Claudio Simonetti: “La storia di Profondo rosso, il disco dell’orrore”

Roma – Sotto la basilica del Sacro Cuore Immacolato di Maria in piazza Euclide c’era una volta… l’inferno. Proprio lì, negli Studi Forum, che fino al 1979 si chiamavano Ortophonic, sono nate pietre miliari del cinema horror come Profondo rosso e Suspiria. «Ma non solo», spiega Marco Patrignani, direttore degli studi e produttore, «qui sono passati tutti, da Leonard Bernstein a Chet Baker, da Vangelis a Battiato e De Gregori. I fondatori, del resto, sono stati Ennio Morricone, Armando Trovajoli, Luis Bacalov e Piero Piccioni. E hanno continuato a usarlo».

Tutto qui è rimasto come un tempo: le colonne ai lati che lo fanno sembrare un tempio pagano, il parquet pieno di tagli, gli strumenti musicali disseminati qua e là: grandi tamburi, xilofoni, gong, vibrafoni, tastiere. E, proprio qui, cinquant’anni fa è nato Profondo rosso, il film e la colonna sonora che hanno cambiato la storia del cinema horror. L’anniversario verrà celebrato in tre date sold out il 6, 7 e 8 aprile — ma potrebbe aggiungersene un’altra — nell’attiguo e moderno Forum Theatre nell’ambito del Roma Film Music Festival, la manifestazione dedicata alle colonne sonore di cui Patrignani è direttore artistico.

Il disco-anniversario di “Profondo rosso”

Quando si manifesta Claudio Simonetti, 73 anni, membro fondatore e tastierista dei Goblin, sembra di ritornare nel 1975. E inizia un lungo viaggio nel terrore, tanto che anche ora il lungometraggio continua a generare strani oggetti come Fantasmi di oggi di Amanda Righetti, un libro che non c’era. Appare per pochi istanti nel film ma in realtà non è mai esistito: oggi, a cura di Mario Gazzola e Andrea Cappi, è pubblicato dalla casa editrice Profondo rosso di Luigi Cozzi, a sua volta regista, scrittore e amico di Dario Argento che gestisce il Profondo Rosso Store a Roma in Via dei Gracchi 260 dove, nei sotterranei c’è anche “Il museo degli orrori di Dario Argento”. Si tratta di uno “pseudobiblion” nella tradizione del Necronomicon scritto “dall’arabo pazzo Abdul Alhazred” di cui si parla in varie opere di Lovecraft o del Borges di Finzioni. Ma torniamo nel 1975, all’Ortophonic Studio mentre quattro ragazzi, proprio qui dove siamo seduti oggi, stavano interpretando una colonna sonora che è rimasta nella storia.

Capelli lunghi, strumenti strani, sintetizzatori. Voi Goblin agli inizi incutevano un certo timore. Che musica era la vostra?
«Siamo stati l’unico gruppo prog ad avere successo facendo una cosa fuori dai canoni anche per quel genere, perché non c’era neanche il cantante. E che ha cambiato persino la musica dei film».

Prima di questo eravate andati in Inghilterra a cercar fortuna.

«Avevamo fatto dei provini in una cantina dell’Eur e successivamente abbiamo provato ad andare lì a presentarli: abbiamo contattato il produttore degli Yes, Eddy Offord, trovandolo sull’elenco del telefono. Siamo finiti a casa sua e ha ascoltato i nostri nastri. Era interessato e saremmo dovuti tornare a Londra per lavorare con lui, ma poi è partito in tour e non se n’è fatto più nulla».

Claudio Simonetti con Dario Argento

Come avete incontrato Argento?

«Mio padre, che era a sua volta un musicista e compositore, ci presentò a Carlo Bixio della Cinevox e abbiamo ottenuto un contratto. Mentre lavoravamo a questo disco, Dario Argento stava facendo Profondo rosso con le musiche di Giorgio Gaslini, che registrava anche lui qui in studio con l’orchestra. Però Dario non era contento, non voleva un sound orchestrale ma un gruppo rock. Aveva anche cercato di contattare i Pink Floyd andando a Londra, ma per un motivo o per l’altro non se ne fece nulla. Quando tornò a Roma, Bixio gli disse: “Sto producendo dei ragazzi giovanissimi che sono molto bravi”. Così siamo entrati in studio per risuonare le musiche di Gaslini. Abbiamo registrato alcune cose sue, poi a un certo punto Gaslini se n’è proprio andato! E Dario ci ha detto: “Basta! Mancano tutti i temi principali: adesso li fate voi”. Era la nostra prima esperienza e io avevo 22 anni».

Ma sapevate chi era Dario Argento?

