AcDc, tra piadine rock e “tre spritz a 13 euro” i veri eroi sono loro: i 70mila fan di Imola
Orgogliosi e tenaci, sono una certezza. Più che resistenti allo scorrere del tempo e al rincorrersi delle mode, sono indistruttibili. No, non sono gli Ac/Dc, per i quali il patto col Diavolo inizia ad avere un senso che va oltre la leggenda metropolitana. Sono i loro fan, i settantamila che ieri sera hanno popolato l’autodromo di Imola pur di rivivere il loro brivido. Già rivivere. Perché gli Ac/Dc non hanno un nuovo album da promuovere, fermi da cinque anni a Power Up. E lo scorso anno erano sempre da queste parti, a Reggio Emilia, per suonarle a centomila persone.
Il cantante Brian Johnson è persino onesto quando, aperto lo show con If You Want Blood (You Got It), saluta e a braccia aperte si rivolge al pubblico: “Faremo sempre la stessa cosa, una grande festa”. Eppure, eccolo ancora qui, il popolo degli Ac/Dc, con tante maglie del concerto al Campo Volo che dicono “io c’ero”. Persone straordinarie. Hanno pagato centinaia di euro per il biglietto, sono arrivate da tutta Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia.
Chi ha scelto il treno sbarca a Imola e affronta i poco più di due km a piedi per raggiungere l’Autodromo “Enzo e Dino Ferrari”. Come un pellegrinaggio tra deviazioni e strettoie. Alla fine è più di un’ora di cammino e siamo solo all’inizio. Viale Dante è una Highway to Hell di rovente street food. C’è chi lancia sul mercato l’inquietante “piadina Ac/Dc”, chi arringa il fiume umano col megafono: “Tre birre o tre spritz 13 euro!”. E ci sono gli immancabili venditori di fasce ricordo tarocche: hanno sempre gli stessi volti.
Superato tutto questo, il popolo degli Ac/Dc si ritrova in coda verso i settori. E li’ può guardarsi allo specchio. Non mancano di certo i giovani, tanti anche i bambini. Ma colpisce là quantità di capelli bianchi. Come quelli di Angus Young in fondo, che a dispetto dell’eterna divisa di scena da scolaretto non ha mai fatto nulla per nascondersi al tempo. I suoi fan della prima ora sono lì, insospettabili padri e madri di famiglia, per un giorno lontani dalle responsabilità e decisi a viversi il momento senza freni e senza pudori inutili. Si ritrovano, si abbracciano, presentano i figli, ok. Ma poi ci danno dentro con la birra non prima di aver indossato un paio di rosse corna luminose da diavoletto.
Nel loro vissuto da concerto c’è di tutto: viaggi in condizioni assurde, code ovunque e nessuna virtuale, spazi stipati all’inverosimile secondo la legge del “chi primo arriva”. Oggi per loro tutto è cambiato e ormai hanno fatto l’abitudine anche al pagare il biglietto per vedere un concerto su maxischermo. Perché la pedana del palco arriva alle teste del pubblico e, come tutti sanno, gli Ac/Dc sono praticamente una band di hobbit, altezza fisica inversamente proporzionale alla potenza della musica.
Così, quando lo show ha inizio, un muro di braccia e cellulari scatta verso il cielo e da quel momento, alle spalle del “Pit A”, il settore che raccoglie il pubblico sottopalco, nessuno vede più nulla. Restano solo i maxischermi. Forse basterebbe disegnare la struttura facendo un po’ di calcoli basati sull’esperienza della gente. Per ora non è così. Eppure intorno sono tutti felici, in estasi. Perché alla fine, vince la musica se è passione autentica e non un “must have” senza radici nell’anima.
E la musica degli Ac/Dc ieri sera è stata fantastica. Oltre due ore e mezza di concerto, con i super classici Back in Black, Thunderstruck o Hell’s Bells dati subito in pasto alla folla e una scaletta ancora tutta da riempire. Quanti possono permettersi un simile azzardo? Qui si può. E arriva una versione splendida di High Voltage, le fiammate di Highway To Hell, l’ammiccante Whole Lotta Rosie, l’infinita Let There Be Rock. Colpisce la bellezza di recuperi come Riff Raff, Have A Drink On Me, Dog Eat Dog. E sorprende Stiff Upper Lip, bluesy al punto da riassumere in sé la storia di un chitarrista davvero speciale come Angus Young, bimbo povero di Scozia che migra in Australia con la famiglia, infila il jack e per magia si ritrova immerso nel Delta del Mississippi come un nero albino.
Il suo omaggio all’Italia, più che il tricolore di una cravatta rossa su camicia bianca e completino verde, è sempre l’energia che getta sul palco senza riserve, anche stasera. Più delle finali salve di cannone di For Those About To Rock, il vero tributo al suo popolo. Che forse non riesce a vederlo, ma se chiude gli occhi dimentica i capelli bianchi e riascolta lo stesso ruggito della chitarra suonata da un ragazzino indemoniato di… tanto tempo fa. E per un lungo momento sorride felice. Senza pensare al ritorno a casa.
Condividi questo contenuto: