“Due procuratori” nel cuore oscuro dello stalinismo
Due procuratori è il perfetto titolo del nuovo film di Sergej Loznitsa, importantissimo cineasta post-sovietico che solitamente lavora sui materiali d’archivio, spesso genialmente rielaborati. Stavolta, però, siamo di fronte a un film di finzione ispirato a un racconto di Georgij Demidov. E tale racconto ci porta nel cuore oscuro dello stalinismo, analizzato con uno sguardo da entomologo che rimanda ai documentari di questo grande artista.
I due procuratori del titolo si incontrano in una drammatica sequenza nella seconda parte del film. Uno si chiama Kornev ed è un personaggio di fantasia, un giovane avvocato da poco laureatosi nell’Urss del 1937, anno delle più terribili purghe staliniane. L’altro si chiama Andrej Vyšinskij ed è una figura storica tristemente famosa: nel ’37 era procuratore generale dell’Unione Sovietica e rappresentò la pubblica accusa in tutti i processi farsa con i quali Stalin eliminò i propri avversari politici.
Nella prima parte del film vediamo il giovane Kornev coinvolto suo malgrado in una storia che lo metterà in un mare di guai: un detenuto politico riesce a far uscire dal carcere la richiesta (scritta con il sangue su un frammento di carta) di incontrare un avvocato nella prigione di provincia in cui è rinchiuso. Il caso tocca all’ultimo arrivato, Kornev appunto: giunto al carcere, il giovane riesce dopo un’allucinante trafila burocratica a parlare in cella con Ivan Stepnjak, un vecchio bolscevico accusato di essere membro della “cricca” di Trockij e Bucharin, e quindi destinato a morte sicura.

Stepnjak, però, è un duro: non intende confessare alcunché e rivendica il diritto di difendersi. Ma come accadde davvero in molti di questi processi lo fa nel modo sbagliato, ficcando la testa nella bocca del leone: spiega a Kornev che la Nkvd (la polizia segreta) è composta da fascisti contro-rivoluzionari e lo invita ad andare a parlare con Stalin in persona, perché – e lo pensavano davvero in molti… – “se il compagno Stalin sapesse, fermerebbe questo abominio”.
Kornev si reca quindi a Mosca. Incontrare Stalin è ovviamente complicato, ma in modo rocambolesco il giovane procuratore si intrufola nel ministero della Giustizia e riesce a parlare con Vyšinskij in persona. Che lo ascolta, prima gelido, poi paterno. Gli dice di tornare alla sua cittadina e di avviare un’inchiesta. E noi, che abbiamo letto Buio a mezzogiorno di Koestler, Arcipelago Gulag di Solženicyn e soprattutto I racconti della Kolyma di Šalamov (il capolavoro totale e indiscutibile sullo stalinismo e sul mondo concentrazionario dei lager), sappiamo già come andrà a finire.
Loznitsa concentra tutto il film sul contrasto atroce fra ciò che noi conosciamo oggi, di quei processi, e ciò che pensavano molti comunisti della prima ora, sinceramente convinti che Stalin fosse un adorabile “piccolo padre” e che la loro sorte fosse dovuta a una congiura della quale il segretario del partito non era al corrente. La ricostruzione dell’epoca – la galera, ma anche i palazzi moscoviti del potere – è scenograficamente “povera” ma accuratissima.
Il film è stato girato in Lettonia, in un vecchio carcere nei dintorni di Riga. Loznitsa, un ucraino nato in Bielorussia e poi cresciuto in Russia, attualmente vive in Germania e porta avanti una riflessione sui regimi totalitari (non solo sovietici o post-sovietici) che fa di lui un intellettuale imprescindibile per comprendere i tempi in cui viviamo. Due procuratori non è nemmeno il suo film più bello, ma è un potente apologo sulla manipolazione che il potere può esercitare anche sulle coscienze più vigili e più idealiste. Film fondamentale.
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