«Certo: per me era già un mito. Nel 1970 avevo 18 anni e andai a vedere “L’uccello dalle piume di cristallo”, al cinema Palladium, alla Garbatella, insieme a un mio amico.Un film incredibile, che mi colpì moltissimo. Mai avrei pensato che cinque anni dopo avrei fatto un suo film. Siamo stati molto fortunati perché ci vuole coraggio ad affidare una colonna sonora a dei ragazzini. Ma anche lui è stato fortunato: il disco ha venduto più di 4 milioni di copie».

Che indicazioni vi ha dato?

«Ci ha portati a casa sua, in Piazza Mazzini, c’era anche Daria Nicolodi. Non avevano la corrente allacciata, stavamo con le candele. Era una situazione surreale. Ci fece sentire, con un registratore a pile, i dischi della musica che amava e che voleva come riferimento per il film. Passò da un genere all’altro, spaziando tra tantissime cose diverse. Ci fece ascoltare brani che richiamavano atmosfere hard rock e progressive, come quelli di Emerson Lake & Palmer, Genesis e Deep Purple, oltre a Tubular Bells di Mike Oldfield, tema de L’Esorcista. Era evidente che cercava un sound moderno e inquietante, molto diverso dalle orchestrazioni jazz di Giorgio Gaslini. Capimmo subito che eravamo in sintonia con i suoi gusti anche perché noi facevamo già cose simili a quello che lui voleva».

“Tubular Bells” è un altro grande disco.

«Un capolavoro. Però non è stato fatto apposta per il film: era già un successo e il regista ha deciso di utilizzarlo come colonna sonora».

Cosa successe dopo?

«Quella sera fu fondamentale per capire la direzione da prendere. Tornammo nella mia cantina all’Eur e iniziammo a lavorare sul tema principale di Profondo rosso. Registrammo un provino durante una notte davvero buia e tempestosa e poi, il giorno dopo, lo portammo a Dario. Gli piacque moltissimo, immediatamente, e da lì partì tutto quanto».

Come avete creato il tema principale di “Profondo rosso”?

««All’epoca non esistevano i computer o le tastiere digitali. Dovevamo fare questo loop che si ripeteva varie volte. Abbiamo registrato quattro misure con il clavicembalo che sta qui nello studio, poi con il Moog il basso e la chitarra acustica. Per ripeterlo tante volte senza computer, abbiamo usato un nastro a due piste, l’abbiamo fatto girare e attaccato con lo scotch, creando un loop meccanico. Poi ci abbiamo lavorato ancora sopra. A un certo punto mi è venuta una folgorazione: “Ma qui c’è l’organo della chiesa!” e così sono andato su a registrare tutta la parte e l’inciso, quello più imponente di Profondo Rosso. Se avessimo registrato in un altro studio non sarebbe stato possibile fare una cosa così».

Ma come avete fatto a registrare l’organo che stava nella chiesa?

«C’erano microfoni che riprendevano il suono dell’organo, collegati con le cuffie qui in studio. Il fonico mi mandava la base e io la sentivo mentre ci suonavo sopra. Ero con Walter Martino, il nostro batterista originale, che mi aiutava. Però c’era una difficoltà perché con l’organo a canne il suono arriva leggermente in ritardo. Non essendoci il computer, ho dovuto provare varie volte anticipando tutto. Cose come questa hanno richiesto pazienza ed esperienza. Oggi è tutto più semplice, allora dovevamo veramente inventarci di tutto ma per me non c’è paragone, anche a livello della soddisfazione che ti dà un processo di creazione come quello, fatto di fantasia. Era così anche il nostro cinema, talmente straordinario che ce lo invidiano tutti da Quentin Tarantino a Eli Roth che sono grandi fan».

Li ha conosciuti?

«Tarantino no ma Eli è proprio un amico. Quando ha realizzato The Green Inferno, ispirandosi fortemente a Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, ci tenne a invitare Ruggero alla presentazione del film a Roma. Nei titoli di coda, Roth lo ringraziava chiaramente per averlo ispirato e per essere stato uno dei nomi più importanti del genere cinematografico horror. Questo gesto mi colpì molto: Eli ha sempre avuto grande rispetto per chi lo ha influenzato. È una persona estremamente appassionata e generosa».

Avete mai collaborato insieme?

«Purtroppo no, ma ci siamo incontrati diverse volte, soprattutto durante i miei tour in America. Abbiamo parlato spesso di cinema e musica, e lui conosce benissimo il lavoro dei Goblin. È un grande fan del nostro sound e ha sempre mostrato un’enorme ammirazione per ciò che abbiamo fatto nel cinema horror».

Non è l’unico credo. Può citare qualche altro nome tra i fan dei Gobiln?
«Direi John Carpenter, che oltre ad essere un grande regista è anche un musicista straordinario. Ci siamo incontrati più volte e abbiamo avuto modo di parlare a lungo. Carpenter ha sempre dichiarato pubblicamente di essersi ispirato a me e al lavoro dei Goblin, in particolare per Profondo Rosso. È stato un grande complimento, soprattutto considerando il suo stile minimalista che sembra quasi all’opposto. Ma sa perché era minimalista nelle sue colonne sonore?».

