Baglioni: “La vita è adesso mi sembrava un disco orrendo. Vidi rinascere l’Italia seduto a un bar”

ROMA – Ci sono posti che parlano. Per Claudio Baglioni, è la terrazza dell’Hotel Cavalieri Hilton di Roma, da cui si vede tutta la città. Lì ha scattato la foto dell’interno di La vita è adesso, disco più venduto della musica italiana, oltre 4 milioni di copie dal 1985 a oggi. Consacrò il fenomeno Baglioni per almeno due generazioni, tra Uomini persi, L’amico e domani, Tutto il calcio minuto per minuto. D’altronde quelle canzoni, «che credevo orrende», sono una panoramica: seduto ai tavoli del vicino bar Zodiaco, il 74enne cantautore fotografò malinconie e vite dell’Italia di allora. Una cartolina che, a quarant’anni dall’uscita, rivive in La vita è adesso, il sogno è sempre, remake dell’originale — che porterà in tour nel 2026 — con testi ricantati e musiche riarrangiate. «Ma senza nostalgia — spiega — tutto è stato fatto ex novo. Anche la cover, iconica, che ritraeva la mia faccia, è stata scattata di nuovo. Non mi sono nascosto dal tempo: la vita è adesso».

Che anno fu il 1985?

«Capii che sarebbe stato speciale già il 6 gennaio. In tv, Fantastico di Pippo Baudo, un sondaggio popolare per decretare “la canzone del secolo”. Ero in nomination e ci credevo, ma non volevo ammetterlo. Alla fine vinse Questo piccolo grande amore. Dissimulai. Poi portai fuori i miei cani, quelli della copertina di E tu come stai? e passeggiando mi resi conto che, come Cenerentola, stavo diventando un principe. Poi, un attimo dopo, la neve».

La nevicata dell’85.

«Un evento eccezionale. Dovevo capirlo che sarebbe stato tutto speciale. Andai a Sanremo a ritirare il premio, suonai piano e voce: l’Ariston moriva di playback, da quell’esibizione si tornò a cantare dal vivo».

Era in stato di grazia.

«E invece no. Il disco precedente, Strada facendo, risaliva al 1981. Ero fermo da troppo tempo e non trovavo la quadra. Una mattina, un film qualsiasi degli anni 60 mi ispirò: si apriva con una panoramica su una città, prima di stringere sui protagonisti. Avevo le musiche, non i testi. Andai al bar Zodiaco, da lassù immaginai le vite degli altri come un’unica sinfonia. La scrissi e la suonai».

Quattro anni per un disco, sa che oggi sarebbe impossibile? Tanti — giovani e meno giovani, da Madame a Manuel Agnelli — se ne stanno lamentando.

«Lo capisco. Il tempo serve per realizzare musica che resti, a me ha permesso di sciogliere i dubbi, correggere i testi. Ma, a un certo punto, il discografico che mette fretta serve. Per me è stato così, credo valga per tutti: se fossimo noi artisti a stabilire la scadenza di un progetto, non lo chiuderemmo mai. Ricordo un’attesa spasmodica: i negozi di dischi scrivevano fuori che “il disco di Baglioni non è uscito”. Poi l’annuncio: “Finalmente è uscito”. Era una responsabilità».

Si è spiegato il suo successo?

«Mai del tutto. Lo registrai a Londra, di ritorno lo ascoltai su una cassettina, con due amici. La mia prima impressione: è orrendo. Non aveva vocazione popolare. Troppe parole, pochi ritornelli, le canzoni duravano troppo. Fui smentito. La chiave, forse, fu la sua pluralità. E il fatto che aveva un suono di contrasti, vivo. Lo suonammo tutti insieme, come ho fatto per il remake».

Che Italia vedeva dallo Zodiaco?

«Ero lì giorno e notte. Di giorno osservavo le coppiette, il via vai, i gelati. Di notte parlavo con il proprietario, accanito ufologo. Era un’Italia che rifiatava: alle spalle gli anni di piombo, ci concentravamo sul privato, tornavamo a sognare; dall’altro lato era la stagione dell’edonismo, senza profondità. Ma non dico si stesse meglio: La vita è adesso è un riassunto, i riassunti non raccontano per forza tutta la storia».

Oggi lo Zodiaco non esiste più. Lei che Italia vede?

«Si sogna meno. Fino agli anni 60 il mondo era come spinto da una forza, che aveva portato ai grandi movimenti giovanili. Oggi non più. Prenda noi artisti: abbiamo smesso di raccontare ciò che c’è intorno forse perché abbiamo disimparato a farlo, ma anche perché la realtà non dà più spunti. È confuso, il panorama che vedo da qui».

Ha detto che questo, con cui porterà in giro “La vita è adesso, il sogno è sempre”, sarà «un grand tour».

«L’anteprima sarà il 27 settembre a Lampedusa, poi per l’estate del 2026 ci saranno quaranta date, in ogni regione. Le annunciamo in autunno. Posti simbolici, dal valore archeologico. Cerco l’identità del nostro paese, come i giovani che scendevano per i grand tour».

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A febbraio 2027 scadranno i “mille giorni” che si è dato per ritirarsi.

«Non mi pento di essermi dato un termine, perché ha fornito una cornice a tanti progetti. Il problema è che un’idea tira un’altra, e a questo punto è diventata una corsa contro il tempo per fare tutto. Ma arriverà un punto».

“Il sogno è sempre”. A 74 anni, Baglioni cosa sogna?

«La verità è che “la vita è adesso”, come espressione, non basta. Va bene cogliere ogni momento, ma serve un fondale di sogno, l’aspirazione per qualcos’altro. Per me, questo sogno è essere curioso del giorno che verrà».

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