Bruce Springsteen, ‘Born in the Usa’ compie 40 anni: la storia, le canzoni e le liti con Ronald Reagan

“Qualche libro, una manciata di plettri, un supporto per armonica e le briciole del pranzo si contendevano lo spazio con il mio quaderno. Allungai i piedi scalzi sull’artiglio di leone alla base del tavolo di quercia che da trent’anni uso per scrivere. Una lampada d’antiquariato proiettava la sua flebile luce su un altro oggetto, un copione cinematografico che avevo ricevuto da Paul Schrader. Paul aveva scritto la sceneggiatura di due dei miei film preferiti degli anni Settanta, Taxi Driver e Tuta blu, del quale era anche regista. Provai qualche accordo con la mia Gibson J200 con finiture Sunburst, sfogliai il mio quaderno, mi fermai e mormorai una strofa che stavo scrivendo sui veterani del Vietnam. Lanciai ancora un’occhiata al titolo del copione, che ancora non avevo letto, e lo cantai: ‘I was born in the Usa’”.

Inizia così il capitolo della biografia di Bruce Springsteen dedicato a Born in the Usa, l’album pubblicato giusto quarant’anni fa. Un disco che ha ottenuto un successo clamoroso in tutto il mondo, un boom a cui forse nemmeno i fan più accaniti erano preparati. Ma Springsteen gettò sul piatto le sue canzoni di presa immediata, tutte insieme, diventando una delle grandi icone musicali degli anni Ottanta accanto a colleghi come Michael Jackson, Madonna, Prince.

La genesi del disco

Nella primavera del 1982 Springsteen e la E Street Band entrarono nei Power Station Studios di Manhattan per decidere come lavorare i brani precedentemente registrati in New Jersey. C’erano pronte più di quaranta canzoni, e il Boss spiegò più tardi: “Dovevo scegliere una canzone al posto di un’altra perché pensavo che avrebbe raggiunto un pubblico più vasto”.

Le canzoni

Quando arrivarono a Born in the Usa, si resero conto che nell’incisione originale il brano era molto cupo: il racconto di di un reduce del Vietnam che, tra sogni infranti e promesse non mantenute, non ha “nessun posto dove correre, nessun posto in cui andare”. In studio, il Boss e la Street Band trasformarono l’atmosfera suonando a tutto volume, con la voce di Bruce a urlare la sua rabbia. Quando sembravano tutti pronti per la dissolvenza finale, Springsteen fece un cenno al batterista Max Weinberg e la musica ripartì più forte di prima.

Otto dei dodici brani di Born in the Usa vennero tratti dalle session del 1982. Cover Me era stata scritta per Donna Summer, ma alla fine Bruce decise che era troppo bella e la tenne per sé. Downbound Train e Working in the Highway venivano dai demo di Nebraska.

Lo ‘scandalo’ di ‘Dancing in the Dark’

Dancing in The Dark, che divenne una hit mondiale anche grazie al video, venne aggiunta a disco chiuso, dopo una tremenda litigata con Jon Landau, il manager-produttore-tutore che aveva chiesto ‘un singolo’. Ai fan sembrava un oltraggio quel pezzo ballabile, con il video firmato Brian De Palma con un’adolescente Courtney Cox chiamata sul palco a ballare con il Boss. Divenne invece un marchio di marchio di fabbrica, e da allora in ogni concerto c’è una ragazza invitata a salire sul palco. “Era un video controverso, ma aumentava l’appeal di Bruce, soprattutto tra donne e adolescenti”, spiegò più tradi Jon Landau.

L’addio di Little Steven

Registrato il disco, Little Steven Van Zandt, destinato a diventare il Silvio Dante dei Soprano, dopo essere stato accanto a Springsteen dai tempi in cui erano due ragazzi squattrinati che dominavano le session notturne sul Jersey Shore, decise di andare via dalla E Street Band. È dedicata a lui, a quell’errore madornale di cui non si è pentito mai abbastanza, la struggente Bobby Jean. I due si separarono in totale amicizia: Little Steven fo sostituito da Nils Lofgren, ma rientrò nella band qualche anno dopo.

La lite con Reagan

Spinto dal successo del brano e dall’apparente spirito patriottico-conservatore (mentre invece era esattamente il contrario), Ronald Reagan tentò di appropriarsene per le proprie campagne patriottiche, subito stoppato dal Boss che rifiutò di concedergli i diritti. “La bandiera è un’immagine forte – disse poco dopo il Boss riferendosi all’immagine della copertina del disco – quando la sventoli non sai mai che uso potranno farne”.

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