Cenerentola e l’utopia di Volterra

Per Armando Punzo e per la Compagnia della Fortezza composta da 72 detenuti di Volterra, più un ex recluso e 4 attrici (impresa con associato il Teatro della Toscana), il titolo Cenerentola dell’opera fino al 28 nel Penitenziario e in replica l’1 agosto nel volterriano Teatro Persio Flacco non risponde a una favola. È di più.

Nel cortile della prigione ben foderato da tre mastodontiche quinte nere, con lo stesso Punzo in vesti di macchiaiolo imbrattato di tinte chiare e scure da artista avanguardista, e pronto a riferire «Il nero è il colore di Dio», la folta massa degli internati del carcere ha tra l’altro in dotazione alcuni brani degli scritti di Ernst Bloch. Orientati al desiderio, e all’utopia d’una speranza declinata in termini di tempo, di spazio, di universi altri.

È sorprendente e allettante il passaggio di parole, di cosmogonie, di numeri, e di sogni a occhi aperti in una visione esistenziale che mette qui da parte la realtà, e la scavalca aspirando all’arte, alla poesia, alla filosofia, alla scienza, alla bellezza.

In questo spettacolo-manifesto serpeggiano la curiosità, l’umano, un montaggio instancabile e metafisico di sagome, e un affascinante amalgama di costumi promiscui. Colpisce la quantità di sorrisi rivoluzionari in Paul Cocian (che per la compagnia farà anche Fame di Knut Hamsun) e nella giovane Viola Ferro. Punzo coltiva una comunità.

Cenerentola
di Armando Punzo
Voto 4/5

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