Assolutamente no: perché?

«Per necessità. Mi ha raccontato che non aveva certo i soldi a disposizione delle grandi produzioni hollywoodiane, così ha iniziato a comporre lui stesso colonne sonore semplici ma efficaci, che si adattano perfettamente al suo stile cinematografiche. Questo stile, nato come dicevo per ragioni economiche, alla fine è diventato proprio il suo marchio di fabbrica e a sua volta ha influenzato generazioni di compositori».

Quali sono le opere di Carpenter che mostrano l’influenza dei Goblin?

«Carpenter ha citato Profondo Rosso come fonte d’ispirazione, specialmente per Halloween e Distretto 13: Le brigate della morte. Il suo uso ipnotico di sintetizzatori e melodie ripetitive richiama in effetti il nostro lavoro, anche se può non sembrare. È bello sapere che il nostro sound abbia contribuito a definire un’estetica musicale così iconica nel cinema horror».

Ritornando ai Goblin: quindi il vostro è stato un lavoro di gruppo?

«Assolutamente. Fabio Pignatelli è stato determinante col suo basso. L’idea iniziale della melodia era di Fabio, poi Massimo Morante, il chitarrista l’ha corretta e ognuno di noi ha aggiunto qualcosa, anche Walter Martino, il batterista che tra l’altro era anche lui come me figlio d’arte, suo padre era Bruno Martino. Comunque alla fine io, a mia volta, ho fatto l’inciso. La cosa abbastanza incredibile credo, è che abbiamo registrato tutto in cinque-sei giorni».

Ma mi faccia capire: come funzionava esattamente?

«Vede quello schermo in fondo alla sala (indica un grande schermo biano alle nostre spalle)? Avevamo il proiezionista che ci diceva quali scene accompagnare, e noi con il cronometro cercavamo di suonare in sincrono. Ma per il tema di Profondo Rosso abbiamo usato una tecnica diversa: abbiamo registrato il brano intero e poi Argento con il montatore l’hanno tagliato per adattarlo al film».

Quando vedevate il film senza le musiche, vi spaventavate?

«In realtà sì e no, perché quando vedi un film senza rumori, col dialogo in presa diretta, senza musica, hai più a che fare con l’aspetto tecnico. E la musica è fondamentale. In particolare per un film come Profondo Rosso e anche con gli altri suoi a cui abbiamo lavorato noi come ».

Ai tempi voi e Dario Argento avevate qualche interesse nell’occulto?

«No, assolutamente. La cosa strana è che Dario è una persona molto divertente, solare. In studio scherzavamo, ridevamo…».

A proposito di occulto e di streghe: Suspiria è considerato il vostro vero capolavoro, lei è d’accordo?

«Di sicuro Suspiria è il nostro album più sperimentale. Mentre in Profondo Rosso ci rifacevamo comunque a un certo prog tipico dell’epoca, con Suspiria abbiamo inventato una sonorità credo veramente nuova, poi copiata in tutto il mondo. Abbiamo sperimentato con strumenti insoliti, come il tabla e il bouzouki».

Claudio Simonetti nel mitico studio dei Goblin: “Ecco il tema di Suspiria”

E la voce di quella cantilena agghiacciante di chi era?

«Era la mia (ride). Abbiamo registrato un loop con il clavicembalo, il bouzouki greco e il tabla indiano. Però non ero soddisfatto: “Ci vorrebbe qualcosa di più spaventoso”, ho pensato. E così ci ho messo la mia voce sopra, quella che fa “la, la, la”. Sono stato uno dei primi a cantare in quel modo, tanto che poi è diventato un precursore di certi modo di cantare nel metal. Era un suono dolce con questa voce terribile da strega sopra. Credo non si fosse mai sentito niente del genere e in effetti credi che faccia parecchio paura, o almeno così mi dicono».

Thom Yorke ha fatto la colonna sonora di “Suspiria”: cosa ne dice?

«La musica in sé è molto bella, io amo i Radiohead ma la colonna sonora con il film c’entra poco».

Quali differenze ci sono tra le colonne sonore dei Goblin e quella di Thom Yorke?

«Noi usammo sintetizzatori analogici, loop ipnotici e voci distorte per creare tensione fisica e un’atmosfera inquietante. Yorke ha scelto un approccio minimalista, con pianoforte e respiri amplificati, più legato al realismo politico di Berlino negli anni ’70 dove Guadagnino ha scelto di ambientare il suo film».

Tornando a “Profondo rosso”, lei stesso ha detto che ha venduto più di quattro milioni di dischi: qual è, secondo lei, il suo segreto?

«Il suo segreto è che è stato celebrato un matrimonio perfetto tra musica e film».

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