Dai Beatles a Battisti, i successi a sorpresa: quando le b-side dei 45 giri diventavano hit
Nell’era della tecnologia, con l’avvento delle piattaforme e della musica liquida, il concetto di b-side non ha più molto senso. Ma ai tempi del 45 giri, il pezzo teoricamente “riempitivo” che accompagna la canzone guida da lanciare al massimo livello aveva una sua importanza e una sua epica. Succedeva spesso che il brano meno considerato nelle strategie discografiche finisse per diventare in realtà il vero motivo dell’acquisto del disco: una sorta di ribaltamento gerarchico, che di fatto non penalizzava nessuno se non i discografici che avevano deciso una strategia totalmente ribaltata dal mercato. Gli esempi sono praticamente infiniti: ne abbiamo selezionati 10 e in alcuni casi l’abbaglio strategico è veramente clamoroso.
Elvis Presley – Hound dog
Nel 1956, nel pieno dell’età dell’oro del rock’n’roll, Elvis lanciò Don’t be cruel, un pezzo di grande impatto. Sul retro c’era però Hound dog, un brano scritto da Lieber e Stoller e interpretato per la prima volta nel 1953 da Big Mama Thorton. Quando Presley la presentò in tv al Milton Berle Show l’America puritana insorse e il bacino di Elvis divenne un pericolo sociale.
Fabrizio De André – La canzone di Marinella
Una “caso di scuola” per la musica italiana: un brano poco valutato che diventa un monumento del cantautorato nazionale. Il brano “titolare” doveva essere Valzer per un amore: il confronto tra i due pezzi divenne in breve impari. Sebbene anche Faber non ne fosse così entusiasta, Marinella è entrata nell’immaginario collettivo: “È nato da una specie di romanzo familiare applicato ad una ragazza che a 16 anni si era trovata a fare la prostituta ed era stata scaraventata in un fiume da un delinquente. Un fatto di cronaca nera che avevo letto a quindici anni su un giornale di provincia. La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte”.
Pooh – Piccola Katy
Anno 1968. Un brano che ha dato la svolta alla carriera dei Pooh ma che era partito piuttosto in sordina: le speranze dei discografici erano puntate su Il silenzio. Poi arrivò Pippo Baudo che volle che la band (anzi, solo Riccardo Fogli e Roby Facchinetti) presentasse la canzone a Settevoci, un seguitissimo programma televisivo dedicato alle nuove proposte. Un boom immediato.
The Beatles – Penny Lane
Quella legata ai Beatles è una vicenda molto particolare: non esisteva una verà priorità tra Strawberry fields forever e Penny Lane (1967), che occupavano i due lati del 45 forse più innovativo della storia del rock. Due capolavori, pubblicati senza essere inseriti in un album: più sperimentale Strawberry fields, più pop e nostalgico Penny Lane. La rivoluzione psichedelica spiegata in pochi, eccezionali minuti.
Lucio Battisti – Il tempo di morire
Vale il discorso fatto per i Beatles: nessuna gerarchia sui singoli ma canzoni di pari livello artistico e commerciale. Nel 1970 Battisti ripeterà l’esperimenti per tre volte: con Fiori rosa fiori di pesco/Il tempo di morire, con Acqua azzurra acqua chiara/Dieci ragazze e con Emozioni/Anna. E l’anno prima era arrivata Mi ritorni in mente/7 e 40. Battisti era un vulcano di idee: i singoli arrivavano a getto continuo, tutti destinati ai primi posti in classifica. Anche quelli scritti per gli altri: succedeva con Bruno Lauzi (Amore caro, amore bello), i Dik Dik (Vendo casa), Mina (Io e te da soli e Amor mio).
Cat Stevens – Father and son
Qui la scelta strategica risulta davveri incomprensibile: Father and son è una delle canzoni più amati di Cat Stevens e la bellezza del brano era evidente fin dal primo ascolto. Finì però sul lato b di Moon shadow, ma la Storia ha fatto presto giustizia. Il tema fondamentale è quello dello scontro generazionale di un papà che parla in tono sommesso con un figlio che canta un’ottava sopra, probabilmente per rimarcare la distanza, e che ha tutta la voglia di tagliare quel cordone ombelicale e di fare le sue esperienze. Per quegli anni (1970) un tema particolarmente sentito.
Angelo Branduardi – Alla fiera dell’est
Una canzone che impiegò più di sette mesi dalla sua pubblicazione nel 1976 come b-side de Il dono del cervo per imporsi come dei brani più amati e più suonati degli anni Settanta. Branduardi la scrisse come un riadattamento della filastrocca Chad Gadya, che celebra la liberazione dalla schiavitù egiziana del popolo ebraico.
Gloria Gaynor – I will survive
Si balla ancora ovunque, è un inno per a comunità Lgtbq+ e un richiamo irresistibile per milioni di persone. Eppure anche per Gloria Gaynor le strategie portavano altrove, esattamente a Substitute (1978). Errore blu: la vera hit era I will survive, racconto di una rinascita sentimentale che è diventata negli anni il simbolo dell’empowerment femminile.
Lucio Dalla – Balla balla ballerino
Il retro di un brano leggendario come Cara; difficile fare meglio. Ma Balla balla ballerino ha trovato comunque una strada luminosa, negli anni in cui Lucio Dalla (1980) era il re della canzone made in Italy. Una canzone che, secondo qualcuno, sarebbe ispirata alla strage di Bologna del 1980. Ma lo stesso Dalla, all’epoca, lo raccontò come un brano “scritto in Germania e senza dubbio risente del clima movimentato di quella nazione”.
Queen – We will rock you
Questo è davvero un caso limite: We will rock you (1977) era la b-side di We are the champions, e a nessun fan dei Queen verrebbe in mente di fare una scelta tra i due brani. Furono le radio a scegliere immediatamente il retro, permettendo alla casa discografica di correggere il tiro. Comunque sia andata, è stata un successo.
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