Tumore al seno, problemi finanziari per 4 donne su 10

Ammalarsi costa sempre di più. Quanto? Nel caso del tumore al seno, la spesa media annua è di 1.665 euro, metà dei quali vanno per farmaci e visite specialistiche private. Due donne su 10 devono far ricorso ai risparmi e una su 10 deve rinunciare a beni essenziali, compreso il cibo. A fare i conti è stato il Crea Sanità (Centro per la Ricerca Economica Applicata alla Sanità), che ha svolto un’indagine commissionata dall’Associazione Nazionale Donne Operate al Seno (Andos). Il primo rapporto Andos-Crea Sanità “Effetti collaterali del cancro alla mammella” è stato presentato oggi.

Dalla ricerca – che ha riguardato quasi 600 pazienti con tumore del seno – emerge che oltre il 70% sostiene spese private durante il percorso di cura, e che il 38% è colpita dalla cosiddetta tossicità finanziaria: il 32% rinuncia alle vacanze, a mangiare fuori e ad altre attività “extra”, mentre il 10,3% deve fare a meno persino dei beni essenziali. Il fenomeno è maggiormente presente al Centro-Sud e nelle isole, e riguarda soprattutto le donne giovani con una diagnosi recente.

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“La quota delle pazienti che hanno sostenuto spese private aumenta in relazione al livello di istruzione – spiega Federico Spandonaro, Professore aggregato all’Università di Roma Tor Vergata e presidente del comitato scientifico di Crea Sanità – La spesa media annua è massima nel Sud e Isole, pari a 4.129,7 euro, e minima nel Nord-Est, con 614 euro, e raggiunge il livello più elevato – 3.505,2 euro – nelle pazienti tra 41 e 50 anni”. Nello specifico, i farmaci assorbono il 40,8% della spesa privata (con un onere medio annuo di 502,8 euro), seguono con il 14,7% le visite specialistiche (181,6 euro), i trattamenti di fisioterapia e riabilitazione, che incidono per il 10,5% (129,1 euro) e gli esami diagnostici che assorbono il 7,6% (93,6 euro). Il 5,7% è attribuibile al pagamento di presidi medici e protesici (70,3 euro), mentre pesano meno i servizi di assistenza domiciliare a pagamento (0,2%, cioè 1,9 euro). Si registrano, inoltre, altre spese correlate alla patologia, quali cure dentistiche, visite oculistiche e integratori (10,3%, pari a 127,1 euro).

Ancora: alcune protesi e ausili importanti rimangono economicamente a carico delle pazienti: in particolare parrucche e reggiseno post-operatorio sono stati acquistati rispettivamente dal 39,9% e dal 73,8%.Poi ci sono le spese di trasporto: il 36,4% lamenta la lontananza del centro di cura dalla residenza e il 32,1% i costi per raggiungerlo. In media, le donne percorrono 43 km per il tragitto di sola andata per recarsi nella struttura (per 2,3 volte al mese).

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Di polizze assicurative e discriminazioni

“Sebbene la quasi totalità delle pazienti sia esente dalle compartecipazioni, circa il 15% ha ritenuto opportuno dotarsi di copertura aggiuntiva mediante polizze assicurative – prosegue Spandonaro – La condizione di paziente genera, però, varie forme di discriminazione: ad una quota rilevante di donne, pari al 17,6%, non è stata concessa copertura assicurativa e il 12,5% ha riferito di avere subito una limitazione o un diniego totale per l’accesso al credito, per esempio per il mutuo per l’acquisto della casa”.

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Aspetti negativi e positivi del sistema

Per indagare la tossicità finanziaria, è stato utilizzato il questionario Proffit, composto da 16 affermazioni sui cui le pazienti sono state chiamate a esprimere o meno il loro assenso: 9 riguardano le cause delle difficoltà economiche e 7 ne misurano le conseguenze: “Come abbiamo visto, la tossicità finanziaria interessa quasi 4 donne con carcinoma mammario su 10 – commenta Francesco Perrone, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) – Il 32,6% ritiene che le possibilità di cura siano legate alla propria condizione economica, timore che non dovrebbe avere spazio in un sistema universalistico che offre assistenza indipendentemente dal reddito. Il 52,5% però afferma che il Servizio Sanitario Nazionale non copre tutti i costi associati alla malattia. Vanno comunque evidenziati anche alcuni aspetti positivi: quasi l’80% afferma che il personale sanitario ha agevolato il percorso di cura e l’86,3% riesce ad effettuare gli esami di follow-up nei tempi previsti”.

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L’impatto del tumore sul lavoro

Il report non poteva non tener conto dell’impatto della diagnosi sulla sfera lavorativa. Il 60,8% di coloro che hanno ricevuto la diagnosi da meno di due anni dichiara di avere un’occupazione dipendente o da libera professionista, ma il 30,6% però è preoccupata di non poter più lavorare a causa della malattia. Nell’ultimo anno le donne intervistate hanno perso in media circa 20 giornate di lavoro/studio e per 15,2 giornate hanno avuto una ridotta produttività; quasi la metà (49,7%) riceve poco o per nulla aiuto da strumenti di welfare aziendale; il 40,5% è stato costretto a ridurre le ore di lavoro; il 13% ha dovuto cambiare lavoro o percorso di studi; il 27% ha dovuto sviluppare nuove abilità. “Vi sono problemi diversi a seconda che il datore di lavoro sia pubblico o privato, che il contratto sia a tempo indeterminato o determinato, che si tratti di libera professione con iscrizione ad un ordine oppure no. Le tutele contrattuali variano molto in relazione ai diversi casi, fino ad essere pressoché assenti”, riprende Spandonaro.

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Il costo psicologico e sociale

A queste problematiche si associano le ricadute psicologiche del cancro. Che hanno anch’esse un costo non indifferente. Sono soprattutto le pazienti giovani e operate da poco ad avere i problemi psicologici più rilevanti, come sottolinea Barbara Polistena, direttore scientifico di Crea. Sanità: “Il 32,2% delle under 40 soffre molto o moltissimo la solitudine e l’isolamento, il 28,6% ha molto o moltissimo timore del giudizio degli altri e il 21,4% dichiara di avere molto o moltissimo disagio relazionale”. Circa il 43% delle under 40, infine, è condizionato nella decisione di avere figli.

L’oncologo rappresenta per oltre due terzi delle pazienti la figura di riferimento, seguono il chirurgo (7,7%) e il medico di medicina generale (5,5%). Il chirurgo è più spesso la figura di riferimento per le donne con una diagnosi più recente, invece il medico di famiglia per le più anziane che hanno ricevuto una diagnosi da più tempo. “Oltre due terzi delle donne, però, non riscontra un contatto tra il medico di riferimento e il proprio medico di famiglia. Il basso livello di interazione fra le due figure va migliorato”, sottolinea Polistena.

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Servono azioni legislative per proteggere i più fragili

“Questo report testimonia la necessità di azioni, anche legislative, volte a migliorare la qualità di vita di queste donne, in un contesto sociale che prevede sempre più situazioni familiari monogenitoriali – dice Flori Degrassi, presidente Andos – Le donne più giovani hanno spesso progettato una gravidanza o hanno figli piccoli e il cancro determina un’interruzione del futuro, intaccando anche le sfere emotiva e sessuale”. Il supporto psiconcologico è riconosciuto come fondamentale, ma solo il 51,5% del campione ha ricevuto questo tipo di aiuto: il 29,6% da parte della struttura sanitaria, mentre il 21,9% ha provveduto privatamente. “Questi dati – conclude Degrassi – rappresentano la base per individuare le donne colpite da tumore del seno a più elevata fragilità socio-economica, promuovere alleanze tra le diverse realtà associative presenti sul territorio, attivare collaborazioni con Istituzioni nazionali e locali e stimolare i decisori politici all’attuazione di iniziative legislative di sostegno nei confronti delle pazienti”.

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