Tumore del colon-retto, le nuove tecniche che migliorano la chirurgia

Dimezzare i casi di complicanze gravi legate agli interventi per il tumore del colon-retto, tra cui la necessità del sacchetto esterno per le feci, che attualmente si verifica in un paziente su 10. Un obiettivo possibile grazie a nuove tecniche di chirurgia mininvasiva e a nuove metodiche. Per esempio quella basata su una sostanza fluorescente che, grazie a uno speciale sistema ottico dedicato, mostra la vascolarizzazione dei margini di intestino da suturare per essere certi che siano abbastanza vascolarizzati da poter essere uniti. O grazie a una semplice analisi della proteina C reattiva nel sangue che permette di stimare il rischio di fistole. Oggi è noto, inoltre, che esistono anche manovre chirurgiche che possono ridurre i rischi.

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Il convegno

Alla definizione di queste tecniche hanno contribuito i 78 centri di tutta Italia che aderiscono al gruppo italiano di studio sulle fistole anastomotiche in chirurgia colorettale – iCRAL (italian ColoRectal Anastomotic Leakage study group), fondato da Marco Catarci, Direttore della Chirurgia Generale all’Ospedale Sandro Pertini di Roma. E proprio delle novità nella chirurgia del tumore del colon-retto si parlerà il prossimo 19 marzo nel corso del convegno nazionale “One day in Cremona with Marco Catarci” presso l’Ospedale di Cremona, promosso da RicerChiAmo Onlus e Medtronic, dove l’esperto terrà una lettura magistrale. Al convegno parteciperanno anche oncologi, gastroenterologi, infermieri e medici di famiglia, con una sessione di “live surgery”, in diretta dalla sala operatoria.

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Le complicanze degli interventi

La mancata cicatrizzazione delle suture porta alla comparsa di fistole, la cui causa è anche la cattiva perfusione dei tessuti, e spesso obbligano il paziente a subire un secondo intervento. “Le complicanze post-operatorie gravi avvengono in circa il 10% dei casi – spiega Gian Luca Baiocchi, Co-Fondatore e Responsabile Scientifico di RicerChiAmo Onlus, Direttore della Chirurgia Generale della ASST di Cremona e Professore Ordinario di Chirurgia Generale all’Università degli Studi di Brescia -. La più importante è costituita dall’applicazione del sacchetto per le feci, che ha un impatto devastante sulla vita dei pazienti, soprattutto quando non è una misura temporanea. Possono anche esservi infezioni della ferita chirurgica e la sua riapertura, con la necessità di un secondo intervento per l’applicazione di drenaggi”.

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L’impatto è elevato anche per il sistema sanitario, perché il costo di ognuna di queste complicanze raggiunge decine di migliaia di euro: “Basti pensare che può essere necessaria la prescrizione di antibiotici che costano 1.000 euro al giorno, da assumere anche per 40 giorni, a cui si aggiungono le spese per la rianimazione, pari a 2.000 euro al giorno, oltre al secondo intervento. Il costo di un’operazione chirurgica per carcinoma del colon-retto è compreso fra 7 e 10mila euro ma, se vi sono complicanze, supera i 50mila per arrivare fino a 100mila euro”. A queste cifre si sommano poi quelle indirette, come la perdita di capacità lavorativa.  

La tecnica della fluorescenza

I centri iCral ricorrono da tempo alla tecnica della fluorescenza, che è risultato essere l’approccio più importante, come dimostra uno studio pubblicato sul BMC Surgery. In Italia, l’Università di Brescia e l’ASST di Cremona sono stati i centri pilota nel suo utilizzo, con l’istituzione, nel 2021, della Scuola Permanente di Chirurgia Guidata dalla Fluorescenza www.icg-school.com. “Il tracciante fluorescente, verde di indocianina, viene iniettato per via endovenosa in tempo reale durante l’intervento ed entra in circolo nel sangue del paziente in pochissimo tempo  – approfondisce il chirurgo – Il tessuto intestinale diventa fluorescente, evidenziando i segmenti in cui la perfusione di sangue è migliore. Utilizziamo un microscopio speciale con una affidabilità che l’occhio umano non riesce a raggiungere”.

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L’importanza della proteina C reattiva

Meno complicanze si traducono in una migliore qualità di vita dei pazienti, in una minore durata dell’ospedalizzazione e in più rapidi recuperi post-operatori. “In 5 anni, iCral ha analizzato dati di oltre 10.000 interventi da 78 centri del nostro Paese e abbiamo pubblicato oltre 15 lavori sui problemi legati alle fistole anastomotiche – aggiunge Catarci -. Oltre alla fluorescenza, un altro strumento in grado di cambiare la pratica clinica nella diagnosi precoce delle fistole è la valutazione della proteina C reattiva con un esame del sangue in giorni prestabiliti dopo l’intervento. Se questo valore resta sotto una determinata soglia, la fistola non si svilupperà e il paziente può essere dimesso. In caso contrario – conclude – dovranno essere adottati protocolli di sorveglianza per individuarla in fase iniziale. Inoltre, stiamo conducendo studi per capire se l’anemia possa facilitare lo sviluppo di fistole”.

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