Tumore della vescica: la nuova terapia riduce del 32% il rischio di recidiva
Berlino – Per migliaia di pazienti con tumore della vescica non muscolo-invasivo ad alto rischio, il timore di una recidiva rappresenta una costante. Ora, però, arriva una notizia incoraggiante: i risultati dello studio di Fase III Potomac dimostrano che l’aggiunta di un anno di trattamento con durvalumab alla terapia standard con Bacillus Calmette-Guérin (BCG) ha portato ad un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da malattia (DFS). I dati, presentati nella sessione late-breaking Proffered Paper del Congresso della European Society for Medical Oncology (Esmo) a Berlino e pubblicati su The Lancet, segnano un cambio di passo dopo oltre un decennio senza reali innovazioni in questo campo.
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Il beneficio: riduzione del rischio di recidiva del 32%
A un follow-up mediano di oltre cinque anni (60,7 mesi), il trattamento con durvalumab ha mostrato una riduzione del 32% del rischio di recidiva o di morte in assenza di recidiva, rispetto al trattamento con la sola BCG. “Il trattamento standard per i pazienti con tumore della vescica non muscolo invasivo ad alto rischio – afferma Lorenzo Antonuzzo, direttore dell’Oncologia Medica Careggi, Università di Firenze – prevede l’utilizzo della terapia con BCG, dopo la resezione transuretrale della neoplasia. L’obiettivo è ridurre il rischio di recidive locali, ma si verifica ancora un’alta percentuale di ricadute, che possono portare a interventi chirurgici ripetuti e trattamenti più invasivi, compresa la rimozione della vescica, con un profondo impatto sulla qualità di vita dei pazienti”.
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Lo studio Potomac
Da qui l’esigenza di nuove opzioni di cura. Lo studio Potomac ha coinvolto oltre 1.000 pazienti naïve a BCG, in 120 centri di 12 Paesi. “I risultati di questo studio – prosegue Antonuzzo – dimostrano che l’aggiunta di durvalumab, per 12 mesi, alla terapia di induzione con BCG è in grado di ridurre il rischio di recidiva del 32%, consentendo a un maggior numero di pazienti di rimanere vivi e liberi da malattia dopo due anni. È una vera innovazione, in un setting di pazienti trattati a intento curativo, in cui non si registravano progressi da almeno un decennio. Diventa così più concreta la possibilità di guarigione anche in pazienti ad alto rischio di recidiva. Anche da un punto di vista psicologico, il termine di un anno della cura è davvero importante per le persone colpite dal tumore”.
Sopravvivenza globale: segnali incoraggianti
Sebbene lo studio non fosse progettato per valutare formalmente la sopravvivenza globale (OS), un’analisi ha mostrato che chi ha ricevuto il trattamento aveva un rischio di morte più basso del 20% rispetto agli altri. Tuttavia, questa differenza non è risultata significativa dal punto di vista statistico, quindi potrebbe anche essere dovuta al caso. “Gli importanti risultati dello studio Potomac si aggiungono ai risultati positivi dello studio Niagara, che ha dimostrato efficacia nei suoi endpoint, tra cui la sopravvivenza globale positiva nel setting del tumore della vescica muscolo-invasivo, confermando l’efficacia di durvalumab in questa patologia. In Italia è inoltre attivo un Expanded Access Program, cioè un programma di accesso precoce, per il trattamento dei pazienti con malattia muscolo-invasiva”.
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Una patologia diffusa
Il tumore della vescica è la quinta neoplasia per incidenza in Italia, con circa 31.000 nuovi casi stimati nel 2024. Il tipo più diffuso è il carcinoma uroteliale. Più del 70% dei pazienti riceve diagnosi di Nmibc (carcinoma non muscolo-invasivo), una forma iniziale che colpisce il rivestimento interno della vescica senza coinvolgere la parete muscolare. Nel 2024, circa 125.000 pazienti sono stati trattati per NMIBC ad alto rischio. Lo standard di cura attuale è la resezione transuretrale (TURBT) seguita da instillazione di BCG. Tuttavia, l’80% dei pazienti va incontro a recidiva entro cinque anni e fino al 30% può progredire, con ricadute significative in termini di qualità della vita e necessità di trattamenti invasivi come la cistectomia.
“Il tumore della vescica è una patologia estremamente diffusa e rappresenta la quinta neoplasia per incidenza nella popolazione in Italia, con circa 31.000 nuovi casi stimati nel 2024 – spiega Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) –. Oltre il 70% dei casi, alla diagnosi, è di tipo non muscolo-invasivo cioè è confinato agli strati più superficiali della parete vescicale e non raggiunge la tonaca muscolare della vescica”.
L’approccio multidisciplinare
Nella gestione della malattia e per garantire il miglior percorso terapeutico, è fondamentale il team multidisciplinare, che deve comprendere, tra gli altri, il radiologo, il chirurgo, l’oncologo, l’urologo e l’anatomo patologo. Le prospettive aperte dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard BCG implicano ricadute rilevanti anche sotto il profilo organizzativo. Oggi i pazienti con malattia non muscolo-invasiva ad alto rischio, nella maggior parte dei centri, sono gestiti solo dagli urologi, perché i trattamenti endovescicali, in particolare la terapia con BCG, sono eseguiti negli ambulatori di urologia. In futuro, l’integrazione fra l’oncologia e l’urologia diventerà fondamentale, per garantire ai pazienti l’accesso all’innovazione costituita dalla combinazione dell’immunoterapia con la terapia standard.”
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