorrebbe dimenticarsene e “scucire quell’asola” che ricorda costantemente il cancro. Ci sono modi, però, di capovolgere questa visione e far sì che quell’appuntamento quotidiano – quel “bottone” – ricordi invece che la malattia la si sta superando.

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La terapia adiuvante e l’alto rischio di recidiva

È questo il senso della nuova campagna “The Life Button” di Lilly, dedicata all’aderenza alla terapia adiuvante, cioè quella che segue la chirurgia e che, nella maggior parte dei casi, oggi si assume da sole a casa, per via orale. Si tratta di uno step essenziale della cura, soprattutto nelle pazienti ad alto rischio di recidiva. “Nel tumore al seno abbiamo fatto grandissimi passi avanti e oggi, grazie alle terapie adiuvanti, riusciamo a guarire pazienti anche ad altissimo rischio di recidiva”, sottolinea Alessandra Fabi, direttore dell’unità di Medicina di Precisione in Senologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma – Eppure si stima che dal 30% al 50% delle donne con tumore al seno interrompa le cure prima del tempo o non le assuma regolarmente”.

Aderenza e persistenza: cosa significano?

È comprensibile: seguire ogni giorno la terapia per molti anni può essere sfiancante dal punto di vista psicologico. Fino a poco tempo fa si parlava solo di aderenza alla terapia. Adesso, invece, si parla anche di persistenza. Cosa significa? “È un termine introdotto negli ultimi tempi – risponde Fabi – Mentre l’aderenza è ‘on-off’, cioè o si assume il farmaco o non lo si assume, la persistenza descrive un comportamento ‘up and down’. Per esempio: c’è da fare un viaggio in aereo e non si porta con sé la terapia per evitare di dare spiegazioni ai controlli. Oppure si deve andare fuori a cena e la si salta quella sera perché può dare diarrea. Ancora, semplicemente, si dimentica perché si è troppo indaffarate”.

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I motivi per cui si smette la cura

Gli effetti collaterali e il peso emotivo sono i primi motivi della mancata aderenza o persistenza, spiega ancora l’oncologa. “Pensiamo a una donna giovane che deve assumere un trattamento anti-ormonale e improvvisamente, da un giorno all’altro, non ha più mestruazioni e va in menopausa. È ovvio che la sua vita cambia completamente, anche dal punto di vista della sessualità”. Non a caso, le donne giovani – in piena attività lavorativa e spesso con figli ancora piccoli – sono quelle per cui si registrano percentuali più alte di mancata aderenza e persistenza, come anche per chi ha un maggiore indice di massa corporea, probabilmente per il timore dell’aumento di peso.

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Servono tempo e dialogo

L’altro aspetto chiama in causa la mancanza di consapevolezza dell’importanza della terapia adiuvante. “In entrambi i casi, i clinici possono fare la differenza – riprende Fabi – Innanzitutto, l’oncologo deve lui stesso avere la consapevolezza che quel farmaco che sta prescrivendo è salvavita, e deve anticipare i possibili effetti collaterali, per mettere in atto le azioni necessarie a prevenirli o tamponarli in modo pro-attivo, invece di evitare di parlarne. Per fare questo è essenziale disporre di tutto il tempo necessario per motivare e far sentire le donne sostenute nel percorso, già durante la prima visita. Questo ci permetterebbe, in realtà, di risparmiare del tempo le volte successive. E dobbiamo farlo guardando negli occhi anche i caregiver, che spesso sono i figli, il partner o le amiche”. Secondo un’indagine condotta da Adnkronos in collaborazione con EMG Different su un campione rappresentativo della popolazione italiana, infatti, solo la metà degli italiani sa che seguire con costanza la terapia prescritta può ridurre il rischio di recidive e mortalità.

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Contrastare gli effetti avversi

Un consiglio per aiutare le pazienti ad assumere le cure con costanza è associare il momento della pillola a un’azione positiva. Oggi ci sono poi molti modi per ridurre gli effetti avversi, a partire da quelli legati alla menopausa indotta. Poiché il range di età del tumore al seno va da donne giovani a oltre 80 anni, è chiaro che il problema dell’aderenza vada affrontato in maniera differenziata, personalizzata, riflette Grazia Arpino, professore associato all’Università Federico II di Napoli: “L’efficacia di una terapia non è solo quella che emerge dagli studi clinici, ma è anche quella della vita vera, che dipende quindi dall’aderenza, e il nostro ruolo di medici non solo erogare la terapia, ma cercare di mantenere il percorso per tutta la durata necessaria. Sappiamo, per esempio, che dopo 2-3 anni dall’inizio dell’assunzione può esserci un rallentamento. Quindi, durante gli incontri, bisogna chiedere degli effetti collaterali: il fatto che non vengano riportati è un possibile segnale che la paziente non sta assumendo i farmaci”.

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Affrontare l’impatto delle cure sulla sessualità

Come anticipato, un altro fattore di non aderenza alla terapia anti-ormonale è la ricaduta sulla sessualità, che a sua volta può incidere sulla stabilità della coppia. Si parla solo adesso di questo problema per un motivo, osserva Fabi: “Perché ora, gli strumenti per affrontarla cominciano ad esserci, e l’Italia è pioniera in questo campo”. “Su questo problema – conclude Arpino – dovrebbero soffermarsi anche le istituzioni, perché alcune delle terapie che servono per mitigare l’atrofia vaginale sono a pagamento e i centri pubblici spesso non hanno la possibilità di acquistare le apparecchiature (come quelle che utilizzano i laser, ndr), perché sono considerate quasi macchinari a uso voluttuario. Serve quindi un cambiamento culturale e sociale, che poi diventa un cambiamento politico che si riflette immediatamente sulla qualità di vita delle pazienti e sulla possibilità di sopravvivenza”.

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La campagna “The Life Botton”

“Il bottone che ti lega alla vita” – prodotto dalle sorelle Chiara e Serena Bonfanti, della storica azienda torinese produttrice di bottoni dei Fratelli Bonfanti – sarà distribuito nei centri oncologici che aderiranno alla campagna, che vede il patrocinio delle associazioni Europa Donna Italia, Fondazione IncontraDonna e Salute Donna. Inoltre, sul sito www.thelifebutton.it, è possibile trovare informazioni e un video emozionale, con l’obiettivo di aumentare sempre più la consapevolezza di pazienti e caregiver.

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