Elisabeth Moss: “The handmaid’s tale è una storia che si riflette nella realtà in cui viviamo”
Un esercito di donne, mantello rosso e cuffietta bianca, hanno popolato negli ultimi otto anni le proteste di tutto il mondo. Che fossero le americane che alzavano la voce contro la nomina della giudice anti lgbtq+ Amy Coney Barrett alla Corte Suprema della prima amministrazione Trump o le israeliane contro le politiche di Benjamin Netanyahu, il personaggio creato da Margaret Atwood nel 1985 e incarnato da Elisabeth Moss nella serie The handmaid’s tale ha trasceso la finzione.
“The handmaid’s tale 6”, il finale della serie con Elisabeth Moss – Trailer
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Ora che il viaggio lungo sei stagioni volge al termine (dall’8 aprile l’ultima stagione su Timvision) chiediamo alla protagonista, produttrice e regista Elisabeth Moss che effetto fa aver avuto un tale impatto culturale. “Mai l’avremmo potuto prevedere, sono onorata che le persone abbiano preso a prestito quei costumi facendone un simbolo di resistenza e potere. In quest’ultima stagione il tema dell’abito come uniforme, che si trasforma da segno di vergogna in immagine di resistenza, torna ancora più potentemente. Provo un profondo orgoglio a indossare quel costume e vedere che gente di tutto il mondo rivendichi il proprio diritto alla protesta con i nostri abiti indosso è un vero onore”.
Al centro della storia è la Repubblica di Gilead, un governo totalitario teocratico, che ha sostituito gli Stati Uniti d’America (rimangono due stelle sulla bandiera, le Hawaii e l’Alaska) e in un mondo attraversato dall’infertilità dovuta all’inquinamento le donne sono divise in classi: le Ancelle, in rosso, schiave per la riproduzione, le mogli in blu che gestiscono la casa insieme alle serve “Marta” in grigio, infine le Zie, in marrone, la polizia morale.
Per Elisabeth Moss, 42 anni, una lunga carriera iniziata da bambina, l’exploit nel ruolo della segretaria Peggy Olsen di Mad Man, un Golden Globe per la serie di Jane Campion Top of the lake, la saga è stata una svolta che l’ha portata a vincere un secondo Golden Globe e un Emmy. “The handmaid’s tale ha cambiato la mia vita e il mio lavoro. Faccio l’attrice da più di trent’anni, questo è il progetto più importante della mia carriera. Sono passata da non aver mai fatto neppure un filmino nel giardino con gli amici a girare da regista dodici ore di tv”.
Nel frattempo l’attrice è diventata anche mamma di una bambina e questo ha cambiato totalmente la sua visione della storia: “Il percorso dell’ancella June come donna è strettamente legato al suo essere mamma. Ho passato otto anni della mia vita a interpretare questa icona di maternità e poi alla fine ho avuto una figlia anch’io e tutto è diventato emotivamente più intenso per me. Prima se vedevo una scena di June con sua figlia Hannah la prima cosa a cui badavo era la recitazione o come fosse girata, oggi semplicemente mi metto a piangere. Non che prima non conoscessi l’amore o la disperazione ma tutto è diventato più viscerale, in un modo bello e intenso”.
Se una saga si chiude, se ne apre un’altra. Sono iniziate le riprese del sequel I testamenti, tratto dal romanzo dell’autrice canadese pubblicato nel 2019, che racconta la storia di tre diversi personaggi: Zia Lydia e le due figlie di June, quindici anni dopo le vicende raccontate nel primo romanzo. “La serie è un cerchio e quando avrete visto l’ultimo episodio potrete capirlo, sarà tutto chiaro quello che è accaduto dal giorno zero fino alla fine di questa storia. Io ho avuto la fortuna di girare da regista gli ultimi due episodi. La storia si conclude in un modo perfetto per come tutto questo è iniziato”.
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