Tumore del fegato, speranze dalle nuove terapie
È una malattia complicata, il tumore del fegato. Perché è silente e nella maggior parte dei casi viene scoperta solo in fase avanzata. E perché, in realtà, è una doppia malattia: c’è il cancro, da una parte, e c’è un fegato che non lavora bene, dall’altra. Ma ci sono notizie positive su diversi fronti, come hanno raccontato tre esperti di epatocarcinoma al Festival di Salute, dall’Aula Magna dell’Università di Padova.
Tumori, Aifa finanzia tre studi per capire quali sono le strategie terapeutiche migliori
La rivoluzione dell’immunoterapia
Per un decennio abbiamo avuto a disposizione un’unica terapia per i pazienti non candidabili al trapianto, alla chirurgia o all’ablazione. Poi, anche per il tumore del fegato, è arrivata l’immunoterapia, che ha rappresentato una vera e propria rivoluzione in oncologia, ha spiegato Stefano Tamberi, direttore dell’Unità Operativa dell’Oncologia di Ravenna. “Recentemente, infatti, la combinazione di due immunoterapici ha dimostrato che è possibile raddoppiare la sopravvivenza a cinque anni: non avevamo mai avuto dati di così lunga sopravvivenza, di controllo della malattia nel tempo e di regressione del tumore. Questa prospettiva – ha detto – per alcuni pazienti apre delle possibilità che prima non potevano essere nemmeno contemplate, come la resezione chirurgica o, persino, il trapianto. In un certo senso, permettono di riportare indietro il tumore”.
Il fegato sotto pressione: quando integratori e tisane non sono così innocui
Più possibilità per interventi e trapianti
Che interventi chirurgici potenzialmente radicali, che mirano cioè alla cura, oggi possano essere presi in considerazione in tutti gli stadi dell’epatocarcinoma è la prima grande novità. “La seconda novità – ha proseguito Umberto Cillo, direttore della Chirurgia Generale Epato-Bilio-Pancreatica e del Centro Trapianti di Fegato dell’Azienda ospedaliera dell’Università di Padova – è che in Italia i trapianti di fegato stanno aumentando del 10-15% l’anno e la maggiore disponibilità degli organi dà anche la possibilità di estendere le indicazioni”. Ce n’è, poi, una terza di novità e non meno significativa: riguarda l’evoluzione delle tecniche chirurgiche. Queste sono diventate talmente poco invasive – ha spiegato l’esperto – da rendere possibile operare più volte il paziente, nel momento in cui la malattia si dovesse ripresentare.
Trapianti, come aumentare il numero di organi disponibili
Ma serve un team multidisciplinare
Insomma, l’approccio al tumore del fegato in questi ultimi anni è totalmente cambiato e tutti i pazienti hanno oggi possibilità che in passato non esistevano: il loro caso, quindi, può essere valutato da un gruppo multidisciplinare, in cui deve essere sempre presente il trapiantologo e il chirurgo esperto di fegato. Non c’è più la sequenza di momenti isolati, quello del chirurgo, quello del radiologo interventista, quello dell’oncologo e quello dell’epatologo, ma si afferma la stretta collaborazione tra specialisti ed esperti nei vari settori.
Epatiti B-C-D: scoperto il gene che può bloccarle
Oggi si tratta di una realtà davvero fondamentale, ha sottolineato Massimo Iavarone, professore associato di Gastroenterologia dell’Università di Milano. “Il compito dell’epatologo è riuscire a mantenere il paziente e il suo fegato nelle migliori condizioni possibili. Questo grazie alle terapie antivirali, nel caso in cui la causa sia il virus dell’epatite C o B; oppure a cambiamenti nell’alimentazione, al controllo dei fattori di rischio legati alla sindrome metabolica, come diabete, ipertensione e obesità, e alla riduzione del consumo di alcolici, che sono attualmente tutte cause emergenti della malattia del fegato e il cui esito può portare all’insorgere del tumore”.
Condividi questo contenuto: